Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 19374/2023, udienza del 6 aprile 2023, ha deciso un ricorso presentato nell’interesse di un imputato avverso la sentenza della Corte territoriale che lo ha riconosciuto responsabile del delitto di minaccia aggravata ai sensi dell’art. 339, primo comma, cod. pen. per essere il fatto commesso in più persone riunite e in modo simbolico.
La condotta sottostante all’imputazione, contestata in concorso con altre persone non identificate, era consistita nella fabbricazione, nella detenzione e nel porto in luogo pubblico di un ordigno esplosivo-incendiario di fattura artigianale collocato davanti all’apparecchiatura ATM di un ufficio postale ubicato nella città di Genova.
Tale ordigno era costituito da una tanica di plastica della capienza di 5 litri, contenente alcol, dal cui tappo fuoriuscivano due fili elettrici collegati ad una batteria, alla quale era a sua volta collegata una sveglia analogica che fungeva da temporizzatore; uno dei due fili elettrici di collegamento con la batteria era però staccato per cui il sistema era rimasto inerte. L’ordigno era stato avvistato sotto lo sportello Postamat dell’Ufficio postale da un passante e poi rimosso ad opera degli artificieri della Questura intervenuti a seguito di richiesta da parte della pattuglia sopraggiunta sul posto.
Seguono adesso le motivazioni adottate dal collegio di legittimità sulle questioni di maggiore rilievo.
La correttezza della contestazione di minaccia
Il motivo che contesta la sussumibilità del fatto nella fattispecie della minaccia è manifestamente infondato.
La circostanza che volutamente non sia stato attivato l’innesco, per evitare l’esplosione del congegno, non esclude affatto la capacità intimidatrice dell’azione posta in essere dall’imputato attraverso il posizionamento, davanti al Postamat dell’ufficio postale, di un oggetto che, per le sue sembianze di un ordigno, aveva, anzi, insita in sé alta valenza intimidatrice.
D’altronde, se l’ordigno fosse esploso altro sarebbe stato il reato configurabile, laddove la valenza intimidatrice è dipesa proprio dal fatto che l’ordigno, collocato senza l’intenzione di farlo esplodere ma evidentemente con chiaro intento di incutere paura attraverso ciò che esso evoca fosse rimasto quindi inerte; sicché la sola visione di esso, inesploso, all’indomani della sua sistemazione nel luogo in cui è stato poi notato, non poteva che suscitare più che timore, vero e proprio terrore nel destinatario; e che tale valenza fosse percepibile, e fosse stata percepita dal destinatario del congegno – che non si identifica ovviamente nell’ente Poste in sé ma nelle persone fisiche di cui si compone – , è desumibile dal fatto che il gesto si collocava in un ben preciso contesto – quello che vide eseguite condotte dei tutto analoghe a quella del presente procedimento presso gli uffici postali di Bologna, il giorno prima, e di Torino, il giorno successivo, per avere le Poste Italiane in quel periodo implicitamente aderito ad una campagna contro l’immigrazione clandestina contro cui lottavano i gruppi dissidenti – che consentiva – ed effettivamente consentì – al destinatario di percepirne in pieno il messaggio – figurato – di tipo minatorio che si era in tal modo inteso lanciare.
In altri termini, la minaccia realizzata nel caso di specie, nonostante sia priva di esplicitazione verbale, è nondimeno tale, per il suo elevato significato simbolico – in quanto espressa mediante l’uso di un oggetto, che, per modalità di confezionamento, posizionamento e contenuto (materiale esplodente) rappresentava un ordigno, che di per sé evoca conseguenze micidiali – da recare intimidazione; il congegno fu adoperato, secondo la compiuta ricostruzione svolta nelle pronunce di merito – non specificamente incisa dagli argomenti difensivi – per rappresentare in maniera plastica una minaccia di morte, evocando, col suo impatto visivo sulle persone, lo scenario distruttivo che solitamente consegue ad una deflagrazione.
Ed invero, la minaccia può essere manifesta o implicita, palese o larvata, diretta o indiretta, reale o figurata, orale o scritta, determinata o indeterminata, purché comunque idonea, in relazione alle circostanze concrete, a incutere timore e a coartare la volontà del soggetto passivo.
La fattispecie di cui all’art. 612 cod. pen. è integrata anche quando, in assenza di parole intimidatorie o di gesti espliciti sia adottato un comportamento univocamente idoneo ad ingenerare timore, che può trovare espressione anche – come nel caso di specie – attraverso il posizionamento di un oggetto, nei pressi del destinatario, che contenga in sé quella carica intimidatrice idonea a turbare o diminuire la libertà psichica del soggetto passivo; carica intimidatoria che nel caso di specie è stata suggellata dall’associato messaggio indiretto giunto attraverso la cronaca di quei medesimi giorni.
L’aggravante della modalità simbolica
Alla stregua di quanto osservato al punto che precede consegue la sussistenza dell’aggravante dell’uso di modalità simbolica che il ricorso ha tentato di contestare.
Ed invero, la minaccia deve ritenersi eseguita in modo simbolico allorquando la sua estrinsecazione avvenga, invece che con modalità meramente descrittiva o comportamentale, attraverso immagini o segni od oggetti o azioni che abbiano insiti in sé non solo la capacità di evocare ciò che attraverso di essi si è inteso minacciare – risolvendosi ciò nella esplicitazione della minaccia in sé – ma anche un surplus intimidatorio derivante proprio dalla modalità simbolica utilizzata (nel caso di specie, l’utilizzo di un ordigno che rimanda a scenari di distruzione e morte costituisce modalità di estrinsecazione della minaccia certamente intrisa di maggiore capacità intimidatoria).
L’aggravante delle più persone riunite
Quanto all’aggravante delle più persone riunite, la peculiarità della fattispecie concreta non ne esclude la ravvisabilità dal momento che la minaccia nel caso di specie si è esplicitata anche attraverso il collegamento dell’ordigno coi fatti analoghi pressoché coevi che rimandavano univocamente a gruppi organizzati.
S’impongono però delle precisazioni al riguardo.
Il collegio è consapevole del contrasto creatosi nella giurisprudenza di legittimità in ordine alla necessità o meno che la presenza di almeno due persone sia percepita dalla vittima affinché possa ritenersi integrata l’aggravante in parola, ma volendo rimanere ancorato alla pronuncia espressa dalle Sezioni unite (Sez. U, n. 21837 del 29/03/2012, Rv. 252518, – 01 -, che sia pure in relazione alla specifica ipotesi dell’aggravamento di pena previsto dall’art. 629, comma secondo, cod. pen., ha affermato che questo rispetto alla fattispecie del reato-base, nel caso di condotta estorsiva realizzata da più persone, risiede nel dato oggettivo del contributo causale, determinato dal maggiore effetto intimidatorio della violenza o minaccia posta in essere, fornito alla realizzazione del delitto dalla simultanea presenza nel luogo e nel momento della esecuzione della violenza e minaccia dei concorrenti e non in quello soggettivo della mera percezione della provenienza della condotta da parte di più persone), dovrebbe, a primo acchito, concludere che nel caso di specie non sussistano dubbi sulla ricorrenza della circostanza aggravante in parola, costituendo dato pacifico che il manufatto sia stato collocato sul posto da due persone.
Tuttavia deve rilevarsi che, se è vero che ciò che rileva è la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia, non rilevando che la persona offesa abbia percepito o meno la presenza anche di un secondo soggetto – poiché la “ratio” dell’aggravamento non deriva necessariamente dalla maggiore costrizione esercitata simultaneamente sulla vittima, ma piuttosto dalla maggiore potenzialità criminosa correlata all’oggettiva compresenza di più persone nel luogo del delitto – rimane, però, a rigore, da stabilire l’esatto momento consumativo del reato di minaccia nella particolare vicenda in esame in cui la consumazione della minaccia non può ritenersi coincisa con il momento della collocazione dinanzi all’ufficio postale, di notte, dell’apparente ordigno da parte di due soggetti perché ai fini della sua integrazione è necessario che essa sia anche percepita dal soggetto passivo (il reato di minaccia si consuma nel momento e nel luogo in cui la minaccia viene conosciuta dalla vittima); laddove nel caso in scrutinio tale percezione si è concretizzata, da parte degli effettivi destinatari, solo a seguito del disvelamento, all’indomani delle notizie diffusesi in ordine ad azioni identiche verificatesi anche in altri luoghi, della matrice “ideologica” dell’azione e della sua riconducibilità a un determinato gruppo di anarchici (tra i quali era poi identificato il ricorrente); sicché, a ben vedere, una pedissequa applicazione al particolare caso di specie del disposto normativo di cui all’art. 339 cod. pen., nella parte afferente all’aggravante delle
più persone riunite, dovrebbe portare a ritenere che non potendosi nella fattispecie in esame ravvisare una simultanea presenza materiale di più persone nel luogo di consumazione del delitto, non potrebbe trovare applicazione l’aggravante in parola, pur essendosi la minaccia oggettivamente estrinsecata con maggiore efficacia intimidatoria perché proveniente da un gruppo e quindi da più persone “riunite” – costituente la ratio dell’aggravante in parola che la differenzia da quella di cui all’art. 112 cod. pen. che attiene al mero numero delle persone che concorrono nel reato in quanto indicativo della capacità criminale di coloro che agiscono, non anche, necessariamente, di maggiore capacità intimidatrice – ; laddove una simultanea presenza, sia pure ideale, di più persone nel luogo di consumazione della minaccia, come detto coincidente col momento della percezione – avvenuta in assenza, materiale, di alcuno dei correi – della minaccia da parte del destinatario, vi è stata nel caso di specie dal momento che l’intimidazione – estrinsecata anche attraverso il disvelamento della provenienza dell’azione da parte di un gruppo di persone – è stata di fatto portata simultaneamente da più persone (la cui presenza sia pure virtuale, – di là della rilevanza o meno di tale circostanza ai fini che occupano – , è stata anche percepita); sicché deve ritenersi che nella peculiare fattispecie in scrutinio si sia comunque realizzata quella maggiore potenzialità criminosa correlata all’oggettiva compresenza di più persone nel luogo del delitto.
