Ostacoli alle impugnazioni per l’imputato assente: la Cassazione suggerisce ai difensori di farsi nominare procuratori speciali ma non è proprio il caso di fidarsi (di Riccardo Radi)

Segnaliamo, tra le tante sentenze della cassazione in tema di impugnazione e necessità degli adempimenti previsti dall’articolo 581, comma 1-quater, cod. proc. pen., la numero 674/2024 della sezione 4 che in sostanza indica agli avvocati una via percorribile: “il difensore, qualora abbia motivo di ritenere che non riuscirà a farsi rilasciare il mandato specifico in tempo utile, potrà suggerire all’imputato, anche prima dell’emissione della sentenza, di nominare un procuratore speciale, come previsto dall’art. 571, co. 1, cod. proc. pen., che abbia il potere di proporre l’impugnazione”.

La Suprema Corte premette che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 581, commi 1-ter e 1-quater, cod. proc. pen., introdotti dagli artt. 33 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, e dell’art. 89, comma 3, del medesimo d.lgs., per contrasto con gli artt. 3, 24, 27, 111 Cost. e art. 6 CEDU, nella parte in cui richiedono, a pena di inammissibilità dell’appello, che, anche nel caso in cui si sia proceduto in assenza dell’imputato, unitamente all’atto di appello, sia depositata la dichiarazione o l’elezione di domicilio, ai fini della notificazione dell’atto di citazione, e lo specifico mandato ad impugnare rilasciato successivamente alla sentenza, trattandosi di scelta legislativa non manifestamente irragionevole, volta a limitare le impugnazioni che non derivano da un’opzione ponderata e personale della parte, da rinnovarsi “in limine impugnationis” ed essendo stati comunque previsti i correttivi dell’ampliamento del termine per impugnare e dell’estensione della restituzione nel termine (Sez. 4, n. 43718 del 11/10/2023), Rv. 285324.

L’asserito contrasto con i principi costituzionali poggia su un’indimostrata restrizione della facoltà d’impugnazione che deriverebbe dal chiedere all’imputato, assente per sua scelta al processo che lo ha riguardato di cui pure era stato posto a conoscenza, di indicare un domicilio che renda più agevole il processo di notificazione dell’atto d’impugnazione e, soprattutto, di rinnovare la propria volontà di proseguire in un ulteriore grado di giudizio, con possibili conseguenze negative per lui, quanto meno sotto il profilo della possibile condanna ad ulteriori spese.

Gli adempimenti formali di cui all’art. 581 commi 1-ter e 1-quater cod. proc. pen., tenuto conto della ratio sottesa alla loro introduzione devono intervenire all’atto dell’impugnazione, non prima né dopo di essa, sicché l’esistenza già in atti di un mandato ad impugnare o di una dichiarazione o elezione di domicilio non sortisce effetti rispetto all’impugnazione, essendo necessaria la rinnovata consapevole volontà dell’imputato nello specifico momento impugnatorio.

Affinché possano avere efficacia, anche rispetto all’impugnazione, la dichiarazione o elezione di domicilio effettuate in precedenza, è necessario che la loro allegazione sia indicativa di rinnovata volontà dichiarativa da parte dell’imputato, che esse refluiscano nel mandato specifico ad impugnare, come prevede la disposizione normativa di cui al comma 1-quater dell’art. 581 cod. proc. pen., o che, ove vengano allegate ai sensi del comma 1-ter dell’art. 581 cod., proc. pen., il loro contenuto reiterativo sia comunque in qualche modo riconducibile all’imputato. 

Ma – come si diceva – le norme tacciate d’incostituzionalità non prevedono affatto un restringimento della facoltà di impugnazione, bensì perseguono il legittimo scopo di far sì che le impugnazioni vengano celebrate solo quando si abbia effettiva contezza della conoscenza della sentenza emessa da parte dell’imputato, per evitare la pendenza di regiudicande nei confronti di imputati non consapevoli del processo, oltre che far sì che l’impugnazione sia espressione del personale interesse dell’imputato medesimo e non si traduca invece in una sorta di automatismo difensivo.

Altrettanto condivisibile, ragionevole e logica appare la ratio legis di operare una diversa scelta tra l’imputato presente nel processo e quello che ha deciso di non parteciparvi, se non attraverso la sua difesa tecnica.

