La cassazione sezione 2 con la sentenza numero 39673/2023 ha stabilito che non costituisce valida querela l’atto, pur predisposto dalla polizia giudiziaria, intestato come “ricezione di querela orale” e sottoscritto dalla persona offesa, nel caso in cui non si traggano dal tenore delle dichiarazioni in esso contenute e dal comportamento successivo della persona offesa chiari elementi sintomatici della volontà di perseguire il responsabile del reato, trattandosi, comunque, di valutazione spettante al giudice di merito che, se assistita da assoluta congruità logica, sfugge al sindacato di legittimità.
La Suprema Corte premette che secondo il consolidato principio la volontà di chiedere la punizione del colpevole non è sottoposta a particolari formalità e può ricavarsi dall’esame dello stesso atto di querela.
Invero, in tema di reati perseguibili a querela, la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa non richiede formule particolari e, pertanto, può essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione, i quali, ove emergano situazioni di incertezza, vanno, comunque, interpretati alla luce del “favor querelae”.
Fattispecie nella quale la Suprema Corte ha ritenuto chiara espressione della volontà di punizione la richiesta, formulata in un atto di “denuncia querela” da parte della persona offesa dal reato in tale sua qualità, di essere informata della eventuale richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero, e del contemporaneo conferimento di procura speciale al difensore di fiducia per proporre opposizione alla suddetta richiesta. (Sez. 5, n. 2665 del 12/10/2021, dep. 2022, Rv. 282648).
Nella presente fattispecie, la Corte territoriale ha rilevato che, sebbene le dichiarazioni della persona offesa, F. B., “raccolte’ presso la Stazione dei Carabinieri di Piove di Sacco vengano contenute in un atto, qualificato come “ricezione querela orale”, tuttavia, manchi, nella parte contenutistica del documento, qualsivoglia concreta richiesta di punizione.
E non solo.
La persona offesa, ad un certo punto, verbalizza la seguente dichiarazione “allego alla denuncia saldo movimenti del conto corrente”.
Non ignora la cassazione il precedente giurisprudenziale di questa stessa sezione (sent. n. 9968 del 02/02/2022, Rv. 282816) secondo cui, ai fini della validità della querela presentata oralmente alla polizia giudiziaria a seguito di arresto in flagranza, la manifestazione di volontà della persona offesa di perseguire l’autore del reato è univocamente desumibile dall’espressa qualificazione dell’atto, formato su richiesta della persona offesa, come “verbale di ricezione di querela orale“, ma ritiene che le conclusioni qui assunte non si pongano in contrasto con detto precedente.
Invero, nella sentenza 9968 si è ritenuto che ricorresse un’inequivoca manifestazione della volontà punitiva ai danni del colpevole.
Nella circostanza, la scoperta della persona offesa di essere stata pagata con una banconota falsa e, dunque, di essere stata truffata, determinò la stessa a richiedere l’immediato intervento dei carabinieri; e ciò all’evidente fine di ottenere la punizione dell’autore, tanto che con le sue dichiarazioni ne provocò l’arresto.
In presenza di un simile contesto, è apparso del tutto coerente e logico aver attribuito alla dicitura “verbale di ricezione di querela orale” la manifestazione di volontà che si proceda in ordine ad un fatto previsto dalla legge come reato: in tal caso, pertanto, l’omessa indicazione della “formale richiesta di punizione” ovvero dell’uso delle formule di “chiusura” (del tipo “previa lettura e conferma”), non sono elementi dirimenti ai fini della sussistenza della conciliazione di procedibilità, in quanto, allorché l’atto di querela è formato in costanza di arresto e, dunque, presentato oralmente alla polizia giudiziaria, non può prescindersi dalla valutazione del contesto di fatto sotteso alla qualificazione dell’atto come querela.
E si tratta di una valutazione che compete al giudice del merito e non certo alla Corte di legittimità.
Alquanto diversa è la fattispecie che ci occupa nella quale, oltre all’intestazione dell’atto predisposto dalla polizia giudiziaria come «ricezione di querela orale» (che potrebbe essere un modulo predisposto dalla stessa polizia giudiziaria), sottoscritto dalla persona offesa e dal contenuto delle dichiarazioni rese non si rinvengono chiari elementi sintomatici della volontà di perseguire il responsabile del reato, nei cui confronti si procedeva a piede libero.
Ma non solo.
Anche la condotta successiva al fatto di reato non è tale da far attribuire a quelle parole il significato di un’inequivoca “volontà punitiva”, in quanto i dati costituiti dalla celerità della presentazione della richiesta di intervento (atto formato il 29/05/2020, rispetto a fatti scoperti il 27/05/2020) e dall’avvenuta consegna di documenti alla polizia giudiziaria, non possono che comprovare altro che la doverosa disponibilità della persona offesa a fornire al più presto agli inquirenti elementi utili per l’accertamento dei fatti e l’individuazione dei responsabili.
E la valutazione che in tal senso hanno compiuto i giudici di merito, assistita da assoluta congruità logica, sfugge al sindacato di legittimità, come correttamente rilevato dalla sentenza 9968: da qui il rigetto del ricorso.
