Sostituzione delle pene detentive brevi: poteri discrezionali del giudice e onere di adeguata motivazione (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 661/2024, udienza del 12 dicembre 2024, offre un inquadramento sistematico dell’istituto della sostituzione delle pene detentive brevi.

Delimitazione della questione giuridica devoluta alla Corte di cassazione

Alla Corte è stato devoluto unicamente il tema inerente alla correttezza della decisione dei giudici del gravame sulla sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità, questione che implica anche quella relativa ai poteri del giudice di merito in ordine alla relativa istanza, nel sistema delineato da ultimo dal legislatore delegato con la Riforma Cartabia.

Assetto normativo vigente dell’istituto delle pene sostitutive delle pene detentive brevi

Com’è noto, infatti, lo statuto delle pene sostitutive di quelle detentive brevi è stato inciso dalla recente riforma che ha riguardato il sistema penale e processuale penale, l’art. 1, comma 1, lett. a), d. lgs. n. 150/2022 avendo introdotto l’art. 20 bis del cod. pen. (“Pene sostitutive delle pene detentive brevi”), collocandolo nel Titolo II (“Delle pene”), al Capo I (“Delle specie di pene in generale”), dopo la disciplina generale delle pene principali e delle pene accessorie.

…Finalità

Scopo della novella è stato quello di introdurre le pene sostitutive nel sistema delle pene di cui alla parte generale del codice, creando un raccordo con la disciplina delle stesse pene sostitutive, prevista dalle disposizioni della legge n. 689 del 1981, a loro volta riformulate dall’art. 71 del d.lgs. n. 150/2022. In base alla disciplina transitoria introdotta dallo stesso legislatore delegato (art. 95, d.lgs. n. 150 del 2022), «Le norme previste dal Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, se più favorevoli, si applicano anche ai procedimenti penali pendenti in primo grado o in grado di appello al momento dell’entrata in vigore del presente decreto», vale a dire al 30 dicembre 2022 per quanto previsto dall’art. 99 bis del d.lgs. 150/22, inserito dall’art. 6 del d. I. n. 162/2022, convertito con modificazioni dalla I. n. 199/2022. In tali ipotesi, dunque, sarà applicabile anche l’art. 545 bis, cod. proc. pen. (a sua volta introdotto dall’art. 31, comma 1, d. lgs. n. 150/2022), che, al primo comma, recita: «Quando è stata applicata una pena detentiva non superiore a quattro anni e non è stata ordinata la sospensione condizionale, subito dopo la lettura del dispositivo, il giudice, se ricorrono le condizioni per sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all’articolo 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, ne dà avviso alle parti».

…Modalità applicative

In base all’art. 56 bis legge n. 689/1981, inserito dall’art. 71, comma 1, lett. d), d. lgs. n. 150/2022, per quanto qui d’interesse, «Il lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le Regioni, le Province, le Città metropolitane, i Comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato. L’attività viene svolta di regola nell’ambito della regione in cui risiede il condannato e comporta la prestazione di non meno di sei ore e non più di quindici ore di lavoro settimanale da svolgere con modalità e tempi che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato».

L’art. 128, comma 2, d.lgs. n. 112/1998 (“Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59”), poi, definisce i “servizi sociali”, tali dovendosi intendere tutte le «attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia».

La norma e il contenuto definitorio sono richiamati dall’art. 1, legge 8 novembre 2000, n. 328 (legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) che, nel delineare il sistema integrato dei servizi sociali, ne ha definito le finalità e principi in base ai quali essi devono essere organizzati (sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell’amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare degli enti locali). In tale sistema, spetta agli enti locali, alle Regioni e allo Stato, nell’ambito delle rispettive competenze, di riconoscere e agevolare il ruolo degli organismi non lucrativi di utilità sociale, degli organismi della cooperazione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di volontariato, degli enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese operanti nel settore nella programmazione, nella organizzazione e nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali (comma 4); quanto alla gestione e all’offerta dei servizi, la stessa è devoluta, oltre che ai soggetti pubblici, anche – in qualità di soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione concertata degli interventi – a organismi non lucrativi di utilità sociale, organismi della cooperazione, organizzazioni di volontariato, associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni, enti di patronato e altri soggetti privati (comma 5).