E a fronte dell’obiezione che vi sarebbe comunque un aggravio di tempo che potrebbe stridere con i tempi a disposizione per poter proporre l’impugnazione, ma proprio ad evitare ciò e a garantire la compatibilità costituzionale della nuova disciplina, il legislatore ha contemplato tutele compensative rispetto alla nuova previsione, quali l’ampliamento di quindici giorni del termine per impugnare per l’imputato assente e l’estensione del rimedio della restituzione in termini per impugnare.

Il nuovo comma 1-bis dell’art. 585 cod. proc. pen., che disciplina i termini per l’impugnazione, prevede, infatti, che i termini, previsti a pena di decadenza, per proporre impugnazione di cui al comma 1 (15, 30 e 45 giorni a seconda dei casi) sono aumentati di quindici giorni (30, 45 e 60 giorni) per l’impugnazione del difensore dell’imputato giudicato in assenza.

E il nuovo comma dell’art. 175 cod. proc. pen. prevede, poi, che l’imputato giudicato in assenza sia restituito, a richiesta, nel termine per proporre impugnazione, qualora dia prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non aver potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa.

Il ricorrente parla dell’imputato assente come di una sorta di irreperibile.

Ma non è così.

La norma riguarda l’imputato assente ovvero quello che, a conoscenza del processo a suo carico, sceglie, qualunque sia la ragione, di essere assente e di farsi rappresentare dal difensore (art. 420-bis, co. 4 cod. proc. pen.).

La sua scelta deve essere volontaria e consapevole e il giudice è tenuto ad accertarlo (art. 420-bis, co. 1 e 2).

Il difensore, pertanto, non dovrebbe incontrare soverchie difficoltà a farsi rilasciare, dopo la sentenza di primo grado, il mandato specifico ad appellare.

Del resto, già il comma 3 dell’art. 571, soppresso dall’art. 46 della I. 16 dicembre 1999, n. 479, stabiliva che, contro una sentenza contumaciale, il difensore potesse proporre impugnazione solo se munito di specifico mandato, anche se tale mandato poteva essere rilasciato con la nomina o anche successivamente nelle forme per questa previste.

In ogni caso, il difensore, qualora abbia motivo di ritenere che non riuscirà a farsi rilasciare il mandato specifico in tempo utile, potrà suggerire all’imputato, anche prima dell’emissione della sentenza, di nominare un procuratore speciale, come previsto dall’art. 571, co. 1, cod. proc. pen., che abbia il potere di proporre l’impugnazione.

Brevi note di commento

La Cassazione indica, o sembra indicare, una via che in realtà a mio sommesso avviso – e attendo di essere corretto – non sembra percorribile perché non contempla la necessità della nuova elezione di domicilio prevista dall’articolo 581 comma 1-ter che comunque necessità della sottoscrizione dell’imputato assente e non mi sembra “superabile” con l’utilizzo dell’articolo 571, comma 1, c.p.p.

A ciò si aggiunga che la giurisprudenza fin qui formatasi sui citati commi 1-ter e 1-quater sembra in prevalenza improntata al formalismo più rigoroso tanto che la stessa quarta sezione penale della Suprema Corte, con la sentenza n. 37/2024 (oggetto di un nostro specifico commento, consultabile a questo link) ha affermato la necessità dell’allegazione dell’elezione o dichiarazione di domicilio all’atto di appello anche in presenza di una preesistente elezione.

È a questo punto legittima una domanda: se il formalismo di cui si parla arriva a pretendere una nuova elezione di domicilio considerando priva di effetto quella precedente, perché mai dovrebbe accogliere con benevolenza la procura speciale rilasciata addirittura prima dell’emissione della sentenza da impugnare?

E stando così le cose, il difensore che si fidasse della sparuta decisione di un singolo collegio di una singola sezione e non tenesse conto del più ampio, e per certi versi desolante, panorama interpretativo della cosiddetta Corte regolatrice e per questa imprudenza incassasse un’inammissibilità, come potrebbe giustificarsi con l’assistito e come potrebbe evitare un’azione di responsabilità professionale?

No, mille volte no.

La Cassazione faccia il suo e cerchi di farlo come si deve, io difensore faccio il mio e in questo mio è compreso l’obbligo di non fidarmi della Cassazione.