Decreto di perquisizione: principi, regole e limiti secondo la Cassazione (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 50482/2023, udienza camerale del 21 settembre 2023, ha deciso un ricorso avverso un’ordinanza del tribunale del riesame che ha confermato un decreto di perquisizione e sequestro emesso nei confronti del ricorrente nell’ambito di un procedimento che lo vede accusato dei reati di cui agli artt. 609-bis, 609-ter e 600-quater, cod. pen.

La decisione ha un elevato valore sistematico, contenendo un vero e proprio vademecum dei principi e degli orientamenti interpretativi che sovrintendono all’attività di perquisizione.

Il decreto di perquisizione può essere impugnato con richiesta di riesame solo se finalizzato al sequestro e con questo connesso

Secondo una consolidata giurisprudenza, in forza del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione stabilito dall’art. 568 cod. proc. pen., l’istituto del riesame non è applicabile al decreto di perquisizione, poiché manca l’espressa previsione di tale rimedio con riferimento al provvedimento “de quo”.

Tuttavia, qualora la perquisizione sia finalizzata al sequestro e i due decreti siano inseriti in un unico contesto, il riesame coinvolge anche la perquisizione, per la stretta interdipendenza delle due statuizioni, nei limiti, però, di un’indagine strumentale all’accertamento della legittimità del sequestro medesimo.

Conseguentemente, in sede di riesame, i motivi che costituiscono autonoma censura della perquisizione non possono essere presi in considerazione (Sez. U, n. 23 del 20/11/1996, Bassi, Rv. 206656 – 01; Sez. 3, n. 8841 del 13/01/2009, Rv. 243002 – 01; Sez. 2, n. 45532 del 08/11/2005, Rv. 233144 – 01; Sez. 3, n. 40985 del 23/10/2002, Rv. 222857 – 01; Sez. 3, n. 7060 del 18/12/2001, Rv. 221044 – 01; Sez. 3, n. 13542 del 23/11/2022, dep. 2023, non mass.; Sez. 2, n. 9976 del 27/01/2022, non. mass.).

Ne consegue che il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale del riesame confermativa di un decreto di sequestro contestuale a decreto di perquisizione non può dedurre motivi attinenti esclusivamente ai presupposti ed alla legittimità di quest’ultimo (così Sez. 1, n. 30130 del 24/06/2015, Rv. 264489 – 01, che ha ritenuto improponibili le censure difensive secondo cui la perquisizione sarebbe risultata volta alla ricerca di reati, anziché alla prova di reati che vi era fondato motivo di ritenere sussistenti).

È invece sempre ricorribile per cassazione se incidente sulla libertà personale

Si è affermato, però, che se è vero che, per il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, al decreto di perquisizione personale non è applicabile lo specifico rimedio del riesame, ciò nondimeno non è esclusa l’applicabilità della clausola generale della ricorribilità per cassazione dei provvedimenti sulla libertà personale, che, in ragione della materia, deroga (ex art. 568, comma 2, cod. proc. pen.) al principio di tassatività delle impugnazioni (Sez. 3, n. 562 del 04/02/2000, Rv. 216574 – 01).

Sennonché, pur volendo aderire a questo indirizzo, non risulta che nei confronti del ricorrente sia stata eseguita la perquisizione personale; egli non lo deduce e dal verbale di esecuzione del decreto si dà conto soltanto della ricerca delle cose da sequestrate nel domicilio del ricorrente stesso, non sulla sua persona.

Inoltre, il sequestro delle cose rinvenute osta anche alla possibilità di proporre opposizione al decreto di perquisizione emesso dal PM ai sensi dell’art. 254-bis cod. proc. pen., aggiunto dall’art. 12, comma 1, d.lgs. n. 150 del 2022 (cd. “Riforma Cartabia”).

Tutti i motivi che riguardano la legittimità, in sé, della perquisizione sono pertanto inammissibili.

