
La cassazione sezione 2 con la sentenza numero 46439/2023 ha stabilito che nel procedimento di riesame, caratterizzato da tempi assai ravvicinati e da adempimenti il cui mancato rispetto può comportare l’inefficacia della misura, è onere della parte e non del giudice provvedere a che la documentazione prodotta sia redatta in lingua italiana o accompagnata dalla sua traduzione formale.
In applicazione del principio, la Suprema Corte ha ritenuto immune da censure la declaratoria, del giudice dell’appello cautelare, di inammissibilità della documentazione prodotta dalla difesa, consistente nel passaporto con visti, nella ricevuta di cambio-valuta, nella copia del reddito da lavoro ed in una visura camerale, redatti in lingua straniera e non tradotti.
La cassazione ha in più occasioni chiarito che nel procedimento di riesame, caratterizzato da tempi assai ravvicinati e da adempimenti il cui mancato rispetto può comportare l’inefficacia della misura, è onere della parte e non del giudice provvedere a che la documentazione prodotta sia redatta in lingua italiana o accompagnata dalla sua traduzione formale (Sez. 1, n. 51847 del 01/10/2015, dep. 2016, Rv. 268543 – 01; Sez. 5, n. 40909 del 22/10/2010, Rv. 248503 – 01).
Pertanto, sebbene risulti inesatto il richiamo dell’ordinanza impugnata all’art. 109 cod. proc. pen. poiché l’obbligo di usare la lingua italiana si riferisce agli atti da compiere nel procedimento davanti all’autorità giudiziaria che procede, mentre per quelli già formati, che vengono acquisiti al processo, si applica la disciplina dettata dagli artt. 143, comma secondo, e 242, comma primo, cod. proc. pen. (tra molte, Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, Rv. 261936-01; Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Rv. 261111 – 01), la decisione del collegio cautelare è giuridicamente corretta e non contraddetta dai rilievi in ordine alla genericità e all’assenza dei requisiti formali di alcuni documenti prodotti, apprezzabili ad un esame esterno degli stessi.

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