Acquisizione di atti con riserva di valutarne l’utilizzabilità in camera di consiglio: per la Cassazione non c’è alcuna lesione del diritto di difesa (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 24932/2023, udienza del 10 febbraio 2023, ha affermato il principio secondo il quale, in tema di utilizzabilità delle prove ammesse, il giudice può riservarsene la valutazione in sede di deliberazione della sentenza e può revocare l’ordinanza di ammissione con la sentenza stessa, diverse essendo la fase relativa all’ammissione/acquisizione delle prove e quella relativa alla loro valutazione.

La decisione della Corte di cassazione

Più specificamente, il collegio di legittimità ha rilevato che dalla lettura della sentenza di primo grado e del verbale di udienza del 06/03/2019 emerge che il PM aveva prodotto documentazione alla cui acquisizione il difensore si era opposto.

Il tribunale aveva ammesso «tutti i documenti prodotti dal PM per la necessità di valutare ai fini della ricostruzione dei fatti anche gli accadimenti relativi ad annualità precedenti, per la circostanza che al di là della scadenza del termine di indagine, salvo diversa valutazione, ove ad un esame approfondito della documentazione emerga che non si tratta di documenti ma, per esempio, di verbalizzazione di atti di indagine, e infine per la natura di atto amministrativo del PVC, di cui tuttavia non potrà tenersi conto né delle valutazioni in esso contenute, né delle dichiarazioni in esso riportate, in quanto queste ultime a fronte del contesto avrebbero dovuto essere assunte nel rispetto dell’art. 222 disp. att. cpp.».

Si sostiene dunque nella decisione in commento che, diversamente da quanto sostiene il ricorrente, il tribunale aveva ammesso la prova documentale prodotta dal PM, riservandosi un fisiologico approfondimento sulla valutazione della dedotta inutilizzabilità pur immediatamente delibando in senso contrario alle eccezioni difensive.

Il difensore, dal canto suo, aveva espressamente impugnato in appello l’ordinanza di ammissione delle prove con ciò dando prova della consapevolezza della natura ammissiva delle prove del provvedimento stesso.

La questione devoluta è perciò mal posta, sia perché non viene in rilievo il dedotto omesso scioglimento della riserva (mai) assunta dal giudice in ordine alla ammissione delle prove documentali prodotte dal PM, sia perché, una volta ammessa la prova, ben può il giudice riservarsi di verificarne l’utilizzabilità in sede di deliberazione della sentenza e può persino revocarne l’ordinanza di ammissione con la sentenza stessa (si veda, al riguardo, Sez. 3, n. 13095 del 17/01/2017, Rv. 269331 – 01).

Una cosa è la fase relativa alla ammissione/acquisizione della prova, altra quella relativa alla sua valutazione.

Né vi è stata alcuna lesione o compressione del diritto di difesa posto che l’imputato è stato messo in condizione di difendersi e di argomentare su tutto il materiale probatorio acquisito nel corso del processo e messo a disposizione delle parti. Non risulta, del resto, che il difensore del ricorrente avesse compulsato il giudice, in sede di discussione, a indicare gli atti utilizzabili ai fini della decisione.

Peraltro, come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la violazione dell’obbligo di dare lettura degli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento, ovvero di indicare quelli utilizzabili ai fini della decisione, non determina, in assenza di specifiche previsioni sanzionatorie, alcuna nullità o inutilizzabilità degli stessi, posto che essa non è inquadrabile tra le cause generali di nullità previste dall’art. 178 cod. proc. pen. e che gli artt. 191 e 526 cod. proc. pen. sanzionano con l’inutilizzabilità l’illegittima acquisizione della prova e, dunque, i vizi di un’attività che logicamente e cronologicamente si distingue e precede quella della lettura o dell’indicazione (Sez. 5, n. 40374 del 14/09/2022, Rv. 283657 – 01; Sez. 3, n. 45305 del 17/10/2013, Rv. 257630 – 01; Sez. 1, n. 38306 del 04/10/2005, Rv. 232443 – 01; Sez. 4, n. 7895 del 15/07/1996, Rv. 206795 – 01).

Il commento

La sentenza qui commentata pare prestare il fianco ad alcune critiche, anche al netto delle possibili sbavature difensive sottolineate dal collegio.

La questione centrale si riduce a questo: il giudice di primo grado ha acquisito atti di natura asseritamente documentale prodotti dal PM, dotati in quanto tali di efficacia probatoria, pur ammettendo esplicitamente che un esame più approfondito potrebbe risultare una loro diversa natura (non più documenti ma verbalizzazioni di atti di indagine) e pur riservandosi, a fronte di questa possibilità, una diversa valutazione in camera di consiglio.

Il corollario obbligato di un simile modo di procedere è stato che, conclusa l’istruttoria dibattimentale, le parti hanno discusso e presentato le rispettive conclusioni rispetto ad un compendio probatorio potenzialmente mobile e dunque incerto.

I giudici di legittimità se la cavano col consueto riferimento alla completa discovery del complesso delle prove e alla conseguente possibilità delle parti di interloquire su ognuna di esse.

Si tratta tuttavia di una rassicurazione puramente formale che elude il punto essenziale: le parti stesse non hanno certezza degli elementi che il giudice utilizzerà per la decisione di sua competenza.

L’accusa pubblica, pur partendo da una posizione di vantaggio giacché ha ottenuto l’acquisizione degli atti prodotti, ignora se il giudice li riterrà utilizzabili.

La difesa, in posizione deteriore avendo subito quell’acquisizione cui si era opposta, è costretta a contrapporsi ad atti in ipotesi inutilizzabili.

Può ancora chiamarsi contraddittorio una situazione del genere?