Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 14214/2023, udienza del 15 dicembre 2022, ha risolto un conflitto tra il giudice della prevenzione e il giudice del lavoro riguardo alla competenza a decidere su una domanda di ammissione di un credito da lavoro presentata nell’ambito di un giudizio di prevenzione patrimoniale.
Le ragioni del conflitto
Con l’ordinanza il Tribunale di Roma, sezione misure di prevenzione, ha sollevato conflitto di competenza dinanzi la Corte di cassazione nei confronti del Tribunale di Roma, sezione lavoro, con riferimento alla domanda di ammissione del credito di lavoro, relativo al periodo dal dicembre 2009 sino all’ottobre 2015 con inquadramento nella qualifica di quadro A (preposto), avanzata da [segue il nome del dipendente] nell’ambito del procedimento di prevenzione instaurato a carico di [segue il nome del destinatario del procedimento].
La domanda era stata già dichiarata improcedibile da parte del Tribunale di Roma, sezione lavoro, con sentenza con la quale si era ritenuto che, nella fattispecie, dovessero applicarsi le disposizioni contenute nel d. lgs. n.159/2011 e, in particolare, quelle che stabiliscono che l’accertamento dei diritti di credito dei terzi nei confronti di una società sottoposta a misura di prevenzione debba necessariamente seguire la particolare procedura davanti al giudice delegato dal Tribunale penale, ai sensi degli art. 52 e ss. d.lgs. n.159/2011; la Corte di appello di Roma, sezione lavoro, aveva respinto l’appello proposto dal dipendente con sentenza.
Il Tribunale di Roma, sezione misure di prevenzione, ritenendosi a sua volta incompetente, ha sollevato conflitto dinanzi la Suprema Corte ai sensi dell’art. 28 cod. proc. pen., ed ha evidenziato che, nel caso di specie, [il dipendente] aveva chiesto di accertare, preventivamente, la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato e, in particolare, la propria qualità di ‘preposto’ mediante l’articolazione di mezzi istruttori. Da ciò consegue che il rapporto di lavoro (contestato in sede civile dalla società datrice di lavoro, oggetto della confisca) è controverso così come anche il diritto di credito vantato dal [dipendente] è incerto e controverso. Pertanto, secondo il Tribunale che ha sollevato il conflitto, il giudice della prevenzione non è competente ad accertare un diritto di credito nascente da un rapporto controverso, del quale si chiede l’accertamento in sede giudiziaria non avendo un potere generalizzato di intervento ed essendo la sua competenza limitata alla verifica della sussistenza dei fatti costitutivi del diritto di credito desumibili dai documenti giustificativi allegati e di eventuali fatti estintivi, nonché alla verifica della strumentalità del credito rispetto all’attività illecita del proposto e, in caso affermativo, alla sussistenza in capo al creditore di un affidamento incolpevole.
La decisione della Corte di cassazione
Anzitutto va dichiarata l’ammissibilità del conflitto in quanto entrambi i giudici hanno espressamente ricusato di procedere all’esame della domanda del [dipendente] e da ciò consegue una stasi del procedimento, che può essere superata solo con la decisione della Cassazione.
Inoltre, deve ricordarsi che il giudice penale al quale vengano trasmessi gli atti dal giudice civile dichiaratosi incompetente, qualora ritenga di essere a sua volta non competente, deve trasmettere gli atti alla Corte di cassazione per la decisione del conflitto, vertendosi in una delle ipotesi di cui all’art. 28, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 1, sentenza n. 31843 del 15/03/2019, Rv. 276822 – 01).
Ciò posto, nella fattispecie la competenza appartiene al Tribunale di Roma, sezione lavoro.
Invero, il presupposto per rivolgersi al giudice della prevenzione è che i crediti già risultino da atti certi che siano antecedenti alla data del sequestro; nel caso in esame, manca tale condizione poiché il credito di lavoro vantato dal [dipendente] non è stato accertato né rispetto alla sua esistenza, né, tanto meno, rispetto al suo ammontare.
Tale accertamento deve necessariamente essere svolto dal giudice del lavoro, in considerazione della sua competenza funzionale al riguardo prevista e disciplinata dagli art. 409 e ss. cod. proc. civ.
Al riguardo va ricordato che il legislatore non configura un generale ‘potere di accertamento’ della esistenza della posizione creditoria (potenzialmente incisa dalla confisca) in capo al Tribunale della prevenzione bensì un più limitato ‘potere di verifica’ (secondo le disposizioni degli articoli 57, 58 e 59 d. lgs. n.159 del 2011) delle condizioni di legge che governano la procedura di ammissione, sulla base di produzione documentale attestante i fatti generatori del credito.
La lettera delle disposizioni di legge impone, pertanto, di ritenere che l’an del credito, così come la sua tendenziale quantificazione, debbano risultare da ‘documenti giustificativi’ che il creditore istante è tenuto a produrre in sede di domanda ai sensi dell’art. 58 comma 2 lett. c, d. lgs. n.159 del 2011. Nel caso di crediti di lavoro è evidente che il documento giustificativo non può che essere una decisione cognitiva di accertamento della sussistenza del dedotto rapporto di lavoro intercorso con la società sequestrata (ovviamente prima del sequestro) e dell’ammontare dei crediti del lavoratore, che appartiene funzionalmente al giudice del lavoro.