Necessità della specificazione delle fattispecie contestate e dei fatti attribuiti

Quanto, invece, alla necessità che il decreto di perquisizione, cui segua il sequestro, specifichi, in tesi difensiva, le imputazioni sotto il doppio profilo della fattispecie contestata e dei fatti attribuiti, la Corte ricorda che gli articoli 250 e 252 cod. proc. pen., che disciplinano le perquisizioni locali ed il sequestro conseguente a perquisizione, devono essere interpretati in relazione alla disposizione generale di cui all’art. 247, comma primo, dello stesso codice, che regola i casi e le forme delle perquisizioni.

Alla stregua di tale norma è evidente che anche nelle ipotesi di provvedimenti di perquisizione e sequestro previsti dagli artt. 250 e 252 cod. proc. pen., le cose da ricercare e, eventualmente, da sequestrare, devono necessariamente essere o “corpo di reato” ovvero “cose pertinenti al reato”; da ciò consegue che la motivazione dei provvedimenti che autorizzano le perquisizioni e i sequestri ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 247, comma primo, già citato, deve tenere conto di tali caratteristiche delle cose oggetto dei provvedimenti medesimi e debbono, pertanto, specificare le imputazioni che sono a fondamento della ricerca di tali “corpi di reato” e delle “cose pertinenti al reato”, mediante l’indicazione, sia pure sommaria ed approssimativa, delle fattispecie criminose contestate e dei fatti specifici imputati in relazione ai quali si ricercano i corpi di reato e le cose pertinenti ai reati, senza, ovviamente, limitarsi alla mera indicazione degli articoli del codice penale che si assumono violati dall’indagato nei confronti del quale viene disposto il provvedimento di perquisizione personale o locale e di eventuale sequestro (così, Sez. 1, n. 195 del 14/01/1994, Rv. 196563 – 01; Sez. 6, n. 1683 del 27/11/2013, de. 2014, non mass.).

La perquisizione richiede la previa esistenza di indizi che dimostrino la probabilità di rinvenimento delle cose cercate

È stato altresì precisato (Sez. 1, n. 1686 del 22/04/1993, Rv. 194420 – 01) che la perquisizione, che è mezzo di ricerca della prova, presuppone l’esistenza di un fondato motivo che consenta di ritenere che il corpo del reato o cose pertinenti al reato si trovino sulla persona o in un determinato luogo. La legittimazione a procedere all’atto non è legata, quindi, a meri sospetti, ma deve ancorarsi all’esistenza di indizi di rilievo convergenti verso la probabilità del rinvenimento della “res”, oggetto della ricerca sulla persona o nel luogo in cui è disposta la perquisizione.

Ciò postula la previa individuazione del “thema probandum” poiché solo in tale ambito ha senso la ricerca di un dato afferente a un reato; altrimenti, in difetto di un riconosciuto nesso strumentale con l’attività criminosa, non di mezzo di ricerca della prova si tratta, ma di mezzo di acquisizione di “notitia criminis”, come tale inammissibile perché in violazione della libertà individuale “lato sensu” che ha i suoi referenti negli artt. 13 e 14 Cost. (nello stesso senso, Sez. 6, n. 683 del 2014, cit.). Secondo Sez. 5, n. 899 del 13/03/1992, Rv. 190418 – 01, inoltre, la legittimazione all’esercizio del potere di procedere a perquisizione non può più derivare da situazioni sussumibili nell’ambito delle congetture o dei sospetti, ma è strettamente subordinata all’esistenza di indizi di un certo rilievo, tutti convergenti nella funzionale prospettiva di accreditare la probabilità che l’oggetto da ricercare si trovi sulla persona da perquisire o nel luogo nel quale la perquisizione sarà eseguita.

Inoltre alla perquisizione, quale mezzo coattivo di ricerca della prova, può farsi legittimamente ricorso solo se sia stato già individuato il tema probatorio nel cui ambito quella ricerca ha un suo contenuto di concretezza e di specificità; la perquisizione, infatti, non è un mezzo di acquisizione di una “notitia criminis”, ma è uno strumento di ricerca di una prova utile o addirittura necessaria per un determinato reato (nello stesso senso, Sez. 5, n. 41961 del 30/03/2017, non mass.; Sez. 6, n. 683 del 2014, cit.; Sez. 3, n. 6465 del 14/12/2007, dep. 2008, non mass.).

