La Cassazione sezione 2 con la sentenza numero 45075 depositata il 9 novembre 2023 ha stabilito che l’imputato detenuto in regime di arresti domiciliari non ha diritto di partecipare all’udienza mediante videoconferenza e che può soltanto chiedere di essere tradotto nell’aula di udienza o di chiedere al magistrato di sorveglianza di partecipare all’udienza in caso di detenzione domiciliare.
Fatto
La difesa eccepiva la violazione di legge per la mancata celebrazione dell’udienza di primo grado mediante videoconferenza, che avrebbe consentito di procedere all’esame dell’imputato.
Rileva che la comunità terapeutica presso la quale si trovava L. aveva dato la disponibilità a consentire la partecipazione dell’imputato all’udienza mediante videoconferenza o ad accompagnarlo presso la più vicina Stazione Carabinieri per espletare tale incombenza.
Decisione
La Suprema Corte rileva che l’art. 23 comma 4 della legge 176/2020 prevede che “La partecipazione a qualsiasi udienza delle persone detenute, internate, in stato di custodia cautelare, fermate o arrestate, è assicurata, ove possibile, mediante videoconferenze”.
Come correttamente evidenziato dalla Corte di appello nella sentenza impugnata, per persone detenute o internate si devono intendere solo quelle ristrette presso un istituto di pena, come si evince sia dalle norme sull’ordinamento penitenziario (legge 354/75), sia perché l’imputato che si trovi in regime di arresti domiciliari ha la facoltà (che ovviamente non ha chi si trovi detenuto in carcere, che può soltanto chiedere di essere tradotto nell’aula di udienza) di chiedere al magistrato di sorveglianza di partecipare all’udienza.
Del resto, mentre negli istituti di pena è possibile un collegamento “sicuro” per le videoconferenze, essendo gli stessi muniti delle apposite apparecchiature per garantire il funzionamento della videoconferenza (in quanto espressamente prevista dall’art. 146-bis disp. att. cod. proc. pen.), non altrettanto si può dire né per le abitazioni o comunità private, né per le Stazioni dei Carabinieri.
Si noti, inoltre, che il terzo comma dell’art. 146-bis dispone che quando è disposta la partecipazione a distanza, è attivato un collegamento audiovisivo tra l’aula di udienza e il luogo della custodia, termine, quest’ultimo, che richiama quindi anche letteralmente la detenzione in carcere, e non quella domiciliare.
Pertanto il ricorrente che, avvisato fin dall’ordinanza del 15 settembre 2021 che la sua istanza di partecipare in videoconferenza era stata rigettata e che, se avesse voluto partecipare all’udienza, avrebbe dovuto chiedere l’autorizzazione al magistrato di sorveglianza, non può dolersi di una nullità alla quale egli stesso ha dato luogo, non richiedendo la predetta autorizzazione.
