Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 47768/2023, udienza del 25 ottobre 2023, ha esaminato un ricorso fatto nell’interesse di una donna avverso la decisione di un tribunale del riesame che aveva confermato un’ordinanza cautelare in carcere emessa nei suoi confronti. Ha avuto in tal modo l’occasione di chiarire quali siano i parametri che consentono di attribuire a taluno la qualifica di coadiutore di fatto di un’amministrazione giudiziaria di beni in sequestro o confisca.
Serve premettere che l’ordinanza è stata emessa in un procedimento nel quale la ricorrente, unitamente ad altri indagati, è stata accusata è accusata di avere depauperato un compendio aziendale posto sotto amministrazione giudiziaria nell’ambito di altro procedimento.
La donna ha ricoperto, fino alle dimissioni, un preciso ruolo nell’ambito dell’amministrazione giudiziaria preposta dal giudice a seguito del sequestro dell’azienda del marito, essendo coadiutrice di fatto degli amministratori giudiziari, impegnata soprattutto nella gestione dei rapporti commerciali dell’azienda in sequestro.
Secondo la prospettazione dell’accusa, l’ampiezza dei poteri esercitati è stata alla base delle contestate condotte delittuose, avendo avuto la ricorrente, nella veste ricoperta, libero accesso al denaro ed ai beni di pertinenza dell’azienda in sequestro, sviando i controlli e i riscontri al suo operato.
La decisione della Corte di cassazione
Il primo quesito da affrontare, in quanto precede logicamente gli altri, è quello relativo all’attribuibilità alla ricorrente della qualità di coadiutore di fatto dell’Amministratore giudiziario e, in quanto tale, depositaria della qualità di pubblico ufficiale.
Il TDR risolve il quesito in senso positivo e a tale proposito osserva che «… la ricorrente ha pacificamente assunto per fatti concludenti tale carica, continuando a gestire l’attività dell’amministrata. Ha operato quale responsabile dei rapporti commerciali della azienda in sequestro con i compratori/intermediari (cd. “posteggianti”) dei vari mercati nazionali, con il compito di verificare ogni mattina i prezzi dei mercati interagendo con i compratori/ intermediari ed organizzare, quindi, le spedizioni per il mercato del giorno successivo, con poteri anche di preposta alla conduzione degli affari ordinari, con facoltà di rappresentare anche verso l’esterno l’azienda sequestrata, tanto da avere anche un potere di rappresentanza e di firma presso le banche (come nel caso della delega relativa al conto L’indagata, dunque, pur rivestendo la qualifica di “fattore” e senza assumere alcuna veste formale all’interno della procedura, ha svolto di fatto all’interno della società amministrata un ruolo quanto meno equiparabile a quello di coadiutore dell’amministratore giudiziario formalmente nominato, essendo impegnata nella gestione dei rapporti commerciali e avendo libero accesso al denaro e ai beni dell’azienda in sequestro.
Tale gestione di fatto è proseguita con la sostanziale tolleranza degli amministratori giudiziari, consapevoli della situazione venutasi a creare, come desumibile dalle dichiarazioni e dalle denunce sporte dagli stessi, che tuttavia non l’hanno rimossa dal contesto aziendale».
Secondo il Tribunale, quindi, la gestione di fatto di alcuni affari è sufficiente ad attribuire ad alcuno il ruolo di pubblico ufficiale di fatto, ancorché tale attività sia svolta in violazione di legge.
A tale proposito, invero, va evidenziato che la ricorrente è la moglie e la madre dei soggetti nei cui confronti è stato disposto il sequestro dell’azienda in amministrazione giudiziaria e che l’art. 35, comma 3, d.lgs. 9 settembre 2011, n. 159 stabilisce che non possono essere nominate amministratori giudiziari o coadiutori le persone nei cui confronti il provvedimento è stato disposto, il coniuge, i parenti fino al quarto grado, gli affini fino al secondo grado, e le persone con esse conviventi.
A parte questa preliminare ragione che è certamente ostativa all’attribuzione in via di fatto di ruoli vietati dalla legge, va precisato come non sia sufficiente la realizzazione di attività latamente gestorie per riconoscere il ruolo di coadiutore, essendo – invece – necessario che tali attività siano altresì vestite dalle caratteristiche che connotano tale figura.
A tale riguardo, occorre fare riferimento all’art. 35, comma 4, del decreto legislativo n. 159 del 2011, che prevede e regolamenta la posizione dei coadiutori.
Si tratta di soggetti dotati di particolari competenze tecniche che l’amministratore giudiziario – in caso di gestioni complesse – può porre al suo servizio, organizzando – sotto la propria responsabilità – un ufficio di coadiuzione.
La legge vigente prevede che detta scelta venga comunicata al giudice procedente con «autorizzazione» da parte del medesimo e prevede il regime di incompatibilità già in parte richiamato (art. 35, comma 4-bis, cit.) anche per i coadiutori. Da tale disposizione normativa si evince che il «coadiutore» è un soggetto che collabora in via diretta con l’amministratore giudiziario al fine di contribuire a realizzare gli scopi del pubblico ufficio di gestione giudiziaria.
Sono così estrapolabili due requisiti per individuare la figura del coadiutore, sia pure in via di fatto: ossia che operi in via di diretta collaborazione con l’amministratore giudiziario; che la sua attività sia intesa al perseguimento degli scopi dell’amministrazione giudiziaria.
Entrambi i requisiti mancano nel caso in esame, dato che lo stesso Tribunale evidenzia come la ricorrente operasse in via autonoma, al di fuori di ogni collaborazione con gli altri amministratori, anzi contro la loro volontà che, invero, la denunciavano. Ed è lo stesso Tribunale che definisce l’attività della quale “indebita interferenza”, ovvero come “illecita ingerenza” della stessa.
In ogni caso, risulta in maniera evidente come difetti, nella fattispecie in esame, il perseguimento delle finalità proprie dell’amministrazione giudiziaria, visto che tutta la vicenda in contestazione e le stesse incolpazioni del capo 1) e del capo 7) indicano che le condotte sono state contestate in danno dell’amministrazione giudiziaria, in quanto intese al depauperamento dell’azienda, mentre l’amministrazione giudiziaria ha il compito di provvedere alla gestione, alla custodia e alla conservazione dei beni sequestrati al fine di incrementare se possibile la redditività dei beni medesimi.
La finalità di salvaguardare il valore del bene sequestrato è il criterio guida trattandosi di un’amministrazione “per conto di chi spetta”.
Tanto viene espresso a chiare lettere dal Tribunale che, invero, osserva che «la menzionata opera di illecita ingerenza […] si dimostrava finalizzata a perseguire un unico scopo, ossia quello di depauperare la società amministrata a vantaggio di nuovi soggetti giuridici […]».
La ricorrente, dunque, ha fondatamente eccepito il vizio di violazione di legge in relazione all’attribuzione alla stessa della veste di coadiutore di fatto. Ne consegue il venir meno, in relazione al capo 1), del reato di cui all’art. 314 cod. pen. e la conseguente caducazione del titolo cautelare, potendo la fattispecie, al più, inquadrarsi nell’ipotesi di cui all’art. 646 cod. pen.
