
La cassazione sezione 2 con la sentenza numero 50009 del 15 dicembre 2023 ha ribadito il seguente principio: in tema di sequestro probatorio di dispositivi informatici o telematici, che l’estrazione di copia integrale dei dati in essi contenuti, che consente la restituzione del dispositivo, non legittima il trattenimento della totalità delle informazioni apprese oltre il tempo necessario a selezionare quelle pertinenti al reato per cui si procede, sicché il pubblico ministero è tenuto a predisporre un’adeguata organizzazione per compiere tale selezione nel tempo più breve possibile, soprattutto nel caso in cui i dati siano sequestrati a persone estranee al reato, e provvedere, all’esito, alla restituzione della copia- integrale agli aventi diritto.
La Suprema Corte ha sottolineato che in tema di sequestro probatorio la copia integrale dei dati – cosiddetta copia forense – contiene l’insieme dei dati immagazzinati nel contenitore, ma non soddisfa affatto l’esigenza indifferibile di porre sotto sequestro solo il materiale digitale che sia pertinente rispetto al reato per cui si procede e che svolga una necessaria funzione probatoria.
Ciò non legittima affatto il trattenimento dell’insieme di dati appresi.
Ne consegue che, restituito l’apparecchio, il PM può trattenere la copia integrale soltanto per il tempo strettamente necessario per selezionare, tra la molteplicità delle informazioni in essa contenute, quelle che davvero assolvono la funzione probatoria sottesa al sequestro e compiute le operazioni di selezione deve restituire agli aventi diritto la copia medesima.
La Suprema Corte ha ritenuto fondate le censure riferite alla sostanziale mancanza di motivazione del decreto di sequestro, che consiste in una petizione di principio, nonostante l’ablazione si riferisse a “documenti, relativi flussi comunicativi anche conservati su supporti informatici” che non è in alcun modo possibile ritenere all’evidenza sicuramente riferibili, tutti indistintamente, agli illeciti ipotizzati.
La più recente giurisprudenza ha evidenziato che “In tema di sequestro probatorio, l’acquisizione indiscriminata di un’intera categoria di beni, nell’ambito della quale procedere successivamente alla selezione delle singole “res” strumentali all’accertamento del reato, è consentita a condizione che il sequestro non assuma una valenza meramente esplorativa e che il pubblico ministero adotti una motivazione che espliciti le ragioni per cui è necessario disporre un sequestro esteso e onnicomprensivo, in ragione del tipo di reato per cui si procede, della condotta e del ruolo attribuiti alla persona titolare dei beni, e della difficoltà di individuare “ex ante” l’oggetto del sequestro” (Sez. 6, n. 34265 del 22/09/2020, Rv.279949).
Il principio esposto è il precipitato delle motivazioni e delle indicazioni fornite dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, che hanno chiarito come il decreto di sequestro probatorio, anche se abbia ad oggetto cose costituenti corpo del reato, debba contenere una specifica motivazione della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti (Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, Botticelli, Rv. 273548).
Si è precisato come “la portata precettiva dell’art. 42 Cost. e art. 1 del primo Protocollo addizionale della Convenzione Edu richiede che le ragioni probatorie del vincolo di temporanea indisponibilità della cosa, anche quando la stessa si identifichi nel corpo del reato, siano esplicitate nel provvedimento giudiziario con adeguata motivazione, allo scopo di garantire che la misura, a fronte delle contestazioni difensive, sia soggetta al permanente controllo di legalità – anche sotto il profilo procedimentale – e di concreta idoneità in ordine all’an e alla sua durata, in particolare per l’aspetto del giusto equilibrio o del ragionevole rapporto di proporzionalità tra il mezzo impiegato, ovvero lo spossessamento del bene, e il fine endoprocessuale perseguito, ovvero l’accertamento del fatto di reato“.
Pur in presenza di indirizzi giurisprudenziali diversi, è condivisibile l’orientamento interpretativo secondo cui è necessario un esame particolarmente rigoroso sul rapporto che lega la cosa al reato ed è altresì necessario, quando il legame prospettato sia di natura funzionale, che tale rapporto non sia meramente occasionale (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 33045 del 25/01/2018, Sez. 5, n. 26444 del 28/05/2014, cit; nello stesso senso, sostanzialmente, Sez. 6, n. 5845 del 20/01/2017, Rv. 269374; Sez. 5, n. 12064 del 16/12/2009, dep. 2010, Rv. 246881).
La verifica del nesso di funzionalità non occasionale tra il bene e la condotta deve ovviamente essere maggiormente rigorosa nei casi in cui il bene appartenga ad un soggetto terzo estraneo al reato, cioè, come nella ipotesi di specie, ad un soggetto nei cui confronti nessun coinvolgimento nell’attività criminosa è stato ipotizzato.