In sostanza, quindi, la verifica spettante al giudice della prevenzione non può tener luogo di una procedura cognitiva circa l’an ed il quantum del credito, anche in ragione della struttura semplificata del contraddittorio (di natura cartolare) in sede di ammissione del credito, così come risulta disegnato il procedimento ai sensi dell’art. 59 d. lgs. n.159 del 2011.
Al riguardo va, infatti, ricordato che ai fini dell’accertamento della esistenza di un rapporto di lavoro di natura subordinata, è necessario accertare la sottoposizione del lavoratore al potere gerarchico e disciplinare del datore di lavoro e, ad esempio, se il prestatore di lavoro fosse tenuto a giustificare eventuali assenze o ritardi, quali fossero le mansioni concretamente svolte ai fini del corretto inquadramento nelle categorie previste dal contratto collettivo applicabile; circostanze la cui dimostrazione tra l’altro, mal si concilia, con un procedimento di natura scritta quale è quello dell’accertamento dei crediti in sede di prevenzione.
Pertanto, ai fini dell’ammissione allo stato passivo, il giudice della confisca, in assenza di una disposizione di legge che estenda in modo generalizzato il suo ambito di intervento (come, invece, previsto nella procedura fallimentare dall’art. 44 L. F.), è vincolato agli esiti dell’accertamento definitivo svolto dal competente giudice in sede civile in ordine all’ an ed al quantum del credito, salvo il potere di verifica della sua strumentalità rispetto alla attività illecita e dell’insussistenza delle condizioni di incolpevole affidamento del creditore. (Sez. 1, sentenza n. 4691 del 28/01/2020, Rv. 278189 – 02; Sez. 1, sentenza n. 22222 del 26/01/2022, Rv. 283123 – 01).
Deve poi ricordarsi che, in tema di misure di prevenzione patrimoniale, i terzi sprovvisti di titolo da opporre alla confisca, ex art. 2-ter legge n. 575 del 1965, non possono investire il giudice dell’esecuzione al fine di accertare l’esistenza del loro diritto ed ottenere, in tal modo, la revoca della confisca, poiché la questione attinente alla formazione del titolo deve essere devoluta alla cognizione del giudice civile (fattispecie in cui i terzi si affermavano titolari per intervenuta usucapione dei beni confiscati, Sez. 5, sentenza n. 33888 del 24/04/2018, Rv. 273890 – 01).
A conferma della ritenuta competenza del Tribunale del lavoro nel caso di accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, anche in ipotesi di fallimento del datore di lavoro (ipotesi assimilabile a quella oggetto del presente procedimento), deve poi ricordarsi che la giurisprudenza civile di legittimità ha statuito che, nel riparto di competenza tra il giudice del lavoro e quello del fallimento il discrimine va individuato nelle rispettive speciali prerogative, spettando al primo, quale giudice del rapporto, le controversie riguardanti lo “status” del lavoratore, in riferimento ai diritti di corretta instaurazione, vigenza e cessazione del rapporto, della sua qualificazione e qualità, volte ad ottenere pronunce di mero accertamento oppure costitutive, come quelle di annullamento del licenziamento e di reintegrazione nel posto di lavoro; al fine di garantire la parità tra i creditori, rientrano, viceversa, nella cognizione del giudice del fallimento, le controversie relative all’accertamento ed alla qualificazione dei diritti di credito dipendenti dal rapporto di lavoro in funzione della partecipazione al concorso e con effetti esclusivamente endoconcorsuali, ovvero destinate comunque ad incidere nella procedura concorsuale (Sez. Lavoro, ordinanza n. 7990 del 30/03/2018, Rv. 648263 – 01).
Inoltre, è stato ritenuto che, ove il lavoratore abbia agito in giudizio per l’accertamento della propria qualifica nei confronti del datore di lavoro dichiarato fallito, permane la competenza funzionale del giudice del lavoro, in quanto la domanda proposta non è configurabile solo come mero strumento di diritti patrimoniali da far valere sul patrimonio del fallito, ma si fonda anche sull’interesse del lavoratore a tutelare la sua posizione all’interno della impresa fallita, sia per l’eventualità della ripresa dell’attività lavorativa (conseguente all’esercizio provvisorio ovvero alla cessione dell’azienda, o a un concordato fallimentare), sia per tutelare i connessi diritti non patrimoniali, ed i diritti previdenziali, estranei all’esigenza della “par condicio creditorum” (Sez. Lavoro, sentenza n. 23418 del 06/10/2017, Rv. 645807 – 01).
Alla luce delle complessive considerazioni che precedono, non può essere condivisa la decisione, peraltro isolata, con la quale altra sezione della Cassazione ha affermato doversi devolvere al giudice delegato dal Tribunale della prevenzione, in ragione dell’autonomia dell’accertamento endoprevenzionale, la verifica dei crediti e dei diritti dei terzi, ancorché controversi nell’ an, ai sensi degli artt. 52 e ss. d. lgs. n. 159/2011 (Sez. 2, n. 24311 dell’1/4/2022, Rv. 283626),
In conclusione, il conflitto deve essere risolto nel senso che la competenza appartiene al Tribunale di Roma, sezione lavoro cui vanno conseguentemente trasmessi gli atti.
