Intercettazioni in materia di criminalità organizzata: per la Cassazione l’art. 1 del DL 105/2023 è una norma di interpretazione autentica (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 47643/2023, udienza del 28 settembre 2023, ha attribuito valore di norma interpretativa autentica all’art. 1 del d. l. n. 105/2023.

L’ordinanza impugnata

Il Tribunale del riesame, con l’ordinanza oggetto di ricorso, ha rigettato l’istanza di riesame proposta nell’interesse di PG avverso l’ordinanza del GIP che aveva disposto l’applicazione nei suoi confronti della misura della custodia in carcere, per i reati di intestazione fittizia di cui all’art. 512-bis cod. pen. (capi 1 e 2), entrambi aggravati dall’art. 416-bis.1.cod. pen.

L’istanza di riesame era fondata, oltre che sulla contestazione della gravità indiziaria, della sussistenza della contestata aggravante e delle esigenze di cautela, sulla dedotta inutilizzabilità delle intercettazioni poste a fondamento dell’ordinanza genetica, poiché le intercettazioni erano state autorizzate facendo riferimento alla disciplina derogatoria dell’art. 13 I. 203/91, senza che nel procedimento fossero contestati reati di criminalità organizzata ma unicamente reati concorsuali (intestazioni fittizie e reati di usura), aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1cod. pen.; ciò in contrasto con il più recente orientamento di legittimità (Sez. 1, 34895/2022) secondo il quale nella nozione di delitti di criminalità organizzata non rientrano i reati aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen.

Il TDR riteneva che, in ragione di “uno stato di incertezza giurisprudenziale e in attesa di un’eventuale nuova pronuncia a Sezioni unite”, dovesse privilegiarsi l’interpretazione, per così dire, letterale del principio di diritto enunciato dalla Sezioni unite nella sentenza 26889/2016 (Scurato), secondo la quale la nozione di “reati di criminalità organizzata” deve essere identificata attraverso il richiamo operato dalle Sezioni unite all’elenco tassativizzante dei reati previsti dall’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., nonché a quelli riferibili a fenomeni associativi previsti dall’art. 416 cod. pen., con esclusione – da intendersi riferita a questa seconda categoria – delle ipotesi di mero concorso di persone nel reato.

Il ricorso per cassazione

Si riporta, in quanto di rilievo ai fini di questo post, esclusivamente il primo motivo.

Ha proposto ricorso la difesa dell’indagato deducendo, con il primo motivo, violazione di norme processuali previste a pena di inutilizzabilità, in relazione agli artt. 13, 14 e 15 Cost.; 191, 266, comma 1 e 2, 267 e 271 cod. proc. pen.; art. 13 d. l. 152/1991; premessa la descrizione dei reati oggetto delle imputazioni cautelari e delle relative iscrizioni nel registro delle notizie di reato (ove non risultava alcuna ipotesi di reato associativo), si osserva come alla luce dell’orientamento giurisprudenziale derivante dalla recente decisione della Corte di cassazione (Sez. 1, n. 34895/2022) in alcun modo poteva ritenersi che nel procedimento in esame fossero presenti fattispecie di reato riconducibili alla nozione di criminalità organizzata, atteso che le imputazioni cautelari riferite ai delitti aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1cod. pen. determinavano dal punto di vista processuale esclusivamente la competenza distrettuale del giudice chiamato a valutare la richiesta di applicazione di misure cautelari, ma non anche l’applicazione della disciplina derogatoria in tema di intercettazioni dettata dall’art. 13 L. 203/91.

Da ciò l’illegittimità dei decreti autorizzativi emessi, sia quanto alla durata delle operazioni che ai luoghi in cui eseguire le attività di intercettazione (essendo stati autorizzati ascolti in ambienti domiciliari, anche in assenza di elementi per ritenere che ivi si stessero realizzando condotte delittuose, e mediante l’uso di captatori informatici, verificando la sussistenza di indizi solo sufficienti e senza dimostrazione dell’assoluta indispensabilità del mezzo di ricerca della prova).

