Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 238/2024, udienza del 7 dicembre 2023, ha ad oggetto un ricorso contro un’ordinanza del tribunale del riesame che potrebbe essere additata come esempio di ciò che un organo di garanzia dovrebbe fare ma non ha fatto e non dovrebbe fare ma ha fatto.
Vediamo in che termini.
Ricorso
RB ha impugnato per cassazione l’ordinanza del tribunale, in funzione di giudice del riesame cautelare, che ha confermato l’ordinanza con la quale la ricorrente è stata sottoposta alla misura della custodia cautelare in carcere per i reati di cui agli artt. 416-bis, 629 e 512-bis cod. pen., gli ultimi due aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen.
La decisione della Corte di cassazione
Il primo, secondo e quarto motivo di ricorso, relativi alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati di cui agli artt. 416-bis, 629 e 512-bis cod. pen. sono fondati e ciò ha una valenza assorbente rispetto all’esame delle questioni, dedotte con il terzo, quinto e sesto motivo di ricorso, relative alla configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. ed alle esigenze cautelari.
…Considerazioni preliminari
Innanzitutto, il collegio ritiene necessarie alcune considerazioni preliminari sulla struttura del provvedimento impugnato.
Come si dirà di seguito, esaminando specificamente i motivi di ricorso, l’ordinanza presenta una struttura motivazionale complessivamente inadeguata in quanto, riportando in modo disorganico brani delle conversazioni intercettate, senza, peraltro, corredarli da congrue argomentazioni in merito alla loro rilevanza “individualizzata”, non consente di apprezzare la consistenza degli elementi valutati ai fini della conferma del giudizio di gravità del quadro indiziario a carico della ricorrente.
Tale lacuna motivazionale è ulteriormente aggravata dalla mancata descrizione delle condotte criminose oggetto dei capi di imputazione provvisoria. Ciò rende ancora meno comprensibile la valutazione di pertinenza e rilevanza degli elementi indiziari emergenti dalle conversazioni riportate nel provvedimento impugnato.
…Il tema della gravità indiziaria
Passando all’esame del primo motivo di ricorso, ad avviso del collegio colgono nel segno le censure difensive relative al giudizio di gravità indiziaria relativo sia alla sussistenza del sodalizio mafioso che alla partecipazione della ricorrente.
In primo luogo, la mancata indicazione del capo di imputazione provvisoria non consente di comprendere a quale ‘ndrina si fa riferimento, chi sarebbero, al di là del padre e del fratello dell’indagata, i presunti sodali con i quali l’indagata avrebbe rapporti ed il tempo cui si riferisce la contestazione in esame.
Tale ultimo particolare assume rilevanza con riferimento alla preliminare valutazione concernente l’esistenza e l’operatività del sodalizio mafioso.
L’ordinanza impugnata – invertendo, peraltro, l’ordine logico delle questioni da esaminare allorché viene contestata la partecipazione ad un siffatto sodalizio criminale – ha dapprima indicato gli elementi reputati sintomatici della partecipazione della ricorrente alla consorteria mafiosa per poi dedicare poche righe, alla valutazione relativa alla sua esistenza ed operatività nel periodo cui si riferisce l’imputazione provvisoria, periodo che, si ribadisce, non è in alcun modo menzionato dal tribunale.
In particolare, il tribunale ha fatto riferimento esclusivamente ad una sentenza non definitiva che avrebbe accertato l’esistenza e l’operatività in B. di una consorteria di tipo mafioso diretta da AA, a sua volta coadiuvato dal defunto padre della ricorrente e da LF.
Tale generica argomentazione omette, tuttavia, di fornire particolari rilevanti nel presente procedimento, quali, ad esempio, il periodo coperto dall’accertamento giudiziale che, secondo quanto dedotto dalla ricorrente, aveva ad oggetto una contestazione chiusa al 2013. Manca, inoltre, qualunque considerazione in ordine alla esistenza ed operatività del sodalizio, a fronte degli accertamenti giudiziari e del decesso del padre della ricorrente, anche nel periodo cui dovrebbe riferirsi l’imputazione provvisoria.
Peraltro, anche a voler ritenere la sentenza in questione quale indizio sufficiente della esistenza ed operatività del sodalizio mafioso, va rilevato che anche la motivazione sulla gravità degli indizi di colpevolezza della ricorrente in ordine alla sua partecipazione al sodalizio risulta gravemente lacunosa e inadeguata.
Il tribunale ha, infatti, considerato, in termini sostanzialmente apodittici, i seguenti elementi reputati sintomatici di siffatta partecipazione:
1) i contatti emersi dalle intercettazioni con altre “realtà criminose limitrofe”, soprattutto il “clan LR”, grazie ai quali la ricorrente, il fratello e il compagno della donna gestirebbero in regime di monopolio l’attività di noleggio con conducente, imponendo agli altri operatori la divisione degli incarichi ed il pagamento di percentuali sui profitti;
2) la condotta della ricorrente consistita nell’assicurare «le comunicazioni con il padre BFG in relazione agli affari della cosca» e nell’essersi rivolta a esponente della locale di Z, FB, per risolvere una problematica lavorativa quale impiegata nel ….
Rileva, tuttavia, il collegio che l’elencazione di tali elementi appare meramente assertiva e priva della indicazione degli specifici elementi indiziari da cui il tribunale ne ha tratto la sussistenza. In particolare, come eccepito dalla ricorrente, manca l’indicazione degli elementi fattuali da cui è stata desunta la sua funzione di “portavoce” del padre detenuto. Manca, inoltre, una sufficiente descrizione degli episodi relativi ai rapporti con l’altro clan, avuto riguardo ai soggetti che avrebbero svolto le trattative, alle modalità di esercizio del presunto monopolio ed alla sua rilevanza quale sintomo di partecipazione al sodalizio mafioso. Analoga genericità connota, infine, l’ulteriore episodio relativo alla richiesta di intervento del B, senza alcuna specificazione, ad esempio, della sua intraneità o meno alla stessa ‘ndrina di cui si ritiene partecipe la ricorrente, ai particolari specifici di tale richiesta ed al suo contenuto.
Inoltre, anche volendosi prescindere dal carattere meramente assertivo di tale elencazione, la stessa non è stata corredata da alcuna argomentazione che ne chiarisca la rilevanza sintomatica della intraneità della ricorrente al sodalizio.
Va, infatti, rammentato che, secondo la nozione consolidata elaborata dalla giurisprudenza di legittimità, la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizza per lo stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua “messa a disposizione” in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (così, da ultimo, Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889).
Si è, infatti, affermato che la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno “status” di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889; Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231670).
Al fine della valutazione dell’appartenenza, assume, quindi, assoluta decisività la possibilità di attribuire al soggetto la realizzazione di un qualsivoglia “apporto concreto”, sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell’associazione, tale da far ritenere avvenuto il dato dell’inserimento attivo con carattere di stabilità e consapevolezza oggettiva.
…L’accusa di estorsione
Il secondo motivo di ricorso è fondato.
Premesso che, nel silenzio dell’ordinanza impugnata in ordine al contenuto del capo 48 dell’imputazione provvisoria, il collegio non è in grado di comprendere gli esatti termini della vicenda estorsiva in contestazione, va, comunque, evidenziato che l’ordinanza impugnata si è limitata a trascrivere brani di conversazioni dai quali, al più, sembrerebbe emergere che il fratello della ricorrente avrebbe percepito delle somme di denaro da un soggetto che, sulla base del riferimento all’aggettivo “vecchio” contenuto in una delle conversazioni intercettate («..mille li porta il vecchio…»), è stato apoditticamente identificato dal tribunale nel titolare della struttura turistica “GG”. Inoltre, il tribunale fa riferimento, sempre in termini meramente assertivi, ad un “controllo diretto” della struttura turistica da parte del sodalizio mafioso, senza, peraltro, alcun concreto riferimento agli elementi indiziari da cui ha desunto tale circostanza, alle modalità attraverso le quali veniva esercitato detto controllo, alla sua incidenza sull’episodio estorsivo in contestazione, e, soprattutto, al ruolo che sarebbe stato svolto dalla ricorrente.
Ebbene, in disparte ogni considerazione sul carattere apodittico della riferibilità alla presunta persona offesa del soprannome “vecchio”, rileva il collegio che il tribunale, focalizzando l’attenzione sulla sola riscossione del denaro e su un apodittico “controllo” della struttura da parte del sodalizio mafioso, ha omesso di argomentare in merito agli indizi di colpevolezza concernenti la condotta costrittiva causalmente correlata a tale versamento di denaro, mancando la quale viene meno la stessa configurabilità di una fattispecie di estorsione. Nulla viene detto sull’autore di tale condotta e sul contributo che sarebbe stata fornito dalla ricorrente, non essendo a tal fine sufficiente che costei sia stata edotta dal fratello dei soldi percepiti dal “vecchio” o di quelli che, sulla base di altra conversazione reputata rilevante dal tribunale, sarebbero stati corrisposti da tal “D” del quale, peraltro, l’ordinanza impugnata non si premura di fornire alcun dato identificativo né, tantomeno, di spiegare in che modo costui sia coinvolto nell’episodio estorsivo in contestazione.
…Il tema del trasferimento fraudolento di valori
Anche il quarto motivo di ricorso è fondato.
Rileva, al riguardo, il collegio, che, in disparte le considerazioni già svolte in merito alla mancata descrizione della condotta criminosa contestata ai sensi dell’art. 512-bis cod. pen., anche rispetto a tale reato l’ordinanza impugnata presenta una motivazione estremamente lacunosa allorché esamina gli indizi di colpevolezza a carico della ricorrente. A fronte della analitica descrizione di un compendio indiziario sintomatico della gestione, o della co-gestione, di fatto della società intestata a B e Z da parte di GAB, il tribunale si limita, infatti, a riportare, quali elementi indiziari a carico della ricorrente, una frase estrapolata da una conversazione della quale non viene specificato alcun ulteriore elemento di contesto, in cui la donna diceva, secondo il tribunale riferendosi al B, «…perché deve fare quello che dico io…» e altro brano di una conversazione tra la ricorrente e il padre in cui quest’ultimo diceva «…i conti li devono fare “M”, A e L». Ebbene, premesso che in altra parte dell’ordinanza si specifica che il soprannome di Z sarebbe “figlio di M” e che, dunque, detta ultima conversazione sembrerebbe riferibile ad una spartizione dei profitti tra i due intestatari formali ed il fratello della ricorrente, rileva il collegio che gli elementi indicati dal tribunale non appaiono sufficienti a delineare né una intestazione fittizia della società a B e Z, nell’accezione che sarà di seguito specificata, né lo specifico contributo, anche solo morale, apportato dalla ricorrente.
Va, infatti, rammentato che secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, dal collegio pienamente condivisa, per l’integrazione del reato di trasferimento fraudolento di valori non è sufficiente l’accertamento della mera disponibilità del bene da parte di chi non ne risulta essere formalmente titolare, in quanto occorre la prova, sia pur indiziaria, della provenienza delle risorse economiche impiegate per il suo acquisto da parte del soggetto che intenda eludere l’applicazione di misure di prevenzione, principio affermato anche nella ipotesi di costituzione o trasferimento di attività d’impresa, in caso di assunzione della qualità di gestore o socio occulto (cfr., fra le tante, Sez. 2, n. 19649 del 03/02/2021, Rv. 281423; Sez. 2, n. 28300 del 16/04/2019, Rv. 276216; Sez. 6, n. 26931 del 29/05/2018, Rv. 273419; Sez. 1, n. 42530 del 13/06/2018, Rv. 274024).
Richiamando questo costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, si è da ultimo ribadito che, «al fine di ritenere configurabile il reato contestato, è necessario dimostrare, seppure nei limiti delle regole probatorie proprie dell’incidente cautelare, che l’impresa è stata costituita, in tutto o in parte, con risorse riconducibili all’indagato oppure che alla stessa, se preesistente, sono state trasferite risorse economiche del medesimo o, ancora, che l’azienda è stata retrocessa all’indagato, entrando effettivamente a far parte del suo patrimonio, pur rimanendo fittiziamente intestata al precedente titolare» (così Sez. 5, n. 146 del 15/11/2021, dep. 2022, non mass.), cosicché, in ossequio al principio di tassatività, si è esclusa la rilevanza, ai fini della configurabilità del reato in esame, del solo simulato trasferimento dei compiti di amministrazione di una società commerciale, anche nel caso in cui la condotta sia finalizzata alla elusione dell’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali (Sez. 2, n. 29633 del 28/05/2019, Rv. 276733).
Inoltre, quanto all’elemento psicologico del reato, la norma richiede il dolo specifico ed il perseguimento di una delle finalità, elusive o agevolatrici, espressamente previste dall’art. 512-bis cod. pen. In particolare, quanto alla finalità di eludere le disposizioni in tema di misure di prevenzione patrimoniale, è stato condivisibilmente affermato che il delitto di trasferimento fraudolento di valori può essere commesso anche da chi non sia ancora sottoposto a misure di prevenzione patrimoniali e ancora prima che il relativo procedimento sia iniziato, occorrendo solo, ai fini della configurabilità del dolo specifico, che l’interessato possa fondatamente presumere l’avvio di detto procedimento (Sez. 5, n. 1886 del 07/12/2021, Rv. 282645).
Alla luce delle coordinate ermeneutiche sopra esposte, risulta, dunque, evidente il deficit della motivazione dell’ordinanza impugnata che, sovrapponendo i piani del trasferimento fittizio della società con quello della sua gestione occulta, si è limitata a valorizzare solo quest’ultimo piano senza alcun riferimento: a) alla provenienza delle risorse per la costituzione della società o, comunque, confluite nel suo patrimonio anche solo per l’acquisto delle sue quote, dal patrimonio del soggetto esposto al rischio di sottoposizione a misura di prevenzione patrimoniale; b) alla individuazione di tale soggetto che, da taluni passaggi dell’ordinanza, sembrerebbe da individuare nel padre dell’indagata; c) al tempo in cui sarebbe avvenuto detto trasferimento di risorse, tenuto conto del sopravvenuto decesso di quest’ultimo; d) allo specifico contributo apportato dall’indagata.
…L’esito
All’accoglimento del ricorso consegue l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al tribunale di …, competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen. pen.
Note di commento
Bastano davvero poche parole per concludere questo post e si possono condensare in una semplice domanda: a che serve un tribunale del riesame che non riesamina?
