Contestazioni a catena e nozione dell'”anteriore desumibilità” (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 16343/2023, udienza del 29 marzo 2023, premette che il principio espresso nell’ordinanza genetica, confermato dal Tribunale del riesame, è il seguente: quando nei confronti di un imputato siano emesse, in procedimenti diversi, più ordinanze di custodia cautelare per fatti diversi in relazione ai quali esiste una connessione qualificata, la retrodatazione prevista dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. opera per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza, con la precisazione che per «desumibilità dagli atti» si intende la sussistenza di una situazione di gravità indiziaria idonea a giustificare l’adozione di una misura cautelare.

In altre parole, la nozione di anteriore desumibilità, dagli atti inerenti alla prima ordinanza cautelare, delle fonti indiziarie poste a fondamento dell’ordinanza cautelare successiva non va confusa con quella di semplice conoscenza o conoscibilità di determinate evenienze fattuali ma esige una condizione di conoscenza che abbia una «specifica significanza processuale».

Innanzitutto, con il primo motivo di ricorso la difesa propone una lettura dell’ordinanza, asseritamente contraria alla previsione normativa, non condivisibile, posto che, sebbene sia corretto che si faccia riferimento ai dati a disposizione del giudice al quale è richiesta la seconda ordinanza cautelare, è necessario che tale giudice esamini gli atti che erano a disposizione dell’autorità giudiziaria allorché è stato disposto il rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata adottata la prima misura cautelare. Non risulta che il provvedimento sia viziato, per tale profilo, da errori metodologici, posto che è semplicemente diversa la prospettiva dalla quale si debbano esaminare le emergenze investigative a seconda che si tratti di un unico o di più procedimenti pendenti per reati connessi.

Si sottolinea, inoltre, che, nel caso in esame, il giudice della cautela ha specificamente vagliato il tema delle c.d. contestazioni a catena, pervenendo a escludere la possibilità di applicare la misura cautelare in relazione ai capi 9), 10) e 13) in ragione dell’operatività della regola prevista dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen.

I reati in relazione ai quali è stata applicata la c.d. retrodatazione dei termini di custodia cautelare concernono, esattamente, alcuni delitti di acquisto e importazione, detenzione e cessione di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti.

I giudici del merito cautelare hanno, dunque, in sostanza, dettagliatamente circoscritto le condotte delittuose e i soggetti coinvolti nel narcotraffico quali erano desumibili alla data del 30 luglio 2020. Tale rilevante profilo della decisione, messo in luce nell’ordinanza del Tribunale del riesame, risulta del tutto trascurato nel ricorso, che deve ritenersi non sufficientemente specifico, dunque inammissibile, nella parte in cui elenca una serie di elementi indiziari a sostegno dell’anteriore desumibilità senza prendere in considerazione il rilevante dato che una pluralità di condotte criminose contestate al ricorrente, in concorso con soggetti successivamente individuati come sodali, siano state effettivamente valutate come anteriormente desumibili.

Tale punto della decisione risulta decisivo nella struttura logica dell’intero provvedimento, perché mostra come i giudici del merito cautelare abbiano applicato il principio della retrodatazione tenendo puntualmente conto di quanto fosse emerso dalle indagini sino al momento in cui il ricorrente era stato rinviato a giudizio il 30 luglio 2020.

Si viene, quindi, ad esaminare il motivo di censura nella parte in cui la difesa ha negato che il concetto di «anteriore desumibilità» sia sinonimo di «specifica significanza processuale», intesa come acquisizione di esiti investigativi tale da consentire la formulazione di una gravità indiziaria idonea a ottenere l’applicazione di una misura cautelare.

Le ragioni per le quali il Tribunale ha ritenuto infondata la prospettazione difensiva sono state ampiamente esplicitate nell’ordinanza impugnata.

Va sottolineato, in particolare, che il Tribunale del riesame ha ritenuto che, sebbene le indagini per l’individuazione del sodalizio avessero tratto origine da una segnalazione pervenuta sin dal 10 ottobre 2019 alla Guardia di Finanza dalla Direzione Centrale per i Servizi Antidroga, concernente una richiesta dell’autorità giudiziaria spagnola di localizzazione e fermo di un carico di 500 chili di hashish giunto a [località omessa], fosse tuttavia da escludere che i fatti posti a fondamento della seconda ordinanza fossero desumibili dagli atti prima del 30 luglio 2020, data in cui il ricorrente è stato rinviato a giudizio nel procedimento interessato dalla prima ordinanza cautelare; il Tribunale ha, in proposito, ritenuto che la contestazione del reato di cui all’art. 74 T.U. Stup. fosse frutto, non solo degli atti investigativi posti in essere antecedentemente al 30 luglio 2020, ma anche dell’acquisizione tra l’autunno 2020 e il gennaio 2021 (con O.I.E. trasmesso il 5 agosto 2020 e con O.I.E. trasmesso il 27 ottobre 2020) del contenuto delle chat intercorse tra gli indagati con apparecchi elettronici dotati di software per la criptazione delle comunicazioni c.d. Encrochat.