La difesa ritiene che l’interpretazione “letterale” seguita dal TDR non ha tenuto conto dell’intero impianto motivazionale delle sentenze a Sezioni unite, pur richiamate nel testo della decisione “Scurato”, che avevano già definito il perimetro della categoria dei reati di criminalità organizzata; al contrario di quanto ipotizzato dall’ordinanza impugnata, la lettura comparata di quegli arresti metteva in luce una continuità di interpretazione che era stata sottolineata e evidenziata dall’ultima decisione della Suprema Corte; ne discendeva l’illegittimità dei provvedimenti autorizzativi delle intercettazioni ambientali e su utenze, specificamente indicati nel ricorso, perché modulati sui criteri – meno restrittivi e derogatori della disciplina generale – previsti dall’art. 13 L. 203/91, con violazione delle regole in punto di presupposti di legittimità, di durata delle operazioni e di individuazione dei luoghi ove eseguirle; inoltre, il ricorrente specifica il carattere decisivo degli elementi tratti dalle intercettazioni per fondare il giudizio di gravità indiziaria ex art. 273 cod. proc. pen., in assenza di differenti dati da soli utili per sostenere tale giudizio.

La decisione della Corte di cassazione

Il motivo di ricorso è infondato.

…Influenza sulla decisione dell’art. 1, d. l. n. 105/2023 del 10 agosto 2023

La questione che la difesa prospetta impone, preliminarmente, di valutare in quali termini incida, sulla disciplina dei presupposti richiesti per il ricorso al mezzo di ricerca della prova, l’intervento normativo contenuto nel d. l. 10 agosto 2023, n. 105 il quale all’art. 1 reca la seguente previsione: «Le disposizioni di cui all’articolo 13 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, si applicano anche nei procedimenti per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 452-quaterdecies e 630 del codice penale, ovvero commessi con finalità di terrorismo o avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis del codice penale o al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo».

…Innovazione normativa o interpretazione?

L’introduzione della previsione citata che definisce l’ambito applicativo della disciplina “speciale” (rispetto a quella dettata dal codice di rito agli artt. 267 e ss. cod. proc. pen.) riguardante i presupposti e le modalità esecutive delle intercettazioni disposte nei procedimenti riguardanti delitti di criminalità organizzata, contenuta nell’art. 13 del d. l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, richiede all’interprete di verificare se l’intervento legislativo abbia carattere innovativo rispetto al preesistente dato normativo, ovvero si tratti di disposizione avente contenuto interpretativo.

Sono evidenti le conseguenze che discendono da tale differente inquadramento della norma: ove essa possieda carattere interpretativo, saldandosi con quella interpretata (secondo l’immagine utilizzata dal Giudice delle leggi: Corte cost., n. 424 del 3/12/1993), delinea il contenuto che la norma aveva sin dall’origine e, per questa ragione, può dirsi retroattiva; se, al contrario, deve essere qualificata come norma innovativa, operano gli ordinari criteri di efficacia nel tempo della legge, e in particolare delle norme processuali, valendo esse solo per l’avvenire, con le criticità discendenti in tale ipotesi dall’inserimento di norme transitorie dirette ad estenderne l’applicazione anche per il passato (potendosi profilare dubbi di legittimità costituzionale, per contrasto con parametri nazionali – gli artt. 3 e 15 Cost. – ovvero sovranazionali – art. 8 CEDU -).

…Qualificazione della natura della norma

La qualificazione della natura della norma di cui all’art. 1, comma 1, d. l. 105/2023 deve essere condotta alla luce dei criteri ermeneutici indicati dalla giurisprudenza costituzionale.

