La cassazione sezione 4 con la sentenza numero 45153 depositata il 9 novembre 2023 ha ritenuto che manifestare approvazione morale rispetto alla scelta di radicalizzazione dell’amico con l’apposizione di “like” sulle immagini fotografiche che lo ritraevano impegnato come miliziano in Siria rafforzò negli inquirenti il convincimento di un suo collegamento con soggetti militarmente impegnati a favore del cosiddetto Stato islamico e della sua intraneità nella rete associativa transnazionale oggetto di contestazione (articolo 270-bis c.p. associazione con finalità di terrorismo anche internazionale).
Fatto
La Corte d’appello di Torino ha rigettato l’istanza di riparazione proposta da T.B. per la dedotta ingiusta detenzione patita dal 4/6/2018 al 12/6/2019 nell’ambito di un procedimento nel quale era chiamato a rispondere del delitto di cui all’art. 270-bis cod. pen.
Da tali accuse il richiedente era assolto con sentenza irrevocabile della Corte di assise di Torino del 12/7/2019.
Il giudice della riparazione ha individuato comportamenti ostativi al riconoscimento dell’indennizzo, ponendo in evidenza il contenuto di taluni messaggi intercettati con soggetti inseriti in contesti terroristici, acclaratamente radicalizzati.
Ha proposto ricorso per cassazione il richiedente, a mezzo di difensore, deducendo quanto segue: contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento all’art. 314 cod. proc. pen. in relazione alla colpa grave.
La difesa rappresenta che la misura cautelare che aveva interessato il proprio assistito fu applicata dal Tribunale su appello del P.M., in seguito a rigetto intervenuto da parte del Giudice per le indagini preliminari, che aveva ritenuto carente la gravità indiziaria.
Tale circostanza avrebbe dovuto ingenerare il dubbio circa la effettiva ricorrenza del requisito della colpa grave in capo al ricorrente, stante la concordanza di ben due provvedimenti – l’ordinanza di rigetto di applicazione della misura e la sentenza assolutoria adottata con formula piena – che avevano ritenuto estraneo l’imputato a qualunque forma di coinvolgimento nei fatti, sia in termini indiziari che di colpevolezza.
Illogici risulterebbero i passaggi motivazionali nei quali il giudice della riparazione fa riferimento alla volontaria realizzazione di una condotta idonea a generare il fumus di un attentato, ostativa al riconoscimento dell’indennizzo.
Il provvedimento impugnato non si confronta con l’esito finale del processo e con la valutazione espressa dal G.i.p. nell’originario provvedimento di rigetto, suscettibile di rivelare l’errore in cui era incorso il Tribunale del riesame nel disporre l’applicazione della misura a carico dell’imputato.
Tale errore risulta evidente dalla lettura della motivazione della pronuncia assolutoria in cui si rimarca l’assoluta estraneità del ricorrente a qualsivoglia struttura associativa terroristica ed a qualunque ideologia integralista.
Decisione
L’art. 314 cod. pen., com’è noto, prevede, al primo comma, che «chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave».
In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, costituisce causa impeditiva all’affermazione del diritto alla riparazione l’avere l’interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all’instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare (art. 314, comma 1, ultima parte, cod. proc. pen.).
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato che è dolosa – e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod. proc. pen. – non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto è rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’id quod plerumque accidit secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo (Sez. Unite n. 43 del 13/12/1995 dep. il1996, Sarnataro ed altri, Rv. 203637).
La nozione di colpa, ricavabile invece dall’art. 43 cod. pen., impone, nel giudizio riparatorio, di ritenere colposa quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso (Sez. 4, n. 43302 del 23/10/2008, Rv. 242034).
Ancora le Sezioni Unite hanno affermato che il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al ‘ momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (Sez. Unite, n. 32383 del 27/5/2010, D’Ambrosio, Rv. 247664).
Quanto ai rapporti con il giudizio di cognizione, si è precisato che il giudice della riparazione, ai fini dell’accertamento della sussistenza della colpa grave (o del dolo) dell’interessato, pur dovendo operare eventualmente sullo stesso materiale probatorio acquisito dal giudice della cognizione, “deve seguire un iter logico-motivazionale del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se esse si sono poste come fattore condizionante, anche nel concorso dell’altrui errore, alla produzione dell’evento ” (cfr. Sez. U, Sentenza n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 257606 – 01).
Il giudizio d’idoneità delle condotte a indurre in errore il giudice deve essere valutato “ex ante” (Sez. 4, n. 1705 del 10.3.2000, dep. il 12.4.2000, Rv. 216479).