Per una migliore comprensione di tale passaggio motivazionale è bene chiarire che le indagini che hanno origine o ricevono importanti spunti e riscontri investigativi dalla trasmissione dei dati informatici acquisiti dai sistemi di chat criptate, tra i quali rientra il sistema Encrochat, sono complesse in quanto provengono dall’attività investigativa oggetto delle Squadre Investigative Comuni (JITs) costituite tra il 2020 ed il 2021 tra le competenti Autorità Giudiziarie e di Polizia di Francia (Procure di Lille e Parigi), del Belgio e dei Paesi Bassi. Le operazioni tecniche compiute in questi Stati membri con riferimento a tale piattaforma permettono di estrapolare una grande mole di dati, riferibili anche ad organizzazioni criminali operanti in vari Paesi del mondo, consentendo di fornire la chiave di lettura di condotte criminali altrimenti non decifrabili dall’esterno.

La piattaforma Encrochat consente lo scambio di comunicazioni tramite cc.dd. cryptophones, altrimenti chiamati criptofonini o dispositivi di comunicazione crittografati dedicati.

I criptofonini sono privi di funzioni audio e GPS; pertanto, non consentono operazioni di intercettazione e attivazione di servizi di localizzazione.

L’utente può interagire, scambiando messaggi vocali o di testi, o allegando files multimediali, soltanto con un altro utente che a sua volta abbia la disponibilità di un analogo telefono criptato, cioè di un dispositivo con applicata una identica piattaforma di criptazione.

I termini di vendita dei criptofonini hanno evidenziato la loro naturale vocazione a essere utilizzati per scopi illegali; nella maggior parte dei casi sono, infatti, commercializzati da strutture legate alla criminalità organizzata e non sono disponibili per l’acquisto tramite fornitori commerciali standard e punti vendita al dettaglio.

I cryptophones si affidano al software MDM (Mobile Device Management) personalizzato. Questo software consente agli amministratori responsabili della piattaforma di eseguire il provisioning, la configurazione e la gestione sicura di tutti i dispositivi.

Il particolare interesse da parte della criminalità all’utilizzo di questi sistemi di comunicazione è strettamente connesso alle loro specifiche funzionalità, che si possono riassumere non solo nella cifratura dei dati trasmessi e di quelli memorizzati, ma anche nella possibilità per l’utilizzatore di cancellare, quasi in tempo reale e anche da remoto, l’intera memoria del telefono inserendo/non inserendo un cd. panic code, o nella possibilità di segnalare la presenza di sistemi di individuazione (cd. Imsi Catcher) o di tentativi di aggressione informatica da parte di agenti esterni.

La complessità dell’attività d’indagine legata all’uso dei criptofonini è, dunque, resa evidente dal fatto che, per decriptare il contenuto delle relative comunicazioni, è necessario ricorrere alla collaborazione dell’Autorità Giudiziaria dello Stato membro i cui sono collocati i server mediante un Ordine Europeo d’Indagine. Tale Autorità deve fornire, infatti, le relative autorizzazioni all’accesso ai dati digitali in conformità alla legislazione interna, successivamente trasmettendo copia dei messaggi estratti dalle stringhe riferibili ai PIN di interesse scambiati sulla piattaforma, in modo da rendere certo e intellegibile all’autorità procedente in Italia, in linea con il principio di mutual trust che informa la cooperazione tra le autorità giudiziarie degli Stati membri dell’Unione, il contenuto delle chat.

Nel caso in esame, il Tribunale ha ritenuto, in particolare, che l’acquisizione del contenuto delle suddette chat avesse dato un’importante svolta alle indagini permettendo, unitamente alle altre emergenze sino a quel momento raccolte, di comporre il mosaico in modo da formulare fondatamente in termini di gravità indiziaria una contestazione associativa corredata della ricostruzione della struttura, dei ruoli degli appartenenti, dei mezzi a disposizione e del modus operandi del sodalizio. L’informativa conclusiva della Guardia di Finanza del 17 febbraio 2021 aveva, in sostanza, incrociato gli elementi risultanti dalle attività di captazione ambientale e telefonica, dal monitoraggio con GPS dei mezzi degli indagati e dagli arresti dei sequestri con il contenuto delle chat, dando un ordine a elementi che fino a quel momento non avevano permesso di enucleare un’incolpazione in modo fondato. Solo con l’informativa conclusiva, si legge nell’ordinanza, tutti gli elementi investigativi raccolti e incrociati tra loro hanno reso concretamente e utilmente possibile una fondata contestazione cautelare, a prescindere dalla formale iscrizione per il reato di cui all’art. 74 T.U. Stup. a carico del ricorrente del 3 marzo 2020. La specifica disamina di tale ultimo elemento e argomento difensivo, corroborata dal rilievo per cui i dati decriptati fossero stati trasmessi con O.I.E. del 5 agosto 2020 e del 27 ottobre 2020, è rinvenibile nell’ordinanza impugnata, onde l’allegazione difensiva circa la totale pretermissione di esso risulta manifestamente infondata.