Premesso il pacifico riconoscimento dell’esercizio della funzione legislativa, in sede statale o regionale, anche mediante l’emanazione di disposizioni interpretative (a partire da Corte cost., n. 118 del 8/7/1957), la funzione propria della norma interpretativa è quella di «chiarire il senso di norme preesistenti, ovvero di imporre una delle possibili varianti di senso compatibili col tenore letterale, sia al fine di eliminare eventuali incertezze interpretative (sentenze n. 163 del 1991 e 413 del 1988), sia per rimediare ad interpretazioni giurisprudenziali divergenti con la linea politica del diritto voluta dal legislatore (sentenze n. 6 del 1994; 424 e 402 del 1993; 455 e 454 del 1992; 205 del 1991; 380 e 155 del 1990; 233 del 1988; 178 del 1987)» (Corte cost. n. 397 del 23/11/1994).

…Si tratta di una disposizione interpretativa

Dalla funzione così individuata, discende il criterio di classificazione delle norme interpretative: esse si caratterizzano «non già dalla qualificazione che tali leggi danno di sé stesse» (Corte cost. 394/1994, cit.), ma piuttosto dall’operazione di selezione di un “significato normativo di una precedente disposizione, quella interpretata, la quale sia originariamente connotata da un certo tasso di polisemia e quindi sia potenzialmente suscettibile di esprimere più significati secondo gli ordinari criteri di interpretazione della legge”, il che si traduce nella facoltà del legislatore di “adottare norme che precisino il significato di altre disposizioni, anche in mancanza di contrasti giurisprudenziali, purché la scelta “imposta” dalla legge interpretativa rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario” (così, da ultimo, Corte cost. n. 133 del 6/7/2020).

Muovendo da tali coordinate, il Collegio ritiene che l’intervento normativo operato dal d. l. 105/2023, pur in assenza di una formale attribuzione del carattere interpretativo della norma (che in altri testi legislativi è testimoniato dal ricorso alla tecnica redazionale mediante incisi esplicativi in questo senso, come quando la norma esordisce con il richiamo alla norma anteriore, precisando che essa “deve essere interpretata nel senso che”), deve essere qualificato in tali termini, considerati unitariamente la volontà legislativa alla base dell’intervento, l’esistenza di difformità interpretative all’interno della giurisprudenza di legittimità, la comparazione tra gli obiettivi originari perseguiti dal legislatore del 1991 e quelli presi in considerazione dalla previsione normativa di nuovo conio (Corte cost., n. 311 del 26/11/2009).

…Scopi del legislatore quali ricavabili dalla relazione illustrativa del disegno di legge

Gli intendimenti del legislatore sono fotografati dal testo della relazione illustrativa del disegno di legge relativo alla conversione del decreto legge (A.C. 1373).

Si legge nel testo richiamato che obiettivo del legislatore è quello di «realizza[re] un allineamento di sistema, in quanto relativo ad istituti comuni alle investigazioni in materia di criminalità organizzata», muovendo dalla considerazione dell’inserimento nel catalogo previsto dall’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. sia dei reati di criminalità organizzata, sia di quelli indicati attraverso la specificazione contenuta nell’art. 1 del decreto legge, il che «rende irragionevole il disallineamento della disciplina in materia di intercettazioni, determinando la necessità di introdurre senza ritardo la norma in commento, per garantire un’efficace azione di contrasto a gravi forme di criminalità e rendere più organico il sistema processuale, anche in ragione dei numerosi procedimenti in corso in cui si registrano indirizzi non univoci».

È chiara la volontà legislativa di attribuire alla nozione racchiusa nell’espressione adottata dal legislatore del 1991 (“lo svolgimento delle indagini in relazione ad un delitto di criminalità organizzata”) un perimetro applicativo ispirato al tratto che accomuna i reati caratterizzati dal legame, anche solo fattuale, con realtà criminali organizzate e, allo stesso tempo, alla funzionalità dello strumento investigativo delle intercettazioni, in contesti ove la ricerca degli elementi di prova è resa maggiormente difficoltosa dalle caratteristiche dei fenomeni criminali.

