Madre che allatta dopo aver consumato sostanze stupefacenti: configurabili maltrattamenti in famiglia (di Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 6 con la sentenza numero 43307/2023 ha ricordato che il delitto di maltrattamenti p. e p. all’art. 572 c.p. non è un reato di evento, ma di mera condotta, pertanto, ai fini della sua configurazione è sufficiente che il comportamento dell’agente sia idoneo sotto il profilo oggettivo a determinare nella vittima una condizione di sofferenza psico-fisica non transitoria, ma non è anche necessario che tale stato emotivo concretamente si realizzi e si manifesti.

La Suprema Corte evidenzia che diversamente opinando, si finirebbe per conferire al reato di maltrattamenti una connotazione relativistica, in ragione della diversa sensibilità della vittima, del contesto sociale o del suo grado di resistenza psichica individuale, così minando la tassatività della fattispecie.

Fatto

Con la sentenza descritta in epigrafe la Corte di appello ha confermato la condanna alla pena giustizia comminata dal Tribunale in danno di A.A., colpevole di maltrattamenti aggravati realizzati nei confronti del figlio neonato B.B., realizzati costringendo l’infante a penose condizioni di vita e in particolare a vivere in un appartamento, caratterizzato da pessime condizioni igienico sanitarie, nel quale si consumavano, anche per inalazione, sostanze stupefacenti, del tipo cocaina e cannabis, indirettamente assunte dal bambino in ragione dell’allattamento abitualmente praticato dalla madre dopo aver consumato le dette sostanze, delle quali era cronicamente dipendente.

Decisione

Giova evidenziare in premessa che l’appello proposto dall’imputata conteneva rilievi diretti a contestare unicamente il dolo, dando per incontroversa non solo la situazione in fatto accertata in primo grado con riguardo al contesto di degrado nel quale l’imputata viveva con il minore (basti pensare alla riscontrata presenza diffusa, in più occasioni, di escrementi di animali rivenuti sul pavimento del detto appartamento) ma anche e soprattutto la dipendenza cronica della A.A. e l’abitualità della stessa ad allattare dopo aver assunto sostanze stupefacenti.

Sul tema giova ribadire che il delitto di maltrattamenti non è un reato di evento, ma di condotta.

Perchè esso si configuri, dunque, è sufficiente che il comportamento dell’agente sia idoneo sotto il profilo oggettivo a determinare nella vittima una condizione di sofferenza psico-fisica non semplicemente transitoria, ma non anche che tale stato emotivo concretamente si realizzi e si manifesti.

Ragionando diversamente, si finirebbe per conferire alla fattispecie una connotazione relativistica, in ragione della diversa sensibilità della vittima o del suo grado di resistenza psichica individuale: dato, quest’ultimo, tuttavia legato ad una serie di variabili non predeterminabili ed eterogenee (non soltanto, cioè, fisiche e psicologiche, ma anche sociali e culturali), che finirebbe per assegnare o meno penale rilevanza a condotte oggettivamente identiche, in tal modo inficiando la tassatività della disposizione incriminatrice, peraltro mediante l’introduzione di un elemento da essa non richiesto (in questo senso, in motivazione, Sez. 6, 08/03/2023, n. 21111; Sez. 6, n. 809 del 17/10/2022, dep. 2023).

Nel caso, la doglianza prospettata dalla ricorrente non mette in discussione la configurabilità in sè del reato, perchè non nega la oggettiva idoneità della condotta vessatoria, reiterata nel tempo, posta in esser dalla imputata (costringendo il minore a vivere in quel contesto degradato) ad influire sull’equilibrato sviluppo psicofisico dell’infante; piuttosto lamenta l’omessa verifica di una situazione in fatto (l’effettiva incidenza sul neonato di una condotta siffatta) che non solo non costituiva oggetto del devoluto ma che a ben vedere appare anche ultronea rispetto alla riscontrata sussistenza dei costituti oggettivi della condotta maltrattante.

Infine, in riferimento all’elemento soggettivo nella specie è stato ritenuto senza dare conto della dimostrata consapevolezza, in capo all’imputata, della certa influenza del suo agire illecito sull’equilibrio psicofisico del figlio, è profilo che non inficia in alcun modo la tenuta e la correttezza delle due decisioni di merito.

In linea con i costituti oggettivi del reato – che non presuppongono concretamente la prova di siffatta incidenza – anche il dolo non richiede una siffatta identica consapevolezza contenutistica: il dolo dei maltrattamenti non implica, infatti, l’intenzione di sottoporre la persona offesa, in modo continuo e abituale, ad una serie di sofferenze fisiche e morali, ma solo la consapevolezza e la volontà dell’agente di persistere in un’attività che per le sue connotazioni abbia una oggettiva idoneità e consistenza vessatoria (così, tra molte: Sez. 3, n. 1508 del 16/10/2018, dep. 2019, C., Rv. 274341; Sez. 6, n. 16836 del 18/02/2010, M., Rv. 246915), accettandone dunque gli sviluppi potenziali e prescindendo in coerenza dalla acquista certezza della concreta effettività lesiva dei relativi agiti.