Da quanto precede discende che è consentita al giudice della riparazione la rivalutazione dei fatti non nella loro valenza indiziaria o probante, ma in quanto idonei a determinare, in ragione di comportamenti connotati da macroscopica negligenza od imprudenza, l’adozione della misura, con l’unico limite rappresentato dal fatto che il giudice della riparazione non può ritenere accertati fatti esclusi in sede di cognizione od escludere circostanze riconosciute in tale sede.
Infatti il giudizio per la riparazione dell’ingiusta detenzione è del tutto autonomo rispetto al giudizio penale di cognizione, impegnando piani di indagine diversi, che possono condurre a conclusioni differenti sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti (cfr. Sez. 4, n. 12228 del 10.1.2017, Rv. 270039).
Tutto ciò premesso in linea generale e teorica, nel provvedimento impugnato è stato congruamente e logicamente posto in evidenza come vi siano, nella condotta serbata dal ricorrente, elementi di colpa grave ostativi al riconoscimento della riparazione.
Diversamente da quanto si ritiene in ricorso, va rilevato che se è vero che il giudice della riparazione non possa ritenere l’esistenza di fatti esclusi dal giudice del processo, ben può rivalutare, non ai fini dell’accertamento della penale responsabilità, ma ai fini dell’accertamento del diritto alla riparazione, ogni circostanza utile per le valutazioni da compiersi in materia, prendendo in considerazione ogni tipo di comportamento, anche penalmente irrilevante, accertato e non escluso dai giudici del merito.
Il giudice della riparazione ha evidenziato come il contegno del prevenuto fosse stato gravemente imprudente.
Il T., infatti, dopo aver intrattenuto costanti rapporti telefonici con Z.K. e L.W. prima della loro trasferta in Siria, mantenne saldi i rapporti con L. anche dopo la radicalizzazione dello stesso e la sua adesione al fronte islamico cosiddetto “Daesh”, manifestando approvazione morale rispetto alla scelta di radicalizzazione dell’amico con l’apposizione di “like” sulle immagini fotografiche che lo ritraevano impegnato come miliziano in Siria.
In tal modo, si legge nel provvedimento, il richiedente rafforzò negli inquirenti il convincimento di un suo collegamento con soggetti militarmente impegnati a favore del cosiddetto Stato islamico e della sua intraneità nella rete associativa transnazionale oggetto di contestazione.
La Corte territoriale ha indicato in motivazione anche ulteriori evidenze, valorizzando, nel contesto in cui si inserisce la vicenda, il fatto che T. avesse apposto il segno like ad una immagine pubblicata da C.B. sul profilo facebook, raffigurante un uomo armato, accompagnata da parole di esaltazione al martirio.
Da tali elementi il giudice della riparazione ha logicamente desunto che i comportamenti serbati avessero indotto in errore l’Autorità giudiziaria procedente circa la sua appartenenza alla ipotizzata associazione terroristica internazionale, determinando una ragione di intervento a tutela della collettività.
La valutazione espressa è immune da vizi logici ed è conforme ai principi stabiliti in materia in sede di legittimità.
Le ambigue frequentazioni, tanto più se accompagnate, come nel presente caso, dagli ulteriori comportamenti illustrati in motivazione, con i quali il richiedente dimostrava gradimento per lè scelte effettuate da persone coinvolte nell’organizzazione terroristica e radicalizzate, possono essere causa del diniego dell’indennizzo (ex multis Sez. 3, n. 363 del 30/11/2007, Rv. 238782 – 01: “In tema di riparazione per ingiusta detenzione, le frequentazioni ambigue, ossia quelle che si prestano oggettivamente ad essere interpretate come indizi di complicità, quando non sono giustificate da rapporto di parentela, e sono poste in essere con la consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti, possono dare luogo ad un comportamento gravemente colposo idoneo ad escludere la riparazione stessa“).
Il profilo della incidenza causale della condotta serbata dal ricorrente sull’evento detenzione è affrontato in motivazione nella parte in cui si evidenzia come i comportamenti del richiedente avessero ingenerato nell’Autorità la ragionevole convinzione del suo inserimento nell’ipotizzata associazione terroristica.
Non inficia la ricostruzione operata nella ordinanza la circostanza dell’originario rigetto della richiesta di applicazione della misura cautelare da parte del G.i.p.
Il confronto a cui è tenuto il giudice della riparazione è quello con il contenuto della pronuncia assolutoria, restando del tutto ininfluenti le ragioni che indussero il G.i.p. a rigettare la richiesta della misura restrittiva, evidentemente superate dalle ragioni del Tribunale del riesame.
