
“L’avvocato deve nascondere ai suoi clienti i sui malanni, altrimenti li perde inesorabilmente”, queste parole mi sono state dette questa mattina da un collega che non incontravo da tempo e che purtroppo ho “ritrovato” sulla sedia a rotelle.
Ho condiviso con lui alcuni processi e rivederlo mi ha procurato piacere e nello stesso tempo dolore ma soprattutto sono rimasto toccato dalle sue amare parole: “Caro Riccardo, la professione legale non ha paracadute o stampelle che aiutano o sorreggono nei momenti di difficoltà e quando le avversità della vita ti mettono alla prova ti rendi conto che gli assistiti sono i primi a voltarti le spalle.
Loro che ti hanno incensato fino ad un attimo prima.
Ho provato a nascondere le mie precarie condizioni di salute ma erano evidenti e nonostante la solidarietà dei colleghi, che si sono prestati per sostituirmi, ho perso quasi tutti i miei clienti”.
Ci siamo salutati e sono rimasto interdetto nel ripensare che è una sacrosanta verità.
Noi avvocati, ed in genere tutti i professionisti, dobbiamo in primo luogo augurarci di godere sempre di buona o almeno discreta salute.
Non possiamo permetterci il lusso di star male.
Quanti di noi hanno conosciuto la malattia e ciò nonostante spesso abbiamo accelerato cure e convalescenza per ritornare al lavoro.
La domanda è se tutto questo dipenda da quel senso del dovere che accompagna la professione o l’amara verità è che siamo consapevoli che altrimenti rischiamo di perdere i nostri clienti?
Certo è triste dover constatare che la riconoscenza è latitante in tante di quelle persone che tante volte hai “salvato” dal carcere o dalle difficoltà e per le quali hai trascorso notti insonni o trascurato sentimenti o persone care ma d’altronde come scriveva Cesare Lombroso: “La riconoscenza non esiste in natura, è dunque inutile pretenderla dagli uomini”.

Devi effettuare l'accesso per postare un commento.