Si approfondirà una questione già affrontata da Terzultima Fermata con l’articolo https://terzultimafermata.blog/2023/10/13/sezioni-unite-penali-il-fine-di-profitto-del-furto-puo-essere-anche-di-natura-non-patrimoniale-di-vincenzo-giglio-e-riccardo-radi/ e oggetto della pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni unite con la Sentenza n 41570 depositata il 12 ottobre 2023 nel dirimere un contrasto giurisprudenziale tra due orientamenti distinti.
Il quesito rimesso con ordinanza della Corte di Cassazione 5^ Sezione Penale è stato presentato nei seguenti termini: se il fine di profitto del reato di furto caratterizzante il dolo specifico dello stesso, sia circoscritto alla volontà di trarre dalla sottrazione del bene un’utilità esclusivamente patrimoniale, ovvero possa consistere in un fine di natura non patrimoniale.
Un primo orientamento risalente e maggioritario ritiene che la nozione di profitto non si identifichi necessariamente con un’utilità patrimoniale ma possa anche consistere nel soddisfacimento di un bisogno psichico e rispondere, quindi, ad una finalità di dispetto, ritorsione, o vendetta.
In base a tale ragionamento logico-giuridico numerosi sono i casi fatti rientrare nell’ipotesi di furto quali ad esempio: a) la sottrazione di un bene per poi distruggerlo; b) il furto nell’interesse della vittima (sottrazione di beni allo scialacquatore, sottrazione di alcol all’alcolizzato…); c) il furto determinato da motivazioni emulative; d) la sottrazione di cose prive di valore commerciale.
Un secondo orientamento, più recente ma minoritario, invece esclude che l’atto di sottrazione in assenza di motivazioni patrimoniali possa configurare un furto.
Si sostiene che il profitto integrante il dolo specifico del furto debba essere considerato in senso restrittivo, ossia come possibilità di fare uso della cosa sottratta in qualsiasi modo apprezzabile sotto il profilo dell’utilità economica anche, eventualmente, al fine di soddisfare un bisogno umano, materiale o spirituale, che si profila, però, come ulteriore rispetto all’azione.
Ebbene, le Sezioni unite della Suprema Corte hanno aderito al primo orientamento enunciando il seguente principio di diritto: Nel delitto di furto, il fine di profitto che integra il dolo specifico, va intero come qualunque vantaggio anche di natura non patrimoniale perseguito dall’autore.
Un’interpretazione talmente estesa che rasenta l’indeterminatezza e rischia di violare i principi di tipicità e tassatività del diritto penale legittimando una sorta di pericoloso automatismo.
Ci si chiede se anche una sottrazione per fini ludici e/o scherzosi possa essere avere rilevanza penale.
Se così fosse, ed il tenore dell’interpretazione della Suprema Corte non sembra escluderlo, una classica burla tra giovanissimi che si concretizza nella momentanea sottrazione e occultamento di un qualsiasi oggetto al malcapitato di turno, potrebbe essere qualificata a tutti gli effetti come un furto sorretto dal fine di soddisfare il bisogno psichico del divertimento.
Può davvero una risata con presa in giro, deplorabile sicuramente ritenersi penalmente rilevante? Nonostante le rassicurazioni dei Supremi Giudici l’allargamento della sfera di applicazione della fattispecie e aumenta l’incertezza in merito ai comportamenti vietati.
Nel caso oggetto del ricorso la sottrazione era stata effettuata per impedire una telefonata ai carabinieri che tra l’altro era già avvenuta, e quindi, solo per pochi minuti e senza alcun profitto patrimoniale.
Se anche sottrarre e nascondere ad esempio i vestiti o le scarpe di un amico che li ha poggiati sulla battigia, la penna o l’astuccio di un compagno di classe, fosse qualificabile ai sensi dell’art. 624 cp, una simpatica e goliardica compagnia come quella del film “Amici Miei” potrebbe essere sussumibile in un’ipotesi di associazione per delinquere…Sic!
