“Tempo silente” e valutazione delle esigenze cautelari per gli accusati di partecipazione ad associazione mafiosa (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 47641/2023, udienza del 21 settembre 2023, offre una summa degli orientamenti interpretativi in materia di valutazione delle esigenze cautelari nello specifico ambito delimitato dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen, con specifico riguardo al cosiddetto “tempo silente”, cioè quello intercorso tra l’epoca alla quale risalgono i fatti contestati e la verifica dell’attualità delle esigenze cautelari, sia nel momento dell’emissione della misura che di seguito a fronte di eventuali istanze di revoca o modifica migliorativa.

Gli indirizzi interpretativi presenti nella giurisprudenza di legittimità

…Il primo indirizzo (irrilevanza del tempo in assenza di segnali di rescissione del vincolo associativo)

Secondo un primo orientamento, l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. prevede una doppia presunzione: relativa, quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari, ed assoluta con riguardo all’adeguatezza della misura carceraria; ne consegue che in presenza di gravi indizi di colpevolezza del delitto di partecipazione ad un’associazione mafiosa il giudice non ha un obbligo di dimostrare in positivo la ricorrenza dei “pericula libertatis” ma deve soltanto apprezzare l’eventuale sussistenza di segnali di rescissione del legame del soggetto con il sodalizio criminale tali da smentire, nel caso concreto, l’effetto della presunzione, in mancanza dei quali trova applicazione in via obbligatoria la sola misura della custodia in carcere.

Secondo tale orientamento, il periodo di tempo intercorso tra i fatti commessi e l’applicazione della misura non rileva ai fini di escludere la sussistenza della presunzione, sicché, qualora sia stata applicata la misura della custodia in carcere per il delitto di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, non è necessario che l’ordinanza cautelare motivi anche in ordine alla rilevanza del tempo trascorso dalla commissione del fatto, così come richiesto dall’art. 292, comma secondo, lett. c), cod. proc. pen., in quanto per tali reati, anche successivamente alle modifiche introdotte dalla legge n. 47 del 2015, la presunzione di adeguatezza di cui all’art. 275, comma 3, va letta nel senso dell’obbligo di ritenere sussistenti le esigenze cautelari salvo prova contraria, individuata sostanzialmente nella dissociazione.

…Il secondo indirizzo (rilevanza del tempo)

Altra interpretazione, invece, valorizzando il requisito dell’attualità, attribuisce rilievo al tempo trascorso tra i fatti di reato commessi e la verifica delle esigenze cautelari. Si afferma, pertanto, che la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, prevista dall’art. 275, comma terzo, cod. proc. pen., può essere superata in presenza di elementi dai quali risulti l’insussistenza di esigenze cautelari, desunti anche dal tempo trascorso dai fatti addebitati, che porti ad escludere l’attualità del pericolo di reiterazione, pur se non si evidenzi una dissociazione espressa dal sodalizio. Al rilievo del dato temporale in sede di verifica corrisponde il relativo obbligo di motivazione puntuale del giudice della cautela.

…Ulteriori sottolineature interpretative di dettaglio

Non è mancato chi ha affermato che, al di là dell’innegabile differenza interpretativa sul rilievo da dare al tempo che separa i fatti commessi dalla valutazione sulle esigenze cautelari, sia altrettanto indubitabile come la disposizione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. vada tuttora letta in chiave di presunzione relativa di pericolosità sociale, che determina effettivamente uno sbilanciamento della “quota” di giustificazione motivazionale alla base della valutazione prognostica cautelare del giudice: a quest’ultimo sarà richiesto non già di dar conto in positivo della ricorrenza dei “pericula libertatis”, ma soltanto di apprezzarne le ragioni di esclusione e ciò solo se queste siano state eventualmente evidenziate dalla parte o siano direttamente evincibili dagli atti (per tale impostazione, cfr. fra le tante: N. 45657 del 2015 Rv. 265419 – 01, N. 5787 del 2016 Rv. 265986 – 01, N. 11029 del 2016 Rv. 267727 – 01, N. 48285 del 2016 Rv. 268413 – 01, N. 52303 del 2016 Rv. 268726 – 01, N. 19283 del 2017 Rv. 270062 – N. 47401 del 2017 Rv. 271855 – 01, N. 57580 del 2017 Rv. 272435 – 01, N. 35848 del 2018 Rv. 273631 – 0).

In tale ottica, nel caso di imputati del reato di associazione mafiosa, un valore di per sé determinante nel senso di escludere la presunzione di pericolosità è stato riconosciuto soltanto al dato della rescissione dei legami del soggetto con il sodalizio di appartenenza; mentre il trascorrere di un rilevante lasso di tempo dal momento della commissione dei fatti è stato ritenuto un fattore non autonomo di valutazione ma da parametrare necessariamente alla gravità della condotta contestata e, qualora, come nel caso di specie, sia già intervenuto un accertamento di merito con una sentenza di condanna in primo grado, confermata in appello, da tenere in conto secondo una verifica complessiva di tale gravità, della quale costituisce specchio principale anche l’entità della sanzione inflitta.

Persistenza della doppia presunzione

Va inoltre ricordato come, anche a seguito dell’intervento riformatore di cui alla L. n. 47/2015, a fronte della contestazione del reato di associazione mafiosa, l’art. 275 comma 3 c.p.p. continua a prevedere una doppia presunzione, relativa quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari ed assoluta con riguardo all’adeguatezza della misura carceraria.

Pertanto, qualora sussistano i gravi indizi di colpevolezza del menzionato delitto e non ci si trovi in presenza, come nel caso in esame, di una situazione nella quale fa difetto una qualunque esigenza cautelare, deve trovare applicazione in via obbligatoria la misura della custodia in carcere.

Esclusione di profili di incostituzionalità dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.

Riguardo alla sollevata questione di incostituzionalità dell’articolo 275 comma 3 cod. proc. pen. deve rilevarsi che la Corte costituzionale ne ha in più occasioni affermata la costituzionalità sottolineando come dall’appartenenza ad associazioni di tipo mafioso che implica un’adesione ad un sodalizio criminoso di norma fortemente radicato nel territorio, caratterizzato da una fitta rete di collegamenti personali e dotato di particolare forza intimidatrice, deriva, nella generalità dei casi concreti ad essa riferibili e secondo una regola di esperienza sufficientemente condivisa, una esigenza cautelare alla cui soddisfazione sarebbe adeguata solo la custodia in carcere (non essendo le misure “minori” sufficienti a troncare i rapporti tra l’indiziato e l’ambito delinquenziale di appartenenza, neutralizzandone la pericolosità, sentenze 265 del 2010 e n.191/2020; ordinanza n. 136/2017).