Cassazione civile, Sez. 1^, ordinanza n. 19808/2023, 12 luglio 2023, pronunciata in una controversia avente ad oggetto la separazione personale di due coniugi con addebito a carico del marito per violazione dell’obbligo di fedeltà da cui era derivato anche un procedimento penale a carico di costui per maltrattamenti in famiglia, afferma l’autonomia del giudizio civile da quello penale, essendo legittimo che il giudice civile apprezzi i fatti in modo diverso da come ha fatto quello penale.
Vicenda giudiziaria e ricorso per cassazione
L’avvocato C.M. impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello che ha respinto il gravame dal medesimo spiegato nei confronti della sentenza del Tribunale che aveva dichiarato, nel giudizio reciprocamente promosso nel 2016 dai coniugi C. e C., la separazione personale con addebito a carico del marito per violazione dell’obbligo di fedeltà e assegnazione della casa coniugale alla moglie C.S.
Il Tribunale lo aveva anche condannato a provvedere al versamento a favore della moglie della somma mensile di Euro 1.000,00, a titolo di mantenimento, e della somma di pari importo a titolo di contributo al mantenimento della figlia C., mentre aveva revocato l’obbligo a carico del padre di corrispondere alla moglie l’assegno di mantenimento in favore della figlia maggiorenne ed economicamente autosufficiente B., con decorrenza dal mese di dicembre 2019, confermando al contempo il sequestro conservativo dei beni immobili e mobili e dei crediti di proprietà o di spettanza del medesimo C. nonché delle quote sociali allo stesso intestate, sino alla concorrenza della complessiva somma di Euro 40.000.
A seguito di appello principale proposto dal C. e di appello incidentale della C., la Corte d’appello aveva confermato la pronuncia impugnata.
Per quanto ancora rileva, la Corte d’appello ha respinto le doglianze mosse alla sentenza di primo grado dall’appellante principale. La Corte ha, in primo luogo, confermato la fondatezza della statuizione di accoglimento della domanda di addebito della separazione a carico del C. per essere stata provata la prolungata e ripetuta violazione dell’obbligo di fedeltà e la rilevanza causale della stessa nella rottura dell’unione matrimoniale, nonostante le plurime riconciliazioni, l’ultima delle quali risalente al 2014.
Inoltre, la Corte territoriale rilevava anche la violazione dell’obbligo di prestare i mezzi di sostentamento a favore della moglie e della figlia e posto in essere dal C. nell’aprile 2016 allorché aveva lasciato la casa familiare mettendo a disposizione della famiglia la somma, di Euro 1.200,00 mensili, inferiore rispetto a quella dovuta di Euro 3.000,00 (e successivamente stabilita in sede presidenziale) e comunicando solo nell’agosto 2016 la sua nuova residenza.
Parimenti infondata era ritenuta dalla Corte di merito la richiesta di revoca del sequestro conservativo, in considerazione dell’ingente debito maturato per non aver versato il mantenimento di B.
Da ultimo, la Corte territoriale ha ritenuto infondata l’impugnazione della statuizione di prime cure sulla prevalente soccombenza del C. ai fini delle spese di lite.
La cassazione della sentenza d’appello è chiesta dal C. con ricorso notificato il 19 ottobre 2021 ed affidato a dieci motivi, cui resiste con controricorso C.S.
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
Decisione della Corte di cassazione
Si premette che saranno riportati soltanto i passaggi della motivazione di interesse penalistico.
Con il primo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 115 c.p.c. e in relazione all’art. 654 c.p.p.
Lamenta il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe errato nel confermare l’addebito della separazione a carico del marito, rinvenendo nella sua condotta, di una presunta infedeltà, gli indici lesivi della dignità della moglie, non motivando in ordine al disaccordo rispetto alle conclusioni di segno opposto formulate dalla sentenza penale del Tribunale che ha ritenuto insussistente il reato di maltrattamenti ai sensi dell’art. 572 c.p., compiendo in tal modo un errore ricadente su una circostanza oggetto di discussione nell’appello civile.
La censura è infondata.
In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (cfr. sez. un. 20867/2020).
Costituisce, inoltre, principio costantemente affermato dalla Cassazione che la valutazione del giudice penale, il quale – all’esito dell’indagine diretta ad accertare l’elemento psicologico del reato di maltrattamenti – escluda l’illecito, per avere la pretesa vittima tenuto comportamenti reattivi analoghi a quelli dell’imputato, configura non già l’accertamento di fatti storici ma una valutazione dei fatti accertati, e quindi non preclude al giudice civile, che sugli stessi fatti sia chiamato a pronunciarsi in sede di separazione personale tra coniugi, di apprezzarli diversamente ai fini dell’addebito attribuendo ad essi autonoma rilevanza causale (cfr. Cass. 4911/1987).
Tale ultimo criterio ermeneutico risulta essere stato seguito dalla Corte territoriale nel caso in esame in cui, come si evince dai richiami alla sentenza penale svolti dal ricorrente, l’assoluzione del C. non è fondata sulla mancata prova vuoi delle relazioni extraconiugali del C. vuoi della mancata prestazione del mantenimento, in epoca successiva all’aprile 2016, bensì sull’esclusione dell’idoneità della condotta del medesimo ad umiliare e a screditare la C.
Emerge, quindi, dal ricorso che è in tale contesto che vanno inserite e intese le valutazioni di inattendibilità delle testimonianze rese dalla figlia B. e da M.A., espresse dal giudice penale.
Sempre da quanto dedotto nel ricorso, risulta che il detto giudice, non ha affermato l’insussistenza delle relazioni extramatrimoniali, ma ha escluso che dalle dichiarazioni testimoniale suddette risultasse provata la capacità offensiva delle stesse. In altri termini, il giudice penale aveva ritenuto che quanto dichiarato dalla figlia B. e dal teste M., circa l’atteggiamento di ostentazione e di mancanza di riserbo del C. nel vivere quelle relazioni, non potesse costituire prova della condotta di maltrattamenti in ragione della inattendibilità dei testi. La prima era coinvolta nella vicenda separativa dei genitori ed era “schierata”, anche per ragioni economiche, con la madre.
Il secondo aveva avuto dissidi lavorativi con l’altro.
Ebbene, se così è, deve ritenersi che l’assoluzione decisa dal giudice penale si fonda su un legittimo apprezzamento dell’attitudine della condotta accertata a ledere il bene giuridico protetto, ovvero la dignità della C. e il suo diritto a non essere umiliata, e non sull’insussistenza della condotta materiale attribuita al C., con riguardo alle diverse relazioni extra coniugali dallo stesso intrattenute.
Ne deriva, allora, che la circostanza che di quelle condotte il giudice civile abbia svolto una diversa valutazione, con riferimento alla loro rilevanza nel contesto della delibazione della domanda di addebitabilità della separazione, non configura una violazione dell’art. 115 c.p.c., ben potendo il giudice civile svolgere un autonomo apprezzamento, ai fini della domanda di addebito della separazione, dei medesimi fatti già valutati dal giudice penale nell’ambito del reato di maltrattamenti.
