Nella frase c’è tutto il senso di questo breve racconto di un processo per direttissima che vede protagoniste due donne, una è il giudice e l’altra l’imputata, una fuori margine come direbbe Giulio Salierno.
Una Roma sonnacchiosa mi accompagna velocemente a piazzale Clodio in questi giorni post natalizi, sono in auto e trovo parcheggio con facilità.
I carabinieri di guardia, all’entrata della Corte di appello, mi salutano cordialmente ed entro nel palazzo di giustizia, dove ogni giorno si esercita la giurisdizione che vede sempre più spesso tra i suoi protagonisti persone con disagi sociali.
Si tratta di persone alle volte affette da una condizione di particolare fragilità psicologica, bisognevoli di interventi terapeutici di reinserimento sociale, più che di risposte dettate da norme repressive che creano una palpabile disparità tra reati della cosiddetta criminalità da strada con quella dei colletti bianchi.
Entro nell’aula e saluto la giudice, persona austera sempre molto curata con un volto mai sorridente.
Diciamo che è la giudice che conferma ogni giorno quanto scrisse Durrenmatt: “non occorre che un giudice sia giusto”.
Iniziamo la convalida dell’arresto e l’agente operante illustra quanto avvenuto, una sorta di refrain che si ripete nelle aule delle direttissime: “Siamo intervenuti perché chiamati dalla sala operativa, allertata dal personale del supermercato, per un furto e abbiamo proceduto ad identificare un uomo e una donna che erano stati fermati subito dopo le casse dal personale della sicurezza, avevano ancora indosso la refurtiva che consisteva in due confezioni di parmigiano, due di bresaola, una crema da viso per donna e una confezione di profumo”.
Mentre ascolto l’agente, con la coda dell’occhio vedo la mia assistita accarezzare un dito dell’uomo arrestato con lei.
La conosco da più di vent’anni e la vita non le ha mai sorriso: prima mamma giovanissima, poi compagna di un uomo violento fuori e dentro le mura di casa.
Ho difeso il suo ex marito in tanti processi per reati seri e da circa sette anni vengo nominato anche da lei che è riuscita ad affrancarsi dalla violenza domestica ma ha scelto di vivere in strada ed ha trovato nell’alcool un sostegno che non ha trovato negli uomini.
La vita di stenti è evidente nel suo volto e nel suo abbigliamento e il percepire che c’è un nuovo feeling nel suo cuore mi rallegra.
La giudice dopo averle elencato i suoi diritti le chiede se vuole rispondere sul fatto e al suo assenso gli chiede con voce autoritaria: “Se ha rubato per bisogno come dice, perché ha sottratto anche una crema e un profumo?”
L’imputata non si scompone e risponde con un filo di voce: “Giudice … sono sempre una donna”.
Le due si guardano negli occhi in silenzio e una vibrazione positiva percorre l’aula.
Il processo si conclude con un rito abbreviato e la giudice è insolitamente mite nella commisurazione della pena, deve aver fatto tesoro di quelle parole.
