Il CSM sanziona disciplinarmente la “giustizia fai da te” di una magistrata molestata (di Vincenzo Giglio)

Premessa

Dalla homepage del sito web istituzionale del Consiglio superiore della magistratura (CSM) si può accedere alla pagina denominata “sezione disciplinare” e da questa alle ulteriori pagine “giurisprudenza disciplinare” e “massimario delle decisioni”.

Cliccando sulla prima delle due si accede ad un elenco di sentenze della Sezione disciplinare che, evidentemente, sono state ritenute degne di particolare interesse.

La pagina include solo quattro decisioni dell’anno appena finito e tra queste c’è la sentenza n. 33/2023, del 21 febbraio 2023 (allegata alla fine del post in forma anonimizzata).

L’incolpata è una magistrata del pubblico ministero alla quale è stato contestato di avere mancato ai suoi doveri di correttezza ed equilibrio, tenendo un comportamento gravemente scorretto nei confronti di un collega in occasione della candidatura di quest’ultimo alla dirigenza di una Procura della Repubblica.

Il comportamento in questione sarebbe consistito in un’ingerenza indebita nel procedimento di nomina, realizzata attraverso la chiamata in causa di un terzo magistrato, leader di una corrente dell’associazionismo giudiziario e già componente del CSM, al quale avrebbe chiesto di adoperarsi per la bocciatura della predetta candidatura.

L’incolpata avrebbe agito in tal modo per una sorta di rivalsa morale in danno del collega candidato che in precedenza avrebbe violato la sua sfera di libertà sessuale, sottoponendola ad una condotta abusante.

Sempre secondo il capo di incolpazione, l’interessata avrebbe comunicato al magistrato cui aveva chiesto di intervenire che, se non avesse assecondato il suo piano, sarebbe stata disposta a tutto pur di affossare la candidatura del collega detestato.

Si anticipa fin d’ora che, a fronte della richiesta congiunta di assoluzione della Procura generale presso la Corte di cassazione e della difesa dell’incolpata (per scarsa rilevanza del fatto la prima, per insussistenza del fatto la seconda), la Sezione disciplinare ha ritenuto provato l’addebito e irrogato all’interessata la sanzione della censura.

Le ragioni della decisione

…Acquisibilità ed utilizzabilità dei messaggi e delle chat WhatsApp

Il giudice disciplinare ha ritenuto sia acquisibili che utilizzabili i messaggi e le chat dal cui contenuto è derivata l’incolpazione, aderendo all’indirizzo interpretativo fondato sulla natura amministrativa e non penale del giudizio disciplinare e sulla conseguente inapplicabilità in questo delle norme più restrittive e garantistiche (tra queste l’art. 270 cod. proc. pen.) del procedimento penale.

…L’affermazione della responsabilità dell’incolpata

Data per scontata la materialità dei fatti, la Sezione disciplinare non ha riconosciuto alcun valore esimente alle giustificazioni offerte dall’incolpata nell’interrogatorio reso al PG ed in una successiva memoria.

Costei aveva dichiarato di avere interrotto ogni rapporto con il magistrato candidato dopo esserne stata molestata la sera dell’11 dicembre 2015.

I messaggi inviati al collega leader della sua corrente associativa erano dunque dettati dalla necessità di lenire la sofferenza causatale dalla violenza subita e di ripristinare la giustizia che non le era stato possibile ottenere nella sede appropriata a causa di una sua personale “dolorosissima determinazione”.

Il collegio disciplinare, giunto a questo punto della motivazione, ricorda che il magistrato candidato è stato anch’egli e in precedenza incolpato disciplinarmente per aver compiuto un illecito disciplinare conseguente ad una condotta di violenza sessuale compresa tra quelle perseguibili a querela di parte e sottoposto alla sanzione disciplinare della perdita di due mesi di anzianità.

Tale condotta esula tuttavia dall’oggetto del giudizio in esame che deve essere esclusivamente focalizzato su quella tenuta dall’incolpata.

Su questo presupposto, il giudice disciplinare ha stigmatizzato la scelta dell’interessata di ricorrere ad un’obliqua “giustizia fai da te” piuttosto che denunciare l’accaduto all’autorità giudiziaria nell’immediatezza dei fatti.

Così facendo ha dimostrato, a dispetto del suo status di magistrata, una “evidente e profonda sfiducia nell’istituzione giudiziaria così direttamente colpendone il prestigio” ed ha leso “la sua stessa immagine di magistrata attraverso l’indebita via dell’appartenenza correntizia“.

L’incolpata, in definitiva, si è ingerita inammissibilmente in una procedura di rilievo istituzionale, al di fuori dei canali partecipativi previsti e delle fonti informative ammesse, con l’altrettanto inammissibile intento di ottenere “una riparazione per l’abuso, pur grave, subìto“, all’insegna di “una giustizia privata inammissibile in quanto tale per qualunque cittadino e ancor di più se chi vi fa ricorso è un magistrato“.

Con uguale convinzione la Sezione disciplinare ha escluso l’esimente della scarsa rilevanza del fatto, attesa la pesante interferenza sulle attività e prerogative consiliari in occasione di una nomina di particolare rilievo.

Note di commento

Si comprende meglio adesso perché la sentenza qui commentata è tra le pochissime del 2023 ad essere evidenziata nell’elenco dei provvedimenti disciplinari.

Una magistrata che assume di essere stata abusata sessualmente da un collega, che non denuncia la violenza di cui sarebbe stata vittima pur dichiarando di esserne stata traumatizzata, che a quattro anni di distanza dal fatto, allorché si sta per decidere chi dirigerà una delle Procure più importanti d’Italia e il presunto abusante è tra i papabili che potrebbero arrivare alla meta, intravede l’opportunità di ottenere la riparazione morale cui ha rinunciato nella sede più appropriata, che assilla a tal fine il capo indiscusso della sua corrente e gli intima di fare quello che serve per stoppare il candidato inviso, che minaccia in caso contrario di ricorrere ad ogni mezzo pur di ottenere il risultato.

Un altro magistrato, il presunto abusante, che viene sottoposto a giudizio disciplinare prima della presunta abusata e viene riconosciuto responsabile di un illecito collegato alla commissione del reato di violenza sessuale nonostante la sua improcedibilità per difetto di querela.

Un terzo magistrato, il potente leader di una storica corrente dell’ANM già componente del CSM e, all’interno di questa, della commissione incarichi direttivi e della stessa Sezione disciplinare, che anziché dissuadere la collega che gli chiede un intervento indebito la asseconda e promette il suo massimo impegno.

Sullo sfondo il CSM della scorsa consiliatura, quello che passerà alla storia per le dimissioni a raffica di suoi componenti, per la messa a nudo del massivo ricorso a pratiche consociative soprattutto in occasione delle nomine dei dirigenti dei più importanti uffici giudiziari italiani, per i procedimenti penali e disciplinari che ne sono seguiti, peraltro con esiti quantomai esigui ed anche piuttosto contraddittori rispetto alle roboanti dichiarazioni di guerra che ne avevano accompagnato l’avvio, per l’oggettiva perdita di prestigio e di credibilità dell’organo di autogoverno della magistratura, per l’altrettanto oggettiva incapacità dell’associazionismo giudiziario e dei suoi leader di contrastare il carrierismo e il consociativismo, per la timidezza e la lentezza degli interventi correttivi spettanti ai decisori istituzionali.

È una brutta storia quella che esce dalle pagine della sentenza della Sezione disciplinare, comunque la si voglia considerare e quale che sia la visuale prescelta.

Nessuno dei suoi protagonisti, stando ai fatti finora accreditati dalle due vicende disciplinari che si sono incrociate, si è orientato in modo corrispondente ai doveri del suo status professionale, al contrario tutti li hanno traditi.

Se questo fosse uno stress test per valutare la legittimità della pretesa primazia etica della magistratura come fonte legittimante del formidabile potere che si è intestata in questi ultimi decenni, si potrebbe solo dire che il risultato è stato fallimentare.