Vogliamo raccontarvi lo sfortunato destino di IS e del suo ricorso per cassazione.
Cosa sappiamo del caso? In realtà non molto perché la nostra unica fonte di informazione è l’ordinanza n. 49236/2023 emessa dalla sesta sezione penale della Corte di cassazione in esito all’udienza del 29 novembre 2023.
Il documento è breve, solo due pagine, ma il suo contenuto, per quanto sintetico, è la storia di un dramma.
Apprendiamo dunque che IS, evidentemente scontento di una sentenza emessa nei suoi confronti dalla Corte di appello partenopea, l’ha impugnata per cassazione.
Riportiamo adesso integralmente la decisione della Suprema Corte.
Prima pagina
“ORDINANZA
sul ricorso proposto da IS, nato a (qui ci si aspetterebbe la località di nascita ma non c’è) il (segue la data di nascita) a (segue la località recuperata in extremis) avverso la sentenza del (segue la data) della Corte di appello di (segue la sede);
visti gli atti e la sentenza impugnata;
esaminati i motivi del ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere MR
OSSERVA
Ritenuto che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con procedura semplificata e senza formalità, perché proposto per motivi non consentiti dalla legge: la rinuncia ai motivi e il concordato sulla pena implicano una limitazione della cognizione devoluta, discendendone l’inammissibilità di motivi di ricorso” (qui finisce la prima pagina).
Seconda pagina
“OSSERVA
Ritenuto che il ricorso è inammissibile, perché direttamente proposto e sottoscritto dall’imputato in violazione di quanto disposto dall’art. 613, comma 1, cod. proc. pen., come modificato dalla legge 103 del 2017. Ciò impedisce in via originaria l’instaurazione di un valido rapporto di impugnazione, anche a voler tacere della genericità dei motivi di ricorso.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con procedura de plano, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende“.
Note di commento
Ci pare di poter dire, prima di ogni altra cosa, che al collegio della sesta sezione penale piace osservare: ne traiamo precisa conferma dal fatto che la motivazione ha fatto cenno due volte e a distanza ravvicinata a questa attività.
La reiterata osservazione non sembra tuttavia avere prodotto il risultato sperato che, trattandosi della Suprema Corte, ciò dell’ufficio giudiziario che ama definirsi “cattedra nomofilattica”, dovrebbe consistere in un’analisi addirittura sofisticata del caso giuridico posto alla sua attenzione.
Ed infatti, la prima osservazione accenna ad un concordato che implica l’accettazione del suo contenuto e preclude eventuali e future censure contro ciò che si è accettato, la seconda sposta completamente la prospettiva – ecco quindi che il sentiero inizia a biforcarsi – e porta alla dannazione del ricorrente per avere proposto e sottoscritto lui stesso l’impugnazione “anche a voler tacere della genericità dei motivi di ricorso“.
Pensiamo quindi di poter affermare che nel caso in esame c’è stato un eccesso di osservazione e, come si sa, ogni eccesso è difetto.
Una lancia riteniamo però di spezzarla a favore della cattedra nomofilattica: date le due distinte osservazioni e le altrettante cause di inammissibilità, ben avrebbe potuto il collegio raddoppiare la sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, non quindi il solito importo di 3.000 euro ma il doppio, cioè 6.000.
E invece no, 3.000 sono rimasti: c’è ancora del buono al Palazzaccio.