La legge quadro, in particolare, si è posta l’obiettivo di promuovere la partecipazione attiva dei cittadini, il contributo delle organizzazioni sindacali, delle associazioni sociali e di tutela degli utenti per il raggiungimento dei fini istituzionali di cui al comma 1. In tale prospettiva, I legislatore ha provveduto al riordino e alla revisione organica della disciplina vigente in materia di enti del c.d. “Terzo settore” (con il d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117), a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106, al fine dichiarato di sostenere l’autonoma iniziativa dei cittadini che concorrono, anche in forma associata, a perseguire il bene comune, ad elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, favorendo la partecipazione, l’inclusione e il pieno sviluppo della persona, a valorizzare il potenziale di crescita e di occupazione lavorativa, in attuazione degli articoli 2, 3, 4, 9, 18 e 118, quarto comma, della Costituzione (art. 1), riconoscendo il valore e la funzione sociale degli enti stessi, dell’associazionismo, dell’attività di volontariato e della cultura e pratica del dono quali espressione di partecipazione, solidarie1:à e pluralismo, promuovendone lo sviluppo, salvaguardandone la spontaneità ed autonomia e favorendone l’apporto originale per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, anche mediante forme di collaborazione con lo Stato, le Regioni, le Province autonome e gli enti locali (art. 2, comma 1). Inoltre, il legislatore ha definito tali enti, ritenendo rientrare nel Terzo settore «le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore» (art. 4, comma 1), indicando un dettagliato elenco delle attività di interesse generale, distinguendole per oggetto [art. 5, comma 1, lett. da a) a z)], con la clausola di salvaguardia di cui all’art. 6 che consente lo svolgimento anche di attività diverse da quelle di cui all’elenco contenuto nell’art. 5, a condizione che l’atto costitutivo o lo statuto lo consentano e siano secondarie e strumentali rispetto alle attività di interesse generale, secondo criteri e limiti definiti con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, nei limiti previsti dallo stesso articolo (tenendo conto, cioè, dell’insieme delle risorse, anche volontarie e gratuite, impiegate in tali attività in rapporto all’insieme delle risorse, anche volontarie e gratuite, impiegate nelle attività di interesse generale).

Margine di valutazione riconosciuto al giudice: la sostituzione della pena è discrezionale

Posta tale cornice normativa, deve precisarsi quale sia, poi, il margine di valutazione riservato al giudice chiamato ad applicare la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità.

Sul punto, qualche indicazione può ricavarsi dai principi affermati in tema di sostituzione della pena detentiva con quella del lavoro di pubblica utilità nella peculiare ipotesi prevista dall’art. 186, comma 9-bis, codice strada: questa stessa sezione, infatti, ha ritenuto che la sostituzione in tal caso sia rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, da compiersi secondo i criteri dettati dall’art. 133 cod. pen. (sez. 4, n. 15018 del 13/12/2013, dep. 2014, Rv. 261560, ripresa in sez. 4, n. 1015 del 10/12/2015, dep. 2016, Rv. 265799-01 e in sez. 4, n. 13466 del 17/1/2017, Rv. 269396-01).