Risulta, come detto, che l’impugnazione non si confronta con quanto specificamente indicato dal Tribunale del riesame, che ha sottolineato la necessità di conoscere il contenuto delle migliaia di comunicazioni intercorse tra gli indagati al fine di delinearne i ruoli, il modo di interagire e l’operatività, specificando, a titolo esemplificativo, che sugli account incrociati gli indagati tenevano anche una sorta di contabilità relativa alle cessioni degli stupefacenti e ai rapporti di debito-credito, cosicché solo grazie alle chat era stato possibile disegnare nella sua interezza l’adozione del sistema «hawala» da parte del sodalizio per i trasferimenti di denaro e ricostruire molti degli episodi di traffico delle sostanze stupefacenti.

Per un ulteriore chiarimento, il Tribunale ha sottolineato come il sequestro del dispositivo BQ Aquaris in possesso al capo del sodalizio e l’iscrizione del reato associativo nel 2019 avessero trovato il necessario completamento solo nell’ottobre 2020, quando erano state trasmesse con rogatoria le comunicazioni presenti sulle chat ed era stato possibile abbinare i nickname presenti sulle chat ai soggetti emersi nel corso delle indagini, delineandone il ruolo e le reciproche interazioni, di fatto «chiudendo il cerchio» in relazione all’identificazione del ruolo di [cognome omesso] come soggetto posto al vertice del sodalizio, sedente in Spagna, che acquistava la droga da [cognome omesso] occupandosi anche dell’organizzazione della sua importazione in Italia e, con specifico riguardo al ricorrente, consentendo di «tirare le fila» dell’organizzazione logistica dello stupefacente documentando le continue indicazioni direttive date da [cognomi omessi] con riguardo ai luoghi ove scaricare la droga ed effettuare le consegne.

Nessun confronto è rinvenibile nel ricorso con quanto indicato dal Tribunale a proposito del fatto che, sebbene la figura del ricorrente fosse emersa per la prima volta il 20 dicembre 2019, in occasione del pestaggio di [cognome omesso], che aveva sottratto una consistente somma di denaro a [cognome omesso], solo con l’informativa conclusiva, fondata sull’esito degli O.I.E. trasmessi nell’agosto e nell’ottobre 2020, ne fosse stato possibile ricostruire il ruolo, la continua interazione sia con [cognome omesso] che con [cognome omesso], i compiti assegnatigli in merito alla logistica spicciola legata all’arrivo dei carichi, l’affectio societatis correlata alle modalità operative e al modo di rapportarsi con i suoi referenti, la piena e solida conoscenza del sistema hawala usato dal sodalizio per il trasferimento del denaro. Dalle chat era, in particolare, emerso che il ricorrente si recasse reiteratamente da un soggetto cinese in via [nome della via e città omessi] per consegnare il denaro da mandare in Spagna. Nel caso del ricorrente le encrochat sono talmente numerose, si legge nell’ordinanza, chiare nel loro linguaggio e particolareggiate da descrivere quasi come in un film l’azione del ricorrente, tanto da offrire un materiale estremamente significativo per disegnarne il ruolo e l’inserimento nel sodalizio.

L’ordinanza risulta, dunque pienamente legittima e compiutamente argomentata, nonché in linea con il principio interpretativo, che il collegio condivide e ribadisce, secondo il quale l’«anteriore desumibilità» è nozione da intendersi nel senso che, al momento del rinvio a giudizio nel primo procedimento, l’autorità giudiziaria debba essere in grado di desumere, non solo di conoscere, la specifica significanza processuale, intesa come idoneità a fondare una richiesta di misura cautelare, degli elementi relativi al reato sul quale si fonda l’adozione del successivo provvedimento cautelare per reato connesso, atteso che spesso il compendio indiziario non manifesta immediatamente la propria portata dimostrativa (Sez. 3, n.48034 del 25/10/2019, Rv. 277351 – 02; Sez. 3, n. 46158 del 04/02/2015, Rv. 265437 – 01).

La retrodatazione costituisce un rimedio rispetto a una scelta indebita dell’autorità giudiziaria che, in ipotesi, abbia tenuto separati i due procedimenti ovvero abbia iscritto in tempi diversi alcune notizie di reato. Occorre, pertanto, verificare se, effettivamente, il doppio binario impartito con la separazione o con la distinta iscrizione delle notizie di reato dall’autorità inquirente ai procedimenti connessi trovi giustificazione nella necessità di ulteriori indagini o di elaborazione di elementi probatori che, nel momento in cui è stato richiesto il rinvio a giudizio in ordine al primo procedimento, non apparivano in tutta la loro portata indiziaria. Ipotesi compiutamente rappresentata nel caso in esame.