Il silenzio dell’indagato è un diritto, non una “colpa lieve”, ma c’è chi ancora si ostina a non capirlo (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 4 con la sentenza numero 48080/2023 ha stabilito che in tema di riparazione per ingiusta detenzione, a seguito della modifica dell’art. 314, comma 1, cod. proc. pen. ad opera dell’art. 4, comma 1, lett. b), d.lgs. 8 novembre 2021, n. 188, il silenzio serbato dall’indagato in sede di interrogatorio, nell’esercizio della facoltà difensiva prevista dall’art. 64, comma 3, lett. b) cod. proc. pen., non costituendo ipotesi di colpa lieve, non osta al riconoscimento dell’indennizzo né assume rilevanza ai fini della sua determinazione.

La Suprema Corte ha ricordato che la liquidazione dell’indennizzo per la riparazione dell’ingiusta detenzione è svincolata da criteri rigidi, dovendo basarsi su una valutazione equitativa, che tenga globalmente conto di tutti gli elementi che abbiano influito sulla vicenda che ha determinato l’adozione del provvedimento restrittivo ingiusto.

La giurisprudenza di legittimità, in tema di liquidazione del quantum da riconoscere a titolo d’indennizzo per ingiusta detenzione, ha stabilito il principio della necessità di contemperare il criterio aritmetico – costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo di cui all’art. 315, comma 2, cod. proc. pen. (pari ad euro 516.456,90) e la durata massima della custodia cautelare di cui all’art. 303, comma 4, lett. c), cod. proc. pen., pari a sei anni (ovvero 2190 giorni) moltiplicato per il periodo, anch’esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita – con il potere di valutazione equitativa attribuito al giudice per la soluzione del caso concreto.

Riferimento imprescindibile per la valutazione da compiersi in tema di liquidazione è costituito dal parametro aritmetico (individuato, alla luce dei criteri sopra indicati, nella somma di euro 235,82 per ogni giorno di detenzione in carcere).

Siffatto parametro, tuttavia, non è vincolante: potendo il giudice derogare al criterio richiamato in senso ampliativo (purché nei limiti del tetto massimo fissato dalla legge) oppure in senso restrittivo, a condizione che, nell’uno o nell’altro caso, fornisca congrua e logica motivazione della valutazione esperita.

Le condotte colpose concausali possono assumere varie gradazioni, che vanno da quella lieve, purché apprezzabile, a quella grave, idonea ad escludere il diritto all’indennizzo.

Nelle ipotesi diverse dalla colpa grave, la quale soltanto osta al diritto alla riparazione, il comportamento non rimane insignificante, dovendo essere valutato ai fini della determinazione del “quantum debeatur”.

Fatte queste premesse la Cassazione sottolinea che deve ritenersi erroneo il convincimento espresso dalla Corte territoriale in ordine alla possibilità di considerare, allo scopo di diminuire il quantum dell’indennizzo riconosciuto, la circostanza che il richiedente abbia deciso di non fornire chiarimenti sulla vicenda, avvalendosi, nel corso del procedimento, della facoltà di cui all’art. 64, comma 3, lett. b) cod. proc. pen.

La decisione assunta non è conforme al testo della norma ed alla ratio sottesa alla recente modifica apportata all’art. 314 cod. proc. pen. dall’art. 4, comma 1, lett. b) d.lgs. 8 novembre 2021 n. 188, non potendo il comportamento silente adottato dal richiedente essere qualificato in termini di “colpa lieve”. Per effetto dell’entrata in vigore del d. lgs. n. 138/2021, recante “Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali”, al primo comma dell’art. 314 cod. proc. pen. è stato aggiunto il seguente periodo: «L’esercizio da parte dell’imputato della facoltà di cui all’articolo 64, comma 3, lettera b), non incide sul diritto alla riparazione di cui al primo periodo». 

Il legislatore ha così inteso adeguare la normativa nazionale alle disposizioni della Direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza.

Con specifico riferimento alla previsione che occupa, si è codificato il valore neutro dell’esercizio della facoltà dell’indagato o imputato di non rispondere alle domande dell’autorità in interrogatorio e, più in generale, di rimanere silenti nel corso del procedimento.

In tal modo si è conferita attuazione all’art. 7, par. 1, della direttiva richiamata, il quale prevede che “Gli Stati membri assicurano che agli indagati e imputati sia riconosciuto il diritto di restare in silenzio in merito al reato che viene loro contestato”; ed al paragrafo 5 del medesimo articolo, in cui si precisa che “L’esercizio da parte degli indagati e imputati del diritto al silenzio o del diritto di non autoincriminarsi non può essere utilizzato contro di loro e non è considerato quale prova che essi abbiano commesso il reato ascritto loro“.

Il recepimento di tali principi nel contesto dell’art. 314 cod. proc. pen., con l’aggiunta nel primo comma dell’ultimo periodo sopra richiamato, consente di affermare come il silenzio serbato dall’indagato o imputato nel corso del procedimento o nel giudizio penale, non solo non sia ostativo al riconoscimento dell’indennizzo per ingiusta detenzione, ma non possa essere validamente considerato ai fini della riduzione del quantum dell’indennizzo, trattandosi dì comportamento non qualificabile in termini di colpa lieve.

Da quanto precede può ricavarsi il seguente principio: “In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, a seguito della modifica dell’art. 314 cod. proc. pen. adopera dell’art. 4, comma 1, lett. b), d. lgs. 8 novembre 2021, n. 188, l’esercizio della facoltà di cui all’art. 64, comma 3, lett. b) cod. proc. pen., oltre a non costituire causa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo, non può essere considerato ai fini della diminuzione del quantum dell’indennizzo, assumendo un valore neutro non suscettibile di integrare una ipotesi di colpa lieve“.