Nel precedente più risalente, peraltro, si è precisato che «il lavoro di pubblica utilità ha natura di pena sostitutiva di quella principale, alla quale, ove non risulti l’opposizione dell’imputato e la ricorrenza delle condizioni ostative rappresentate dalla circostanza aggravante dell’avere causato un incidente stradale e dalla pregressa fruizione di analoga pena sostituiva, il giudice può decidere di fare ricorso; si tratta di un potere discrezionale che concerne l’an della sostituzione ma non la misura della stessa, risultando predeterminata dalla legge la durata del lavoro di pubblica utilità disposto in funzione sostitutiva». Peraltro, in quella sede, avvertita del fatto che altra sezione aveva diversamente ritenuto (essendosi affermato che, nella specifica ipotesi prevista da quella norma, fosse inibita al giudice ogni valutazione circa l’idoneità della misura ad assolvere o meno alla funzione rieducativa, essendo il divieto di applicazione normativamente ricollegato solo alla ricorrenza dell’aggravante di aver provocato un incidente stradale e alla pregressa fruizione di analoga sanzione sostitutiva, sez. 3, n. 20726 del 07/11/2012 – dep. 2013, Rv. 254998), la Corte ha precisato che la soluzione prospettata nel precedente richiamato sembrava non considerare il testo della norma, nella quale si utilizza il termine “può”. Pertanto, trattandosi di pena, anche la scelta della sostituzione non potrebbe non tener conto dei criteri previsti dall’art. 133 cod. pen., nessun elemento testuale avallando la tesi della automaticità della sostituzione in assenza di condizioni ostative. Sarebbe, inoltre, «ingiustificato pretermettere una prognosi giudiziale del successo del lavoro sostitutivo, che non è un obiettivo in sé ma è esso stesso, come già la pena principale, strumento di rieducazione, come dimostrano gli ulteriori effetti favorevoli al reo che si determinano in caso di positivo svolgimento». Indicatori a conferma del principio, sono peraltro desumibili, come precisato anche nel precedente richiamato, dall’analogo istituto previsto in materia di stupefacenti, rispetto al quale si è affermato che l’applicazione della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, prevista in caso di riconoscimento della circostanza attenuante della lieve entità del fatto per i reati in materia di stupefacenti, è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice (sez. 3, n. 6876 del 27/01/201, Rv. 249542; n. 26082 del 22/7/2020, Rv. 279757-01).

Ulteriore margine valutativo riguardo alle modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità e necessità di adeguata motivazione

Orbene, una volta precisato che la sostituzione è rimessa alla valutazione giudiziale, nella prospettiva dell’inveramento delle finalità proprie della pena, resta da considerare il margine di valutazione che il giudice conserva in ordine alle modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità e, a monte, alla selezione dell’ente o organizzazione preso i quali detto lavoro debba essere svolto. Infatti, nella specie, la Corte ha, con ogni evidenza, ritenuto in astratto sostituibile la pena, ma ne ha in concreto negato la sostituzione quanto alle modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità, avuto specifico riguardo alla selezione del soggetto presso il quale l’attività doveva essere prestata, ritenendo [segue la denominazione del soggetto] associazione privata che non persegue fini di utilità sociale in favore della collettività.

Trattasi, tuttavia, di una motivazione, la cui stringatezza non consente di verificarne l’adeguatezza rispetto alle allegazioni difensive. Essa, infatti, risulta inevitabilmente viziata poiché, in maniera contraddittoria rispetto agli elementi acquisiti, i giudici territoriali hanno ritenuto assenti le finalità proprie della sanzione sostitutiva in questione, semplicemente affermando, in maniera peraltro apodittica, che l’attività ricreativa e/o culturale sia, di per sé, estranea alle finalità della legge, senza richiamare lo scopo dell’associazione stessa delineato a mente del suo Statuto, neppure prendendo in considerazione, al fine di giustificare le proprie conclusioni, eventuali accordi sottoscritti dall’associazione stessa con l’autorità giudiziaria, intesi a dare attuazione agli scopi perseguiti dal legislatore con la previsione della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità.

Esito

La sentenza deve essere, pertanto, annullata limitatamente alle sole statuizioni concernenti l’applicazione della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità ai sensi dell’art. 56 bis, legge n. 689 del 1981, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello.