
Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 241/2024, udienza del 20 dicembre 2023, ha l’orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità secondo il quale è illegittima, per violazione del principio di proporzionalità, l’applicazione, al pubblico ufficiale autore di delitti contro la pubblica amministrazione, di una misura cautelare custodiale o anche di una misura coercitiva, qualora in tal modo si sia voluto esclusivamente contenere un pericolo connesso ai bisogni elencati dall’art. 274 cod. proc. pen., quale quello di reiterazione di reati della stessa specie, se la stessa esigenza può essere efficacemente soddisfatta attraverso l’applicazione della meno grave misura interdittiva della sospensione dal servizio (in questo senso, tra le molte, Sez. 6, n. 32402 del 16/07/2010, Rv. 248323; Sez. 6, n. 13093 del 05/03/2014, Rv. 259504; Sez. 6, n. 11806 del 11/02/2013, Rv. 255720).
Di tale regula iuris il tribunale non ha fatto corretta applicazione.
Dopo aver sostenuto che è concreto il rischio che il ricorrente “se non fermato con una adeguata misura cautelare, continuerà ad usare la funzione pubblica per esigenze private” e dopo aver asserito che il pericolo di inquinamento probatorio è connesso alla possibilità che il prevenuto “possa impedire la ricerca investigativa degli ulteriori accessi abusivi molto probabilmente realizzati attraverso le banche dati in uso alla guardia di finanza“, il collegio del riesame ha molto genericamente fatto riferimento alla eventualità che l’interessato prosegua ad “usare i mezzi illeciti adoperati” e al coinvolgimento di “terzi soggetti” ovvero di “altri contatti” di cui il ricorrente medesimo avrebbe potuto continuare a beneficiare: senza, però, prendere in considerazione ovvero altrimenti valutare la possibilità – espressamente prospettata dalla difesa – che quei bisogni processuali potessero essere concretamente soddisfatti con l’applicazione di una misura coercitiva meno rigorosa di quella degli arresti domiciliari ovvero della misura interdittiva di cui all’art. 289 cod. proc. pen., la cui idoneità e proporzionalità è stata negata con una mera formula di stile.
L’ordinanza impugnata va, dunque, annullata limitatamente all’applicazione dei criteri di scelta della misura, con rinvio al tribunale che, nel nuovo giudizio, si uniformerà all’indicato principio di diritto.

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