
Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 1976/2024, udienza del 9 gennaio 2024, ha sottolineato che anche le decisioni di merito sono incluse tra quelle dalle quali è possibile desumere l’ingiustizia della detenzione.
Nel caso all’esame, va intanto precisato che il ricorrente ha subito una carcerazione preventiva domiciliare in forza di un primo titolo che, tuttavia, non è stato riemesso dal GIP competente, il quale ha ritenuto insussistente un quadro di gravità indiziaria a sostegno della medesima domanda cautelare.
La Corte della riparazione, in maniera del tutto apodittica, ha affermato che la fattispecie al vaglio non rientrerebbe tra quelle previste dall’art. 314, comma 2, cod. proc pen., semplicemente perché il primo titolo non era stato annullato per difetto dei presupposti di cui agli artt. 273 e 280 cod. proc. pen., omettendo, tuttavia, ogni approfondimento in ordine all’intervento del giudice cautelare competente a norma dell’art. 27 cod. proc. pen. il quale, viceversa, aveva ritenuto proprio il difetto di quei presupposti.
Com’è noto, si ha ingiustizia formale (o illegittimità formale) del titolo cautelare ogni qual volta sia accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero, al momento dell’adozione o del mantenimento, le condizioni di cui agli artt. 273-280 cod. proc. pen. (mancanza di gravi indizi, presenza di cause di giustificazione, di non punibilità o di fatti estintivi, limiti di pena).
Quanto al provvedimento che accerti la illegittimità formale del titolo, superato definitivamente l’indirizzo per il quale era necessaria una decisione irrevocabile in fase (o comunque, come nel giudizio direttissimo, con valenza anche) cautelare, si è ormai consolidato quello opposto, per il quale l’interpretazione della disposizione di cui al secondo comma dell’art. 314 cod. proc. pen. ne estende l’ambito applicativo sia ai casi oggetto di decisioni definitive favorevoli all’indagato assunte in sede di procedimento cautelare de libertate, sia a quelli nei quali l’insussistenza dei presupposi per l’applicazione della custodia cautelare sia stata accertata anche all’esito del giudizio cognitivo di merito.
A tale conclusione si è giunti considerando che il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione non può trovare ostacolo nella legittimità allo stato degli atti del provvedimento applicativo della misura, non essendo neppure richiesto che la detenzione sia conseguenza di una condotta illecita, rilevando esclusivamente l’obiettiva ingiustizia della privazione della libertà personale (Sez. U, n. 32383 del 27/5/2010, D’Ambrosio,in motivazione).
L’imponente opera di riscrittura della norma di cui all’art. 314, cod. proc. pen. da parte del giudice delle leggi, del resto, ha costituito punto di legittimità che ha via via riconosciuto il diritto anche in ipotesi nelle quali l’insussistenza delle condizioni di applicabilità del titolo non fosse stata valutata ex ante, ma accertata ex post sulla base di elementi acquisiti successivamente al momento dell’emissione del provvedimento restrittivo e dello svolgimento dello stesso giudizio incidentale cautelare (in motivazione Sez. U, D’Ambrosiocit.). Proprio muovendo da tale principio, si è ricondotto a un’ipotesi di ingiustizia formale, per esempio, il caso di una misura cautelare applicata in difetto di una condizione di procedibilità, la cui necessità sia stata accertata soltanto all’esito del giudizio di merito in ragione della diversa qualificazione attribuita ai fatti rispetto a quella ritenuta nel corso del giudizio cautelare (sez. 4 n. 8869 del 22/01/2007, Rv. 240332; n. 44596 del 16/4/2009, Rv. 245437; n. 43458 del 15/10/2013, Rv. 257194; n. 39535 del 29/5/2014, Rv. 261408; sez. 4, n. 29340 del 22/5/2018, Rv. 273089).
Pertanto, deve ribadirsi che la nozione di “decisione irrevocabile” di cui all’art. 314, comma 2, cod. proc. pen. comprende anche quella emessa all’esito del giudizio di merito, sempre che, naturalmente, da essa si evinca la mancanza, sin dall’origine, delle condizioni di applicabilità della misura.
Poste tali coordinate in diritto, la decisione impugnata se ne è discostata in maniera sostanziale: i giudici della riparazione, infatti, hanno ritenuto la ricorrenza di un’ipotesi di ingiusta sostanziale del titolo sulla sola base della mancanza di un provvedimento definitivo di annullamento in fase cautelare, senza tuttavia scrutinare la valenza, sotto il medesimo profilo, del provvedimento adottato dal giudice per le indagini preliminari competente, il quale ha rigettato la domanda cautelare proprio per difetto delle condizioni di applicabilità della misura e senza neppure considerare la stretta connessione esistente, in ipotesi di identità della domanda cautelare, tra il provvedimento adottato d’urgenza dal giudice che si dichiari incompetente e quello da adottarsi dal giudice competente ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 27 cod. proc. pen.
In conclusione, la sola circostanza che il titolo restrittivo non sia stato revocato in fase cautelare non è di per sé idonea a sorreggere le apodittiche conclusioni rassegnate dal giudice della riparazione, il quale nulla ha affermato in merito alle ragioni e alla piattaforma indiziaria, alla stregua delle quali il GIP competente ha rigettato l’originaria domanda cautelare.
Una volta effettuato tale scrutinio, spetterà al giudice della riparazione verificare poi se gli elementi a sostegno della domanda cautelare fossero rimasti invariati, anche ai fini del successivo giudizio sulla sussistenza o meno della condizione negativa di cui all’art. 314, comma 1, cod. proc. pen. poiché,
anche nel caso di ingiustizia formale ai sensi del comma 2 della norma citata, deve essere verificata la ricorrenza di un comportamento ostativo all’insorgenza del diritto azionato, sebbene esso non potrà concretamente operare quale presupposto negativo ove l’accertamento dell’insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura avvenga sulla base dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha reso il provvedimento cautelare, in ragione unicamente di una loro diversa valutazione (Sez. U, n. 32383 del 27/5/2010, D’Ambrosio,Rv. 247663, in cui la Corte ha operato un netto distinguo rispetto al meccanismo causale che governa l’indicata condizione ostativa nelle due distinte ipotesi di ingiustizia; sez. 4, n. 22103 del 21/3/2019, Rv. 276091-01, in cui si è pure precisato che, in tale ipotesi, il giudice della riparazione non può valutare – nemmeno ai fini della eventuale riduzione dell’entità dell’indennizzo – la condotta colposa lieve; n. 5452 del 11/1/2019, Rv. 275021-01).
L’ordinanza deve essere, quindi, annullata con rinvio per nuovo esame sul punto.

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