Il principio di proporzionalità, affermato dalle fonti dell’Unione (Carta dei diritti fondamentali), dal sistema della CEDU e dalla Corte costituzionale, e sicuramente applicabile alla vicenda cautelare personale, travalica il perimetro della libertà individuale per divenire termine necessario anche, in sede di provvedimenti ablativi, di raffronto tra la compressione dei diritti quesiti e la giustificazione della loro limitazione.
Con particolare riferimento ai mezzi di ricerca della prova, idonei ad incidere su bene giuridici costituzionalmente tutelati, il principio di proporzionalità fissa il limite entro il quale la compressione di un’istanza fondamentale per fini processuali può ritenersi legittima.
Ne deriva che la motivazione in ordine alla strumentalità della res rispetto all’accertamento penale diventa un requisito indispensabile affinché’ il decreto di sequestro si mantenga nei limiti costituzionalmente e convenzionalmente prefissati e resti assoggettato al controllo di legalità (Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, Botticelli) ed al principio di proporzione.
Proprio in tema di acquisizione della prova, la giurisprudenza della cassazione ha chiarito che l’autorità giudiziaria, al fine di esaminare un’ampia massa di dati i cui contenuti sono in astratto – potenzialmente – rilevanti per le indagini, può disporre un sequestro dai contenuti molto estesi, provvedendo, tuttavia, nel rispetto del principio di proporzionalità ed adeguatezza, alla immediata restituzione delle cose sottoposte a vincolo non appena sia decorso il tempo ragionevolmente necessario per gli accertamenti e, in caso di mancata tempestiva restituzione, l’interessato può presentare la relativa istanza e far valere le proprie ragioni, se necessario, anche mediante i rimedi impugnatori offerti dal sistema (così, Sez. 5, n. 16622 del 14/03/2017, Sez. 6, n. 53168 del 11/11/2016, Rv. 268489).
È dunque possibile disporre un sequestro “esteso” a condizione, tuttavia, che sia chiaro ed esplicitato perché’ il nesso di pertinenza tra res, reato per cui si procede e finalità probatoria debba avere – in quello specifico caso – una inevitabile differente modulazione verosimilmente per la difficoltà di individuare nitidamente “ex ante” l’oggetto del sequestro o in ragione della natura del bene che si intende sequestrare (sul tema, Sez. 6, n. 56733 del 12/09/2018, Rv. 274781; Sez. 5, n. 13594 del 27/02/2015, Rv. 262898).
Una così penetrante esigenza investigativa rende dunque necessari strumenti “compensativi” di garanzia per il soggetto che subisce la limitazione dei propri diritti già al momento della adozione del mezzo di ricerca della prova e che attengono alla portata del vincolo, alle ragioni, che devono essere puntualmente illustrate, per cui si decide di aggredire, ad esempio, la sfera giuridica di soggetti terzi estranei al reato, al motivo per cui il vincolo venga “modulato”, sempre rispetto a terzi estranei, in modo onnicomprensivo, alla necessità di ancorare la durata del sequestro a criteri oggettivi di ragionevolezza temporale, alla esigenza insopprimibile di selezionare le cose davvero necessarie ai fini della prova proprio per evitare che il sequestro probatorio assuma una valenza meramente esplorativa di notizie di reato diverse ed ulteriori rispetto a quella per cui si procede. (Sez. 6, n. 13156 del 04/03/2020, Rv.279143).
Il tema della copia dei dati digitali sequestrati e della restituzione degli apparecchi informatici contenenti tali dati è strettamente legato alle argomentazioni sinora svolte.
Il dato informatico, in quanto elemento dematerializzato e indipendente dal supporto, può essere sottoposto a sequestro a prescindere dal supporto stesso dove è incorporato.
La copia integrale dei dati (cd. copia forense) contiene l’insieme dei dati contenuti nel contenitore, ma non soddisfa affatto l’esigenza indifferibile di porre sotto sequestro solo il materiale digitale che sia pertinente rispetto al reato per cui si procede e che svolga una necessaria funzione probatoria.
Ciò significa che non legittima affatto il trattenimento dell’insieme di dati appresi (Sez. 6, n. 13156 del 04/03/2020).
Restituito l’apparecchio, il PM può trattenere la copia integrale solo per il tempo strettamente necessario per selezionare, tra la molteplicità delle informazioni in essa contenute, quelle che davvero assolvono alla funzione probatoria sottesa al sequestro e compiute le operazioni di selezione deve restituire agli aventi diritto la copia medesima.

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