Più recentemente è stato affermato che sono illegittimi i provvedimenti di perquisizione e sequestro probatorio operati di iniziativa dalla PG oppure disposti dal PM qualora non trovino giustificazione in una notizia di reato legittimamente acquisita o siano eseguiti in assenza di elementi idonei a configurare una specifica ipotesi di reato (Sez. 3, n. 28151 del 20/03/2013, Rv. 255458 – 01).

Ai fini del fumus è sufficiente la presumibile o probabile commissione di un fatto- reato

Inoltre, ai fini della legittimità del decreto di perquisizione e del conseguente sequestro, il “fumus” necessario per la ricerca della prova è quello inerente all’avvenuta commissione dei reati, nella loro materiale accezione, e non già alla colpevolezza del singolo, sicché il mezzo è ritualmente disposto anche qualora il fatto non sia materialmente accertato, ma ne sia ragionevolmente presumibile o probabile la commissione, desumibile anche da elementi logici (Sez. 3, n. 6465 del 14/12/2007, dep. 2008, Rv. 239159 – 01; Sez. 6, n. 1683 del 27/11/2013, dep. 2014, n.m.; la stessa sentenza ha altresì precisato che il sequestro probatorio, proprio perché mezzo di ricerca della prova dei fatti costituenti reato, non può per ciò stesso essere fondato sulla prova del carattere di pertinenza ovvero di corpo di reato delle cose oggetto del vincolo, ma solo sul fumus di esso, cioè sulla mera possibilità del rapporto di esse con il reato. Qualora, quindi, dal complesso delle prime indagini tale fumus emerga, il sequestro si appalesa non solo legittimo ma opportuno, in quanto volto a stabilire, di per sé o attraverso le successive indagini che da esso scaturiscono, se esiste il collegamento pertinenziale tra res e illecito; nello stesso senso, Sez. 3, n. 13641 del 12/02/2002).

Necessità della previa iscrizione di una notizia di reato nell’apposito registro ex art. 335 cod. proc. pen.

Resta, dunque, ferma la necessità che il decreto di perquisizione e sequestro siano emessi sulla base di una notizia di reato che sia già stata iscritta nell’apposito registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen.

Caratteristiche della notizia di reato

La notizia di reato è tale quando contiene «la rappresentazione di un fatto, determinato e non inverosimile, riconducibile in ipotesi a una fattispecie incriminatrice» (così, testualmente, l’art. 335, comma 1, cod. proc. pen., modificato dall’art. 15, comma 1, lett. a, n. 1, d.lgs. n. 150 del 2022, cd. Riforma Cartabia).

…Determinatezza

Determinatezza equivale a “non genericità” del fatto; determinato è, dunque, il fatto esattamente, precisamente stabilito. È un requisito che esclude le denunzie cd. esplorative. Le circostanze di tempo e di luogo non concorrono alla determinatezza del fatto, non ne comportano, cioè, la “vaghezza”, non in senso codicistico, ma possono rendere determinato un fatto che altrimenti non sarebbe tale. Anche l’ignoranza dell’autore del reato non concorre alla determinazione del fatto e, tuttavia, se la notizia che vi è stato un omicidio non rappresenta un fatto determinato perché ovunque, in ogni momento, in ogni parte del mondo potrebbe esservi stato un omicidio, la denunzia che una tale persona è autrice di un omicidio costituisce a tutti gli effetti una notizia di reato.

E così, affermare che in una determinata città si spaccia la droga non equivale a rappresentare un fatto determinato, ma precisare che all’interno di un determinato condominio di un determinato quartiere si vende droga o che un determinato quartiere è una vera e propria piazza di spaccio è rappresentazione di un fatto determinato che impone l’iscrizione della notizia. Il fatto indeterminato (e tuttavia non inverosimile e astrattamente riconducibile ad una ipotesi di reato) non sollecita la verifica di fondatezza della notizia ma autorizza il PM a compiere indagini finalizzate alla acquisizione della notizia stessa.

…Non inverosimiglianza

Il fatto, anche se determinato, non deve essere inverosimile; l’inverosimiglianza deve essere intesa alla stregua di una non corrispondenza a vero immediatamente percepibile, senza che a tal fine sia necessario alcun atto di indagine.

L’inverosimiglianza del fatto è tale, dunque, quando appaia ictu oculi evidente, sì che il PM possa iscrivere la “pseudo-notizia” nel registro degli atti non costituenti notizia di reato (cd. mod. 45) e chiederne l’archiviazione senza la necessità di compiere alcun atto di indagine.

…Riconducibilità ad una fattispecie criminosa

La astratta riconducibilità ad un’ipotesi incriminatrice è l’elemento qualificante la notizia di reato.

…La mancanza dei requisiti deve essere immediatamente percepibile

In ogni caso, la mancanza anche di uno solo dei tre requisiti deve essere immediatamente percepibile, deve risultare, cioè, dalla semplice lettura della notizia; se la notizia soddisfa i requisiti previsti dal novellato art. 335, comma 1, deve essere iscritta e dalla data di ricezione decorrono i termini per il compimento dell’attività di indagine; altrimenti si tratta di atto non costituente notizia di reato che il PM potrà “gestire” come meglio crede: utilizzandola per acquisire la notizia di reato o chiedendone l’archiviazione.

Caratteristiche concrete del caso in esame

Nel caso di specie, il decreto di perquisizione è stato emesso sulla base della comunicazione della notizia di reato contenente la denunzia della moglie del ricorrente che aveva rappresentato fatti determinati, tutt’altro che inverosimili e chiaramente riconducibili alle ipotesi di reato indicate dal PM nel decreto di perquisizione. La donna, infatti, aveva raccontato alla PG che il marito deteneva materiale pedopornografico «siccome ritraente (…) “ragazzine e ragazzini nudi intenti a fare sesso con persone adulte” e, più in generale, quattro delle immagini in questione, ritrarrebbero l’organo genitale (in erezione) di un uomo ad adulto a contatto con le parti intime di una bambina, nei quali la denunciante avrebbe riconosciuto, rispettivamente, il proprio marito e la propria figlia.

Le immagini, estrapolate dalla donna dallo smartphone del marito, erano state consegnate alla PG ed allegate alla denunzia.

Ferma, come detto, la necessità della iscrizione della notizia di reato, non si può pretendere che il decreto di perquisizione e di sequestro, siccome mezzo di ricerca della prova, contenga la compiuta esposizione del fatto di reato per il quale si procede, non trattandosi di atto processuale destinato a portare a conoscenza del destinatario la natura e i motivi dell’accusa elevata a suo carico (art. 111, comma terzo, Cost.), non essendovi, il più delle volte, ancora una accusa specificamente e compiutamente formulata (l’art. 6, § 3, lett. a, CEDU): il decreto di perquisizione e sequestro deve spiegare le ragioni dell’atto, non dell’accusa.

Sicché, ferma la giurisprudenza richiamata, occorre considerare che il fatto per il quale si procede costituisce, soprattutto nella fase iniziale delle indagini preliminari, un’ipotesi di lavoro tutta da verificare per cui, esclusa la possibilità di giustificare il decreto di perquisizione e sequestro con il solo richiamo al titolo del reato, non si può nemmeno pretendere che il PM si spinga oltre la necessità di indicare il fatto a grandi linee, tanto più quando, come nel caso di specie, il provvedimento costituisce il primo atto di indagine posto in essere dal PM a seguito della iscrizione della notizia di reato; quel che conta è che la motivazione del decreto consenta di verificare che la violazione della libertà personale e del domicilio e la materiale apprensione del bene siano effettivamente giustificate da un fatto astrattamente riconducibile ad un’ipotesi di reato, da una notizia di reato, non dalla effettiva sussistenza di quest’ultimo.

In questo senso, la motivazione del decreto di perquisizione assolve alla funzione di rendere esplicite le basi legali dell’esercizio del potere (di comprimere la libertà altrui e/o di violarne il domicilio e di sottrarre il bene detenuto), di consentire il controllo del fondamento legale di tale potere e, quindi, di accertare la effettiva pertinenza delle cose (eventualmente) sequestrate con l’ipotesi di reato per la quale si procede.

I1 richiamo, nel decreto di perquisizione oggetto di odierno scrutinio, dello specifico atto di indagine contenente la notizia di reato che ha determinato l’iscrizione del ricorrente nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen. per i titoli di reato in esso indicati e la spiegazione, ancorché sintetica, della finalità investigativa del provvedimento adottato, sono sufficienti a consentire il controllo di legalità dell’operato del PM avuto riguardo alla possibilità, dell’indagato, di conoscere gli atti sulla cui base il provvedimento è stato emesso.

I primi due motivi sono pertanto generici e manifestamente infondati anche sotto questo ulteriore profilo.

Esistenza e fondatezza della notizia di reato sono concetti differenti

Per le medesime ragioni è manifestamente infondato anche il terzo motivo il quale confonde il piano della fondatezza della notizia di reato con quello della esistenza stessa della notizia: esplorativo è il decreto di perquisizione finalizzato alla ricerca della notizia di reato, non degli elementi di prova necessari al PM per determinarsi a seguito della acquisizione della notizia.

La specifica indicazione, nel decreto, della comunicazione della notizia di reato assolve al compito di consentire il controllo sul carattere esplorativo o meno del decreto di perquisizione.

Irrilevanza della mancata specificazione delle cose da cercare

Del tutto infondati sono il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo motivo.

La mancata specificazione delle cose da ricercare non rende nullo il decreto di perquisizione, ma comporta la necessità della convalida del sequestro (eventualmente) effettuato dalla PG (Sez. 2, n. 5494 del 28/01/2016, Rv. 266306 – 01; Sez. 5, n. 35138 del 09/06/2010, Rv. 248337 – 01).

Nel caso di specie, l’indicazione delle cose da ricercare nei termini sopra indicati escludeva la necessità della convalida (in termini, Sez. 3, n. 12390 del 02/03/2010, C. Rv. 246464 – 01, che ha ritenuto certa l’individuazione da parte del P.M. dell’oggetto del sequestro, rappresentato dai “files aventi contenuto pedopornografico inseriti in personal computer o in qualsiasi altro supporto”).

In ogni caso, non è soggetto ad impugnazione il decreto di perquisizione del PM che rimetta alla discrezionalità degli organi di polizia la individuazione di cose da sottoporre a sequestro, dovendo, in tale ultimo caso, intervenire il decreto di eventuale convalida del sequestro che è il solo provvedimento soggetto a riesame (Sez. 4, n. 8867 del 19/02/2020, Rv. 278605 – 02; Sez. 2, n. 51867 del 20/11/2013, Rv. 258074 – 01).

