La domanda sorge spontanea ogni qualvolta assistiamo allo stringersi del pugno di ferro nei confronti dei “criminali”, anzi per la precisione non nei confronti di tutti i “criminali” ma soprattutto di quelli che commettono delitti da strada o anche, ultimamente, da carcere.
Il combinato disposto del cd “decreto Caivano” e dell’ultimo “pacchetto sicurezza” approvati dal governo non si limitano a punire di più e ad introdurre nuovi reati ma dettano anche nuove regole nelle modalità di espiazione delle punizioni.
Tra le varie misure vengono introdotti veri e propri Daspo anche all’accesso a locali pubblici, vengono estesi ai minori gli avvisi orali del Questore, alle forze dell’ordine viene concessa maggiore autonomia, compresa quella di munirsi di un’ulteriore arma oltre a quella in dotazione, vengono estese le esimenti per le forze di intelligence, viene cancellato il differimento pena automatico per le neomamme, vengono introdotti i reati di rivolta e di istigazione alla rivolta in carcere e nei CPR anche nelle forme passive di partecipazione e il reato di blocco stradale che vanno a fare compagnia al già vecchio reato da rave party, viene aggravata la pena per la cd truffa agli anziani con possibilità di arresto in flagranza.
La repressione appare, quindi, quasi esclusivamente orientata nei confronti di coloro i quali delinquono ai livelli più bassi della società e non di quelli che i reati li commettono ai massimi livelli e piuttosto che un chilo di bresaola rubano un milione di euro.
Ai primi, del resto, se inciampano su un commesso dopo aver sottratto, ad esempio, il famoso insaccato si contesta la rapina impropria con pena edittale pesante e uguale a quella riservata alle rapine alla Dillinger se solo sono in più persone (e due bastano) con quasi certezza del carcere, per i secondi con in tasca milioni, invece, al netto di consulenze contabili e massimi sistemi il tutto si riduce spesso ad una questione economica e difficilmente la loro libertà verrà limitata nella forma più stringente.
Sia chiaro, bene così! Visto che il carcere deve essere l’estrema ratio, meno bene se non vale per tutti, se vengono usati due pesi e due misure e se il discrimine è molto spesso un domicilio idoneo o meno.
Eh ma, a quanto pare, la sicurezza di una bresaola di poter continuare a sonnecchiare in tranquillità con i suoi ricarichi sul bancone di un supermercato vale certo più di una voragine di milioni di euro che tra assicurazioni, contro assicurazioni e artifizi finanziari vari in qualche modo viene percepita dalla famigerata “opinione pubblica” come una fumosa entità astratta e indolore spalmata sulla collettività.
Come ha spiegato bene Gherardo Colombo nel libro “Sulle regole“, la società di modello verticale dovrebbe appartenere ad un retaggio del passato poiché fonda le sue radici nell’antichità ed ancora prima nella preistoria.
La società di questo tipo è una piramide gerarchica al cui vertice ci sono solo i più forti economicamente e socialmente mentre al gradino più basso finiscono i più deboli che non hanno pressoché diritti.
In questo tipo di società piramidale, ogni aspetto della vita è improntato alla competizione, tutto è una gara per prevalere e chi non ce la fa, viene emarginato sino ad essere eliminato. Nei regimi più tirannici ed assolutisti, ovviamente, tale modello raggiunge le forme più estreme.
Nella società orizzontale alla cui realizzazione tendenzialmente dovrebbero aspirare tutte le moderne società liberali, invece, ogni individuo ha il proprio valore che deve essere rispettato e conservato.
Il debole, sotto qualsiasi prospettiva, ha pari dignità e viene aiutato ad avere più forza in un contesto di solidarietà diffusa e la libertà di ciascuno è inviolabile.
Pur nella realistica consapevolezza che non esiste né mai esisterà una forma pura di società orizzontale poiché naturalmente l’essere umano è in competizione con i suoi simili e il debole, sebbene sostenuto, non scalerà mai tutti i gradini della piramide, si rende necessario comprendere se almeno i principi di uguale dignità di ogni cittadino e di pari opportunità siano o meno ispiratori della società in cui viviamo.
Teoricamente, i principi sanciti dalla Costituzione e dalle norme internazionali deporrebbero per una risposta positiva che poi, però, viene messa in dubbio da provvedimenti punitivi e liberticidi e dall’idea carcero centrica concretata dalle applicazioni di buona parte della magistratura, sia di merito che di sorveglianza.
Il livello di importanza dei valori propri di una società orizzontale si abbassa ogni qual volta la risposta al malcontento della famosa ma anonima e non chiaramente identificabile “opinione pubblica” si abbatte come una mannaia sul garantismo e sul principio di rieducazione e recupero del reo.
Ogni volta che vengono introdotti nuovi reati e inasprite le pene per quelli esistenti è necessario chiedersi se davvero la risposta alla trasgressione sia congrua ed efficace.
Così se ad esempio, se l’obiettivo è quello di evitare che un bambino continui a fare un determinato capriccio, non sembra opportuno aumentare la dose di punizioni senza cercare di comprendere da cosa nasce il capriccio spiegandogli l’errore in cui incorre e dandogli l’esempio di come ci si dovrebbe comportare.
Fermo restando che alcune delle misure deliberate sembrano opportune, quali quelle volte a contrastare il fenomeno delle truffe agli anziani con l’inasprimento delle pene e la previsione dell’arresto in flagranza, residua la netta sensazione che almeno nel comparto della società denominato “giustizia” prevalga il modello verticale.
Il soggetto che commette un reato non da “colletto bianco” che già si trova posizionato su uno dei gradini più bassi della società viene scaraventato nei sotterranei della piramide in un buco nero senza più possibilità di uscita e senza vedere luce.
Se, infatti, ci si concentra solo, o almeno soprattutto, sul come limitargli la libertà privandolo della facoltà di manifestare anche passivamente la propria contrarietà ad alcune situazioni carcerarie che notoriamente sono lungi dall’essere umanamente sostenibili e non si pensa minimamente a rieducarlo potenziando in maniera seria e strutturata il settore del servizio sociale, degli educatori, delle misure alternative e del Tribunale di Sorveglianza, ebbene, significa che l’obiettivo, come nel bambino, non è recuperarlo, disinnescando la causa che lo ha indotto a violare la regola di condotta, ma che sta bene dove sta e che al massimo, riemerso dal sotterraneo, potrà vivacchiare sull’ultimo gradino sociale sempre in bilico, lì lì per ricadere nel baratro.
Ebbene se questo tipo di giustizia, amministrata nel nome dalla pubblica opinione, anela al benessere di una società orizzonta, beh allora io sono Babbo Natale!