Si tratta, com’è evidente, di una delle possibili letture della categoria dei “delitti di criminalità organizzata”, storicamente priva di una definizione positiva a livello normativo (e, per tale ragione, “connotata da un certo tasso di polisemia” secondo la terminologia della giurisprudenza costituzionale).

…Presa d’atto dell’esistenza di un conflitto interpretativo

L’analisi delle decisioni della giurisprudenza di legittimità, d’altro canto, registra una diversità di approcci interpretativi che dà conferma della pluralità delle letture della medesima espressione contenuta nell’art. 13 d. l. 152/1991.

D’un lato si collocano le decisioni che avevano individuato la cifra caratterizzante la nozione di “criminalità organizzata” nella costituzione di un apparato organizzativo finalizzato alla commissione di attività criminose, non tipizzate, purché realizzate da una pluralità di soggetti che, per la commissione di più reati, avessero fatto ricorso ad una struttura organizzata, che assumeva ruolo preminente rispetto ai singoli partecipanti (Sez. 6, n. 7 del 07/01/1997, Rv. 207363 – 01; Sez. 1, n. 3972 del 02/07/1998, Rv. 211167 – 01; Sez. 5, n. 46221 del 20/10/2003, Rv. 227481 – 01), decisioni

talvolta caratterizzate da applicazioni concrete suscettibili di apparire in contrasto con l’enunciazione di quel principio (Sez. 1, n. 2612 del 20/12/2004, dep. 2005, Rv. 230454 – 01 che riconobbe la qualifica di reato di criminalità organizzata ad una rapina a mano armata da parte di un gruppo di soggetti; Sez. 6, n. 28602 del 19/03/2013, Rv. 256648 – 01, riguardante intercettazioni disposte per reati di corruzione, collocati in una “vasta struttura criminale”); questo indirizzo interpretativo ha trovato l’avallo delle Sezioni unite (n. 26889 del 28/04/2016, Scurato, Rv. 266906 – 01), nella misura in cui il principio di diritto espresso (“per procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata devono intendersi quelli elencati nell’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen. nonché quelli comunque facenti capo ad un’associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di persone nel reato”) si intende coniugato al «riferimento, contenuto nella parte enunciativa del principio di diritto, ai delitti “elencati nell’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen.», come «riferito ai delitti associativi annoverati in quell’elenco, e non, anche, ai delitti non associativi, per quanto commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis cod. pen. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dal suddetto articolo» (Sez. 1, n. 34895 del 30/03/2022, Rv. 283499 — 01).

In contrapposizione si pongono le decisioni che, dopo aver inizialmente ricondotto l’espressione “delitti di criminalità organizzata” a categorie di reati definite «attraverso l’analitica individuazione delle fattispecie fatta dall’art. 407, comma secondo, lett. a) cod. proc. pen., dall’art. 372, comma 1-bis cod. proc. pen., dall’art. 51, comma 3-bis e 54 cod. proc. pen.» (Sez. 6, n. 6159 del 24/02/1995, Rv. 201695 — 01), in più occasioni, hanno affermato che la contestazione dell’aggravante ex art. 7 L. 203/91, ipotesi ricompresa nel catalogo contenuto nell’art. 51, comma 3 bis, cod. proc. pen., qualifica il relativo reato come delitto di criminalità organizzata (Sez. 2, n. 25612 del 4/5/2022, n.m., in ipotesi di danneggiamento aggravato dal ricorso al metodo mafioso, peraltro con richiamo alla massima della pronuncia a Sezioni unite; Sez. 1 n. 17647 del 19/2/2020, n.m., riguardante il delitto di omicidio commesso con finalità di agevolazione di cosche `ndranghetiste; Sez. 1 n, 38038 del 22/3/2017, n.m., nel medesimo procedimento, in fase cautelare; Sez. 1, n. 50927 del 19/7/2018, n. m., relativa a intercettazioni disposte per il reato di violenza e minaccia a p. u, aggravato ex art. 7 I. 203/91, ancora con richiamo al principio di diritto enunciato dalla Sezioni unite; Sez. 1, n. 57542 del 14/9/2018, n.m., in relazione al reato di violenza e minaccia a p. u., aggravati dal ricorso al metodo mafioso; Sez. 1, n. 26666 del 13/2/2019, n.m., riguardante un omicidio aggravato per fini agevolativi di un clan mafioso; Sez. 6, n. 36874 del 13/6/2017, n.m.).

