
Le disposizioni concernenti la giustizia riparativa rappresentano la massima espressione finalizzata alla stimolazione della deflattività del dibattimento, declinano l’introduzione nell’ordinamento processuale penalistico della figura del mediatore penale per la risoluzione alternativa alla modalità giurisdizionale, e, questa normativa precisa le utilizzabilità nell’eventuale processo delle attività e degli atti posti in essere durante il programma senza l’obbligatoria presenza del difensore.
La partecipazione attiva e volontaria, il consenso espresso, equa considerazione dei soggetti del programma, il coinvolgimento della comunità, la riservatezza delle attività, la scansione temporale, la ragionevolezza e la proporzionalità sono principi supremi che orientano, guidano e praticano l’intera riparazione. Le regole generali dell’art. 43, sia in punta di principio, sia in tema di obiettivi, si soffermano, necessariamente, attraverso una esplicazione garantita dell’art. 111 Cost, sulle caratteristiche di indipendenza e di “equoprossimità” del mediatore rispetto ai soggetti, alla finalità, al programma ed all’eventuale risultato positivo per evitare di adire l’autorità competente.
I principi e gli obiettivi dell’art 43 della legge sono la ragionevolezza astratta di ogni norma dell’innovata risoluzione delle questioni penali in modo alternativo e/o sostitutivo alla giurisdizione attraverso la massima manifestazione di volontà dei soggetti coinvolti. Il principio volontaristico ed il concetto di autodeterminazione in tema di attivazione dell’autorità giurisdizionale proiettano il sistema complessivo processuale verso una situazione di subordinazione dell’esercizio del terzo potere dello Stato alla consapevolezza piena ed esclusiva dei soggetti coinvolti nel fatto storico senza l’obbligo di assistenza tecnica ai sensi dell’art. 48 comma 6, affievolendo principi fondamentali dell’ordinamento come la pretesa punitiva dello Stato, il diritto alla difesa tecnica in ogni fase e la funzione sociale del processo per la restaurazione del patto sociale leso dall’azione delittuosa accertata.
La disponibilità della giurisdizione in capo ai soggetti, con l’espressione del consenso ai sensi dell’art. 48, e, quindi, la volontà di attivare il programma riparativo in sostituzione all’accertamento di cognizione ordinario, viene anticipata con una “disponibilità della disponibilità eventuale e preventiva” ai sensi dell’art. 44 comma 3 “qualora si tratti di delitti perseguibili a querela, ai programmi di cui ai commi 1 si può accedere anche prima che la stessa sia stata proposta.” La possibilità/ facoltà del comma 3 dell’art. 44 è “il consenso del consenso” nella disponibilità della preventiva potenziale disponibilità della giurisdizione.
Insomma, la prevenzione all’eventuale consenso di risoluzione alternativa e sostitutiva alla giurisdizione senza l’attivazione dell’autorità competente, e, addirittura in mancanza totale di una notizia di reato. Una soglia anticipatoria talmente antecedente che sembra stimolare i soggetti “alle trattative delle trattative” in un terreno di estrema “ratio” e di garanzia come quello del diritto penale.
La norma di apertura della disciplina (art. 42 della legge) legifera inutilmente la nozione di “vittima del reato”, di “persona indicata come autore dell’offesa”, il concetto di “familiare”, quasi ad elevare il tenore dispositivo, portando il testo legislativo nell’ambito della teoria generale del diritto penale. L’art. 42 va letto in una ottima di ricostituzione dei legami con la comunità ai sensi dell’art 43 comma 2 e, va inquadrato nel “chiunque altro vi abbia interesse” della lettera d) dell’art 45, rubricato “Partecipanti ai programmi di giustizia riparativa”.
Dunque, i soggetti, che aderiscono al programma, hanno il diritto all’informazione, il dovere di riservatezza, e, altri diritti di rango costituzionale come il diritto all’assistenza linguistica ai sensi dell’art. 49 della Legge. Però, i partecipi del programma di giustizia riparativa, ai sensi dell’art. 48 comma 1, esprimono un consenso “personale”, “libero”, “consapevole”, “informato ed espresso in forma scritta” in una propensione di abdicazione, sostituzione, subordinazione dell’autorità giurisdizionale al pieno convincimento autodeterminato di risoluzione attraverso il mediatore, senza obbligare le parti a nominare un difensore di fiducia ai sensi dell’art. 48 ultimo comma, “quando questi lo richiedono”.
Il non obbligo di nominare un difensore di fiducia durante il programma, e, di conseguenza la mera facoltà all’assistenza tecnica, va interpretato inevitabilmente, ed in modo inequivocabile, con la norma dell’“inutilizzabilità” ai sensi dell’art 51 della Legge. Il dispositivo recita “le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso del programma non possono essere utilizzate nel procedimento penale e nella fase dell’esecuzione della pena, fatti salvi i contenuti della relazione di cui all’articolo 57 e fermo quanto disposto nell’art. 50, comma 1.” Se l’art. 51 non avesse previsto delle eccezioni, in tema di utilizzabilità, sarebbe stato pacifico ed accettabile la disposizione facoltativa della nomina di fiducia ai sensi dell’art. 48, comma 6, “quando questi lo richiedono”. Le dichiarazioni e le informazioni rese durante il programma sono utilizzabili in due casi: quando, il mediatore deve non rispettare il segreto ai sensi dell’art 52 poiché è obbligato a procedere a relazionare all’autorità giudiziaria in tema di andamento del programma ai sensi dell’art. 57, e, quando, senza assistenza tecnica, e, senza le garanzie previste dal codice di rito, ad. esempio, i diritti dell’indagato in sede di interrogatorio, ai sensi dell’art 50 “vi sia il consenso dei partecipanti alla rivelazione.”; pertanto, così, ledendo il diritto di difesa e le garanzie della persona sottoposta ad indagine.
Ovviamente, tenuta ferma la possibilità del mediatore di rivelare quando “ritenga assolutamente necessaria per evitare la commissione di imminenti o gravi reati”. Da un lato la sicurezza pubblica, la pretesa punitiva dello Stato, e la tranquillità sociale, dall’altro una clausola talmente ampia da responsabilizzare eccessivamente un soggetto esperto e tecnico, come il mediatore, ma, sicuramente, figura esterna ad un potere della repubblica, caricato di un peso generale estremo nella valutazione della “imminenza” del reato o nella ponderazione della gravità.
La clausola di chiusura del primo comma “ovvero che le dichiarazioni integrino di per sé reato”, e, quindi, l’obbligo a trasmettere la notizia di reato da parte del mediatore all’autorità competente, carica questa figura di una funzione pubblica in termini di risoluzione, di prevenzione, di sollecitazione e di controllo degli illeciti penali a tal punto da ricoprire contemporaneamente il ruolo di polizia giudiziaria, di magistrato del pubblico ministero e, senza dubbio, ruolo risolutore terzo ed imparziale in una logica privata e non di funzione giurisdizionale pubblica.
La giustizia ripativa, non è deflattiva del dibattimento, in una visione di “trazione anticipata” del processo, ma, è deflattiva, sostitutiva ed abdicativa della giurisdizione, anticipando la risoluzione di controversie penali al tal punto da riparare una circostanza, una situazione, una comunità in assenza di querela in un quadro di riforma che aumenta i delitti perseguibili su istanza, e di, conseguenza in mancanza di un fatto illecito da accertare.
L’ “arbitrato” penale mortifica i diritti fondamentali, le garanzie degli indagati, e svilisce il processo penale come termometro della civiltà di un paese.

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