La cassazione sezione 2 con la sentenza numero 47637/2023 ha ribadito che in tema di ricettazione, la depenalizzazione della ipotesi di cui all’art. 647 cod. pen. non comporta alcun effetto sotto il profilo della punibilità delle condotte di chi si appropri inizialmente ovvero di chi venga in possesso dopo il primo furto, di beni come le carte di credito, le carte postepay ovvero le tessere bancomat che rechino gli elementi identificativi della loro titolarità.
La Suprema Corte sottolinea che la provenienza da delitto dell’oggetto materiale del reato è elemento definito da norma esterna alla fattispecie incriminatrice, di talché l’eventuale abrogazione, le successive modifiche o la sopravvenuta incompatibilità di tale norma con il diritto comunitario non assumono rilievo ai sensi dell’art. 2 cod. pen., e la rilevanza del fatto, sotto il profilo in questione, deve essere valutata con esclusivo riferimento al momento in cui è intervenuta la condotta tipica di ricezione della cosa od intromissione affinché altri la ricevano ( in fattispecie analoga, Sez. 2, n. 20772 del 04/02/2016, Rv. 267034 – 01).
Per altro verso la giurisprudenza di legittimità ha, altresì, evidenziato che nell’ipotesi di smarrimento di cose che, come gli assegni, le carte di credito o le carte postepay, conservino chiari ed intatti i segni esteriori di un legittimo possesso altrui, il venir meno della relazione materiale fra la cosa ed il suo titolare non implica la cessazione del potere di fatto di quest’ultimo sul bene smarrito, con la conseguenza che colui che se ne impossessa senza provvedere alla sua restituzione commette il reato di furto e che l’ulteriore circolazione del bene mediante il trasferimento a terzi comporta l’integrazione del reato di ricettazione da parte dei successivi possessori (Sez. 2, n. 4132 del 18/10/2019 dep. 2020, Rv. 278225 – 01; n. 46991 del 08/11/2013, Rv. 257432 – 01).
Difatti, ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 647 cod. pen. è richiesta la sussistenza di tre presupposti:
che la cosa rinvenuta sia uscita dalla sfera di sorveglianza del detentore;
che sia impossibile per il legittimo detentore ricostruire sulla cosa il primitivo potere di fatto per ignoranza del luogo ove la stessa si trovi;
che siano assenti segni esteriori pubblicitari tali da consentire di identificare il legittimo possessore (Sez. 5, n. 11860 del 22/09/1998, Rv. 211920).
E nel caso in esame invece i segni esteriori del bene ne attestavano a tutti l’appartenenza ad un preciso legittimo titolare.
Pertanto, posto che il reato presupposto è sempre quello di furto, la successiva circolazione della carta o degli assegni mediante il trasferimento ad altri integra proprio l’ipotesi di ricettazione; del resto ciò che rileva ai fini della qualificazione giuridica della condotta è la situazione psicologica dell’agente e non anche quella del titolare del bene che per ragioni diverse può momentaneamente non essere in grado di esercitare il potere di fatto sulla cosa.
Ove, quindi, per le caratteristiche intrinseche dell’oggetto, sia individuabile il suo titolare, chi si appropri dello stesso commette il delitto di furto e non appropriazione di cosa smarrita, impossessandosi appunto di bene altrui e la successiva circolazione comporta la contestazione ai successivi possessori della fattispecie di ricettazione perché anche loro nella condizione psicologica di conoscere l’altruità della cosa e la sua origine illecita.
La depenalizzazione della ipotesi di cui all’art. 647 cod. pen. non comporta, pertanto, alcun effetto sotto il profilo della punibilità delle condotte di chi si appropri inizialmente ovvero di chi venga in possesso dopo il primo furto, di beni come le carte di credito, le carte postepay ovvero le tessere bancomat che rechino gli elementi identificativi della loro titolarità, poiché in tutti questi casi, essendo evidente l’appartenenza ad altri del mezzo di pagamento non vi è appropriazione di cose smarrite bensì sottrazione al titolare, in quel dato momento impedito dall’esercitare il controllo sulla cosa ed un potere di fatto sulla stessa, senza però avere mai rinunciato alla sua titolarità.