…Corrispondenza tra gli obiettivi dell’art. 1 d. l. n. 105/2023 e quelli perseguiti dall’art. 267 cod. proc. pen.

Deve, ancora, essere considerata la corrispondenza degli obiettivi perseguiti dalla legge che introdusse la disposizione modificativa del tenore dell’art. 267 cod. proc. pen., con quelli posti a base del recente intervento normativo.

Nel contesto storico dei primi anni ’90 in cui si registrò un allarmante attacco allo Stato e alle sue istituzioni, in grado di condizionare lo sviluppo civile e sociale del paese, da parte delle organizzazioni criminali di stampo mafioso, fu scelta la strada di assicurare le esigenze di tutela dell’ordinamento dalle aggressioni al tessuto sociale ed economico messe in atto da organizzazioni criminali di elevata pericolosità, quali quelle mafiose, con una pluralità di strumenti, tra cui spiccava l’introduzione della speciale circostanza aggravante dell’art. 7 del d. l. 152/1991, idonea a “ricomprendere tutti gli illeciti realizzati con modalità “mafiose” al fine di sviluppare e accrescere l’attività dei sodalizi criminali, anche se posti in funzione di mero supporto di tali attività” (così il testo della reazione illustrativa n. 2808 AC del disegno di legge di conversione in legge del decreto legge 13 maggio 1991, pag. 11).

Inoltre, nel testo del decreto legge citato, l’art. 13 relativo alla disciplina delle intercettazioni era formulato in termini ancor più generali, prevedendo per qualsivoglia reato, quale presupposto legittimante l’avvio delle operazioni di intercettazione, anche il solo ricorrere dei sufficienti indizi e della mera necessità delle captazioni, con le modifiche in punto di durata delle operazioni e del regime delle proroghe; solo in sede di conversione fu introdotto il tenore della norma attualmente in vigore, con la definizione dell’ambito applicativo delle norme derogatrici attraverso il riferimento ai delitti di criminalità organizzata che si ricollegava, logicamente e in sintonia con l’impianto complessivo del provvedimento, ad una lettura ampia della categoria.

Il decreto legge 105/2023 riprende e conferma quella opzione legislativa, volta a considerare la categoria dei delitti di criminalità organizzata alla luce dei dati convergenti del profilo organizzativo e, al tempo stesso, della particolare gravità di reati che, pur in difetto del carattere organizzato, si collocano nell’ambito dei fenomeni criminali in grado di alimentare e supportare lo sviluppo di organizzazioni delinquenziali.

…L’interpretazione autentica è legittima anche nella materia processuale

Le considerazioni che precedono conducono, pertanto, ad affermare che il disposto dell’art. 1 d. l. 105/2023 ha contenuto interpretativo e, come tale, ha efficacia retroattiva dovendo applicarsi anche nella materia processuale la possibilità di specificare, ora per allora, l’ambito applicativo delle norme destinate a regolare i criteri legittimanti il ricorso a specifici mezzi di ricerca della prova.

Ulteriore conferma in tal senso giunge dal tenore del secondo comma dell’art. 1 del d. l. 105/2023; a dispetto della sua superfluità in presenza di una norma a carattere interpretativo (e dell’impropria qualificazione quale norma transitoria riportata nella relazione illustrativa, indicazione che non può evidentemente superare la volontà del legislatore così come ricostruita attraverso gli indici su evidenziati: Sez. unite, n. 8 del 27/03/1992, Di Marco, Rv. 190246 – 01, nella motivazione), la disposizione traduce l’intento del legislatore di emanare una norma che fosse immediatamente applicabile ai procedimenti in corso, effetto naturale – come si è detto – già in conseguenza dell’accertata natura interpretativa della norma.

…Compatibilità costituzionale dell’intervento di interpretazione autentica

Va, infine, valutata la legittimità dell’intervento legislativo rispetto ai parametri costituzionali evocati dalla difesa, pur se in riferimento all’ipotesi – che si è esclusa – del carattere innovativo della disciplina del d. l. 105/2023.

A questo riguardo deve essere ricordato che la giurisprudenza costituzionale, del tutto consolidata, ha affermato da tempo che la portata retroattiva della legge, anche delle norme di interpretazione autentica, incontra – al di là dello specifico ambito della materia penale – limiti che attengono alla salvaguardia di norme costituzionali tra cui rilevano i principi generali di ragionevolezza e di uguaglianza, oltre che quello della tutela dell’affidamento legittimamente posto sulla certezza dell’ordinamento giuridico e quello del rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario.

Esclusi sia l’ultimo dei limiti, che non trova rilievo in questa sede, sia quello dell’eventuale compromissione dell’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica (non potendosi ipotizzare, nell’ambito di indagini penali e dell’acquisizione di elementi di prova, l’insorgere di oneri processuali con effetti pregiudizievoli per l’indagato, ovvero pregiudizi al legittimo affidamento delle parti stesse nello svolgimento del giudizio, secondo le regole vigenti all’epoca del compimento degli atti processuali), occorre valutare se l’intervento legislativo adottato possa risultare confliggente con diritti costituzionalmente garantiti.

Il conflitto eventuale deve tenere conto dell’altrettanto consolidato orientamento del giudice delle leggi secondo il quale non sussiste alcun vulnus a livello costituzionale quando la retroattività trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti «motivi imperativi di interesse generale» ai sensi della CEDU (Corte cost., n. 78 del 5/4/2012).

Nella materia in esame, soccorre ancora una volta l’insegnamento della giurisprudenza costituzionale. Il diritto all’inviolabilità delle comunicazioni, teso a tutelare la loro libertà e segretezza, così come ogni altro diritto costituzionalmente protetto, è soggetto a limitazioni purché disposte “per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”; «se così non fosse, “si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette”.

Per questa ragione, la «Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi», nel rispetto dei canoni di proporzionalità e di ragionevolezza (sentenza n. 85 del 2013).

Pertanto, anche il diritto inviolabile protetto dall’art. 15 Cost. può subire limitazioni o restrizioni «in ragione dell’inderogabile soddisfacimento di un interesse pubblico primario costituzionalmente rilevante, sempreché l’intervento limitativo posto in essere sia strettamente necessario alla tutela di quell’interesse e sia rispettata la duplice garanzia» della riserva assoluta di legge e della riserva di giurisdizione (sentenza n. 366 del 1991)» (Corte cost. n. 20 del 24/1/2017).

L’interesse pubblico a reprimere i reati e a perseguire in giudizio gli autori delle condotte criminose, specie in relazione ai reati di maggior allarme sociale e di maggiore complessità quanto al loro accertamento, quali quelli relativi ai procedimenti di criminalità organizzata, rappresenta «interesse pubblico primario, costituzionalmente rilevante, il cui soddisfacimento è assolutamente inderogabile» (Corte cost. n. 366 del 23/7/1991), sicché la norma interpretativa in esame, nella sua portata retroattiva, non può dirsi né irragionevole né lesiva di valori costituzionalmente protetti.

Le considerazioni che precedono escludono, logicamente, alcun profilo di inutilizzabilità delle intercettazioni disposte nel corso delle indagini e valutate a sostegno del quadro indiziario dal provvedimento impugnato.