È stato anzi precisato che è inammissibile la richiesta di riesame avverso il sequestro probatorio eseguito dalla PG nel corso di una perquisizione delegata dal PM che abbia genericamente ordinato di sequestrare le cose pertinenti al reato e non abbia poi provveduto alla convalida (Sez. 6, n. 39040 del 02/05/2013, Rv. 256327 – 01, che ha spiegato che l’interessato può richiedere la restituzione delle cose al PM ed esperire l’opposizione al GIP in caso di diniego; nello stesso senso, Sez. 2, n. 42517 del 15/10/2021, Rv. 282208 – 01, secondo cui il decreto con il quale il PM disponga il sequestro di beni senza indicare specificamente le cose da sottoporre a vincolo, rimettendo alla discrezionalità della PG delegata l’esatta individuazione delle stesse, che non sia seguito da convalida, non è impugnabile mediante riesame, con la conseguenza che, qualora il PM non disponga la restituzione ai sensi dell’art. 355, comma 2, cod. proc. pen., l’interessato può avanzare al medesimo la relativa istanza, con facoltà di proporre opposizione al GIP nell’ipotesi di diniego; nello stesso senso, già Sez. 3, n. 3130 del 02/10/1997, Rv. 208868 – 01 secondo cui, perché il sequestro conseguente a perquisizione operata dalla PG e disposta dal PM non debba essere sottoposto a convalida, è necessario che il provvedimento di perquisizione individui con sufficiente certezza l’oggetto specifico del sequestro medesimo, e non basta una generica indicazione di pertinenza di quanto (eventualmente) rinvenuto rispetto al reato ipotizzato. Ciò comporta che, indipendentemente dai riferimenti normativi contenuti nel provvedimento e dalla modulistica utilizzata, qualora il PM, delegando la PG all’esecuzione dì una perquisizione, disponga il sequestro delle cose pertinenti al reato rinvenute e non provveda poi alla convalida, contro tale sequestro è inammissibile la richiesta di riesame, che l’ordinamento riserva al sequestro disposto dall’autorità giudiziaria, secondo il dettato dell’art. 257 cod. proc. pen., potendosi solo esperire il ricorso al GIP contro l’eventuale diniego di restituzione da parte del PM (art. 263 comma 4 e 5 cod. proc. pen.; in senso conforme, Sez. 5, n. 4263 del 15/12/2005, dep. 2006, Rv. 233625 – 01; Sez. 6, n. 23101 del 21/04/2004, Rv. 229958 – 01).

Sicché delle due l’una: o il decreto di perquisizione è generico e non indica con precisione i beni da sequestrare, ed allora il riesame avverso il decreto è inammissibile; o il decreto indica con precisione i beni da sequestrare ed allora i vizi del provvedimento non determinano la nullità del sequestro o l’inutilizzabilità del relativo risultato (Sez. 5, n. 32009 del 08/03/2018, Rv. 273641 – 01, secondo cui la nullità del provvedimento di perquisizione non si trasmette a quello di sequestro delle cose rinvenute nel corso della sua esecuzione, né determina l’inutilizzabilità a fini di prova delle stesse; Sez. 1, n. 23674 del 10/05/2011, Rv. 250428 – 01; Sez. 5, n. 3287 del 26/05/1998, Rv. 212031 – 01).

Diritto ad avvalersi di un difensore

Anche l’ottavo motivo è manifestamente infondato: la facoltà di assistenza accordata dall’art. 250 cod. proc. pen. alla persona nei cui confronti viene eseguita la perquisizione non esclude affatto il (ed è diversa dal) diritto di avvalersi di un difensore.

Le norme di riferimento sono gli artt. 365 e 249 cod. proc. pen.; come affermato dal Giudice delle leggi, «con riguardo alle perquisizioni locali, nessun avviso al difensore è prescritto dalla legge in ordine al compimento delle operazioni, sia o no presente ad esse la persona sottoposta alle indagini ed a prescindere dall’avvenuta nomina di un difensore di fiducia o dall’avvenuta designazione di un difensore d’ufficio da parte del PM (la stessa rubrica dell’art. 365 parla, chiaramente, di “Atti ai quali il difensore ha diritto di assistere senza avviso”), dato che la perquisizione è “atto, per sua natura, sempre urgente e riservato, perché ha come presupposto, ai fini della sua efficacia, l’elemento sorpresa” (cfr. sentenza n. 123 del 1974), caratteristica propria anche della fattispecie delineata dal codice di procedura penale del 1988 (v., oltre alla norma qui denunciata, gli artt. 249 e 250)» (Corte cost., ord. n. 251/1990, che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 365 del codice di procedura penale del 1988, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Bologna con ordinanza del 28 novembre 1989).

L’ultimo motivo è del tutto generico e indeterminato, non essendo chiaro, anche alla luce delle considerazioni che precedono, in che modo il Tribunale abbia abdicato al suo controllo di legalità sul decreto di perquisizione.