La cassazione sezione 4 con la sentenza numero 48550 depositata il 6 dicembre 2023 ha stabilito che in caso di omicidio stradale la sospensione della patente non può essere troppo lunga, ad esempio due anni, se l’automobilista non ha mostrato “indifferenza” per la vita e non può quindi essere un pericolo per la circolazione: questo avviene quando l’incidente è avvenuto per pura colpa.
La Suprema Corte ha premesso che non esiste, però, alcuna correlazione indefettibile di proporzionalità tra le due statuizioni (quella penale in senso stretto e quella amministrativa), che sono protese a diverse finalità.
Infatti, come già opportunamente puntualizzato da Sez. 4, n. 55130 del 08/11/2017, Rv. 271661-01: “Nei casi di applicazione da parte del giudice della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, previsti dall’art. 222 cod. strada, la determinazione della durata di tale sospensione deve essere effettuata non in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. proc. pen., ma in base ai diversi parametri di cui all’art. 218, comma 2, cod. strada, sicché le motivazioni relative alla misura della sanzione penale e di quella amministrativa restano tra di loro autonome e non possono essere raffrontate ai fini di un’eventuale incoerenza o contraddittorietà intrinseca del provvedimento”.
Ricorda la cassazione che le sanzioni della sospensione e della revoca della patente di guida sono introdotte a fini specificamente interdittivi, con finalità preventive, rivolte a tutelare la sicurezza della circolazione e, di conseguenza, l’incolumità pubblica.
La loro natura amministrativa si palesa sia dalla disposizione di cui all’art. 223 C.d.S., laddove si prevede il potere della sospensione cautelare della patente in capo al Prefetto, sia dalla lettera dell’art. 224, comma 3 C.d.S., che stabilisce la competenza del Prefetto in ordine all’applicazione della sanzione amministrativa, qualora il reato da cui essa consegue sia estinto per prescrizione, previo accertamento della sussistenza della violazione, che, infine, dalla previsione, di cui all’art. 224, comma 1 C.d.S., che dispone l’adozione da parte del Prefetto della revoca o della sospensione della patente di guida per la durata determinata dal provvedimento giurisdizionale di condanna, ancorché la relativa pena sia condizionalmente sospesa (cfr. Sezioni Unite, n. 8488 del 27/05/1998, Bosio).
In particolare, quest’ultima disposizione dimostra la natura amministrativa della sospensione della parente di guida, posto che la sospensione condizionale della pena, incidente sulle sanzioni di natura penale, non si estende, per espressa volontà legislativa, alla sanzione accessoria interdittiva in esame.
Ad ulteriore conferma della natura amministrativa delle sanzioni previste dal codice della strada relative ai titoli abilitativi alla guida, conseguenti la violazione di norme penali la Suprema Corte ha precisato che: La revoca della patente di guida correlata alla condanna per i delitti di cui agli artt. 589-bis e 590- bis cod. pen. ha natura di sanzione amministrativa accessoria, attesa la sua finalità precipuamente preventiva e la limitatezza dell’arco di tempo in cui al destinatario è inibito il conseguimento di un nuovo titolo abilitativo alla guida; pertanto, anche nel caso di condotte suscettibili, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 88 del 2019, di dar luogo, in sede di cognizione, alla più mite sanzione della sospensione, non rientra tra i poteri del giudice dell’esecuzione modificare la statuizione della sentenza di condanna passata in giudicato relativa alla suddetta revoca, esulando questa dall’ambito di applicazione dell’art. 30, comma 4, della legge 11 marzo 1953, n. 87. (Sez. 1, n. 1804 del 14/11/2019 – dep. 17/01/2020, Rv. 278182).
La sentenza giunge ad escludere l’operatività della disposizione di cui all’art. 30, ultimo comma I. 87/1953, relativa agli effetti favorevoli delle sentenze di illegittimità costituzionale sulle sentenze di condanna divenute irrevocabili, limitata alle sole sanzioni penali, sottolineando la funzione eminentemente preventiva delle misure.
Riferendosi alla revoca, ma enunciando un principio generale e come tale estensibile anche alla sospensione della patente, la Corte di legittimità osserva che “la revoca è concepita dal legislatore come misura inibitoria correlata all’avvenuta manifestazione di pericolosità del soggetto autore dell’illecito penale, dunque essenzialmente quale misura di prevenzione, atteso che la inibizione alla guida assicura la collettività dalla possibile reiterazione del comportamento pericoloso, con estraneità funzionale agli aspetti meramente afflittivi della pena“.
Fatta questa premessa, la cassazione sottolinea che anche in materia di sanzioni amministrative accessorie, invero, deve farsi riferimento al principio secondo cui la motivazione circa la sussistenza dei parametri di valutazione al fine della commisurazione concreta della sanzione da infliggere assume rilevanza quanto più ci si discosti dal minimo.
Non vi è dubbio, infatti, che nessuna motivazione sia necessaria per giustificare l’applicazione del minimo, essendo un’ovvietà logica che (in assenza dì una misura inferiore) il criterio discrezionale sia espressione della scarsa importanza della violazione commessa, della ridotta entità del danno e del ridotto pericolo che l’ulteriore circolazione potrebbe cagionare (parametri indicati dal secondo comma dell’art. 218 C.d.S.)
Ma anche nell’ipotesi di sanzione concreta determinata entro il medio edittale, il richiamo ai criteri previsti dall’art. 218, comma 2 C.d.S., ancorché reso esplicito con le espressioni meramente relative alla congruità della sanzione costituisce giustificazione sufficiente dell’uso della discrezionalità del giudice, perché si colloca in una fascia valutativa- fra il minimo ed il medio edittale appunto- all’interno della quale il legislatore stesso prevede la sanzione come corrispondente alla gravità media della violazione e del pericolo futuro.
Diversamente quando ci si discosta da quella medietà, e tanto più ci si discosta, è necessario spiegare per quale motivo i parametri che si giudicano meritino, in concreto, l’applicazione di una sanzione superiore, perché il superamento di quella soglia implica una valutazione della gravità che supera la ‘media’ ed il giudice deve spiegarne le ragioni, non potendo altrimenti giustificarsi l’utilizzo della discrezionalità, che in assenza di ogni argomentazione al riguardo perde la sua qualità positiva di adattamento della sanzione al caso concreto e, conseguentemente, la sua legittimità anche costituzionale.
Quindi nel caso esaminato il comportamento “responsabile” tenuto subito dopo l’incidente e il prodigarsi per prestare soccorso hanno mostrato che l’imputato non è rimasto indifferente a quanto accaduto e non può quindi essere un pericolo per la circolazione, queste circostanze sottolineate in sentenza non sono state prese in considerazione al fine di determinare la sanzione amministrativa e la motivazione in tema appare carente.
Si ribadisce che in materia di sanzioni amministrative accessorie, invero, deve farsi riferimento al principio secondo cui la motivazione circa la sussistenza dei parametri di valutazione al fine della commisurazione concreta della sanzione da infliggere assume rilevanza quanto più ci si discosti dal minimo.
