Stato di necessità derivante dalle minacce di morte di Cosa Nostra e possibilità di rivolgersi all’autorità per sottrarsi dalla costrizione di violare la legge (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 4 con la sentenza numero 45139 depositata il 9 novembre ha ribadito che non è configurabile la causa di giustificazione dello stato di necessità quando l’agente può sottrarsi dalla costrizione a violare la legge mediante ricorso all’autorità, cui va chiesta tutela.

In applicazione del principio Sez. 4, n. 15167 del 09/01/2015, Rv. 263135, ha escluso la configurabilità dello stato di necessità pur provenendo la costrizione a violare la legge da un ispettore di polizia giudiziaria, potendo in tal caso l’imputato rivolgersi ad altre istituzioni pubbliche aventi compiti di tutela del cittadino. Sez. 5, n. 4903 del 23/04/1997, Rv. 208134, ha invece annullato la sentenza del giudice di merito che aveva riconosciuto lo stato di necessità nel comportamento di un soggetto che aveva continuativamente prestato la propria opera per la riscossione del «pizzo» nell’interesse di una associazione di stampo mafioso, ritenendo che lo stesso vi fosse stato costretto per le minacce ricevute e lo aveva perciò prosciolto dal reato di partecipazione all’associazione (si veda altresì Sez. 1, n. 47712 del 29/09/2022, Rv. 283785, per cui l’alternativa di rivolgersi all’autorità deve prospettarsi al soggetto minacciato come una soluzione realmente praticabile nella situazione concreta e altrettanto efficace, nella situazione data, a neutralizzare il pericolo attuale – imminente o perdurante – in cui egli o il terzo destinatario della minaccia si trovano).

Orbene, nel caso esaminato la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio di cui innanzi avendo ritenuto accertato il pericolo derivante dalla minaccia di morte promanante da appartenenti a «cosa nostra», nei termini di cui all’art. 54 cod. pen. e come prospettatole dallo stesso imputato, ancorché ritenuto insussistente la c.d. «inevitabilità altrimenti», quale ulteriore indefettibile presupposto per l’operatività della causa di giustificazione in oggetto.

In termini coerenti e non manifestamente illogici, quindi non sindacabili in sede di legittimità, il giudice di merito ha escluso il detto presupposto in ragione dalla possibilità dell’imputato di rivolgersi all’autorità con efficacia, rispetto a un progetto omicidiario che si sarebbe dovuto concretizzare il giorno seguente; come peraltro concretamente avvenuto, ma solo dopo la violazione delle prescrizioni di cui alla sorveglianza speciale, mediante la decisione di A.P. di aderire al programma di protezione per i cd. «collaboratori di giustizia» (nel senso per cui rileva, al fine di escludere lo stato di necessità, l’evitabilità del pericolo utilizzando misure che l’ordinamento giuridico appresta a protezione dei «collaboratori di giustizia o dei testi a rischio rappresaglia», si veda Sez. 3, n. 18896 del 10/03/2011, Rv. 250283).

A quanto innanzi deve altresì aggiungersi, come ritenuto dal giudice di primo grado, l’assenza di un altro elemento della fattispecie integrante lo stato di necessità: la non volontaria causazione del pericolo (in merito si vedano ex plurimis: Sez. 2, n. 19714 del 14/04/2015, Rv. 263533, la quale, in applicazione del principio, ha ritenuto esente da censura l’esclusione della causa di giustificazione nei confronti dell’imputato che sosteneva di essere stato costretto a porre in essere la condotta ascrittagli per il timore che il concorrente nel reato, del quale era anch’egli vittima di usura, ponesse all’incasso alcuni assegni, che in precedenza aveva ricevuto a garanzia del debito; Sez. 5, n. 16012 del 23/03/2005, Rv. 232143, con riferimento alla derivazione della situazione di pericolo dalla scelta di compiere un furto e sia pertanto ricollegala alla stessa condotta illecita dell’agente che abbia provocato la reazione; Sez. 3, n. 18896 del 2011, cit.; Sez. 2, n. 5291 del 01/12/1994, dep. 1995, Rv. 200566; Sez. 1, n. 19005 del 03/12/1965, Rv. 100618).

Sulla base di quanto emerge in termini fattuali dalle sentenze di merito, circostanze che lo stesso ricorrente pone a supporto della censura in esame, nella specie il pericolo deve ritenersi volontariamente causato dall’imputato in quanto sorto dalla commissione del furto e dalla preventiva autorizzazione ottenuta da cosa nostra, cui i correi avrebbero dovuto versare una somma in percentuale rispetto al provento illecito. Eseguito il reato, infatti, a seguito della comunicazione al sodalizio di un provento inferiore al reale, finalizzata ad abbattere l’importo da versare all’associazione, nasce un alterco tra l’imputato e taluni associati con le conseguenti minacce di morte rivolte dai secondi al primo, da attuarsi il giorno seguente, determinanti la fuga di A.P. in Germania, con conseguente violazione delle prescrizioni impartitegli con la sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno.