La Cassazione sezione feriale con la sentenza numero 43255/2023 ha stabilito che in caso di giudizio per il reato di furto aggravato ex articolo 625, comma 1, numero 2, Cp, pur essendo decorso il termine previsto dall’articolo 85, comma primo, del decreto legislativo 150/22 senza che la persona offesa abbia presentato querela, nonché, in ipotesi, in difetto di sopravvenienze dibattimentali all’uopo rilevanti, il pubblico ministero di udienza, prima della declaratoria di improcedibilità per difetto di querela, può modificare l’imputazione, procedendo alla contestazione suppletiva di una circostanza aggravante ulteriore che renda in astratto il reato procedibile di ufficio – nella specie, quella di cui all’articolo 625, comma 1, numero 7 Cp, per essere stato il fatto commesso su cose destinate a pubblico servizio – sul presupposto che il pm non ha la mera facoltà, bensì il potere-dovere di esercitare e proseguire l’azione penale per il fatto-reato correttamente circostanziato, e non ostando, in ipotesi, alla contestazione suppletiva di una circostanza aggravante l’assenza di sopravvenienze dibattimentali all’uopo rilevanti.
Fatto
Con sentenza del 29 maggio 2023 il Tribunale ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di B.C. in ordine al delitto contestatogli ai sensi degli artt. 624, 625, comma 1, n. 2 cod. pen., perché l’azione penale non deve essere proseguita per mancanza di querela.
Più in dettaglio, nel corso dell’indicata udienza – dopo essere già iniziata l’ammissione delle prove – il P.M. aveva avanzato richiesta di modifica dell’imputazione mediante la contestazione della circostanza aggravante prevista dall’art. 625, comma 1, n. 7 cod. pen., rispetto alla quale il Tribunale aveva emesso sentenza immediata, ex art. 529 cod. proc. pen., di non doversi procedere per essere il reato non procedibile per mancanza di querela.
Il Tribunale ha esplicato le ragioni dell’assunto provvedimento osservando, in primo luogo, come l’art. 2, comma 1, lett. b) d.lgs. 150 del 2022 abbia modificato il testo dell’art. 624 cod. pen., rendendo il delitto di furto ora procedibile a querela, fatta salva – tra l’altro – l’ipotesi in cui vi sia anche la contestazione dell’aggravante ex art. 625, comma 1, n. 7 cod. pen., che rende il reato procedibile di ufficio.
Nel caso di specie, alla data del 31 marzo 2023 era scaduto il termine previsto dall’art. 85 della cd. “Riforma Cartabia” senza che vi fosse stata la presentazione della querela da parte della persona offesa, per cui già a decorrere da tale data il reato era divenuto improcedibile per mancanza della richiesta condizione di procedibilità.
Rispetto alla modifica dell’imputazione invocata dal P.M., il Tribunale ha affermato di conoscere il principio espresso dalla Suprema Corte per cui l’energia elettrica può essere qualificata come bene destinato al pubblico servizio – tale da rendere configurabile, in caso di furto, l’aggravante di cui all’art. 625, comma 7, cod. pen. (Sez. 5, n. 1094 del 03/11/2021, dep. 2022, Rv. 282543-01) – ma ha, pur tuttavia, osservato come nella specie si fosse trattato di una contestazione tardiva, effettuata dopo il perfezionamento del termine di improcedibilità del reato.
Ciò sarebbe conforme alla giurisprudenza per cui, in mancanza (originaria o sopravvenuta) della querela, il giudice è tenuto ad emettere sentenza processuale di improcedibilità, per essere il rapporto processuale non validamente costituito, con conseguente preclusione per il decidente della possibilità di effettuare una qualsiasi valutazione di merito, ivi compresa quella inerente al vaglio della richiesta di modifica dell’imputazione.
Tale ultima è stata ritenuta dal Tribunale espressione di un potere immanente riconosciuto al P.M., purché, tuttavia, ricorra l’effettiva sussistenza di un processo, aspetto che, nel caso di specie, non vi sarebbe più stato alla data di celebrazione dell’udienza, per non esservi più la necessaria esistenza della condizione di procedibilità, avendo il P.M. richiesto di modificare un’imputazione relativa ad un reato non più punibile per mancanza di querela.
. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Procura della Repubblica presso il Tribunale, deducendo, con un unico motivo, inosservanza ed erronea applicazione della legge penale
Decisione
In tema di reati divenuti perseguibili a querela a seguito della modifica introdotta dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, la previsione della procedibilità a querela comporta che, stante la natura mista, sostanziale e processuale, di essa, nonché la sua concreta incidenza sulla punibilità dell’autore del fatto, il giudice, in forza dell’art. 2, comma 4, cod. pen., ne debba accertare l’esistenza anche rispetto ai reati commessi anteriormente all’intervenuta modifica (Sez. 5, n. 22641 del 21/04/2023, P., Rv. 284749-01).
Ne consegue, pertanto, senza dubbio di sorta, che, in caso di ricorso per cassazione proposto al fine di dedurre il difetto della condizione di procedibilità in relazione a reato divenuto procedibile a querela a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (nella specie, furto aggravato dalla esposizione dei beni alla fede pubblica), qualora il giudice di legittimità non riscontri la presenza di tale atto, deve annullare senza rinvio la sentenza impugnata (Sez. 5, n. 22658 del 10/05/2023, Rv. 284698-01).
Orbene, rispetto alla generica condivisibilità dell’indicato assunto, tale da far ritenere presuntivamente corretta l’intervenuta adozione da parte del Tribunale di Siracusa della pronuncia di non doversi procedere perché l’azione penale non deve essere proseguita per mancanza di querela, ritiene, tuttavia, la cassazione con riguardo alla specifica peculiarità del caso di specie, debba assumere prevalente valenza il generale potere-dovere di modifica del capo di imputazione riconosciuto al pubblico ministero dal nostro ordinamento, per cui è da ritenersi correttamente effettuata l’intervenuta contestazione suppletiva, prima della declaratoria di improcedibilità per difetto di querela, della circostanza aggravante del fatto commesso su cose destinate a pubblico servizio, di cui all’art. 625, comma 1, n. 7 cod. pen., conseguentemente rendendo il contestato reato procedibile di ufficio.
Ammettere, infatti, come invece ritenuto nella sentenza impugnata, che il P.M. non possa più operare una modifica del capo di imputazione allorquando, in ragione di una modifica dettata dallo ius superveniens, un reato in origine procedibile di ufficio sia divenuto procedibile a querela, per l’effetto determinando, nel caso di carente presentazione di essa da parte della persona offesa pure nel termine indicato dal diritto intertemporale, la pronuncia dell’immediata improcedibilità del reato per non poter essere proseguita l’azione penale per mancanza della condizione di procedibilità, significherebbe rendere il suddetto potere del P.M. limitato e vulnerabile, e quindi non più cogente e immanente nel nostro sistema processuale, come, invece, ritenuto da sempre nell’esegesi espressa dal giudice delle leggi e dalla Suprema Corte.
L’art. 517 cod. proc. pen., regolante – per ciò che attiene al caso di specie – la possibilità di effettuare nel giudizio dibattimentale la contestazione all’imputato di una circostanza aggravante, non sottopone ad alcun tipo di limite il potere-dovere del pubblico ministero di operare tale modifica dell’imputazione, se non quella che vi sia un’istruzione dibattimentale in atto, e quindi che già non si verta in fase di discussione finale, e che la cognizione non pertenga alla competenza di un giudice superiore – come, all’evidenza, non è dato ravvisare nel caso in esame -.
È stato affermato, con indirizzo interpretativo del tutto prevalente, che, poiché il P.M. è l’esclusivo titolare dell’azione penale, è abnorme il provvedimento con il quale il giudice inibisca all’organo dell’accusa – nel corso del dibattimento – l’esercizio dell’azione penale nell’ambito dei poteri relativi alla modifica della imputazione ed alla contestazione di reati concorrenti o di circostanze aggravanti (così Sez. 5, n. 2673 del 02/06/1999, Rv. 213970-01; nonché, in termini conformi, Sez. 6, n. 37577 del 15/10/2010, Rv. 248539-01).
Il potere del PM di richiedere la modifica del capo di imputazione, alla stregua delle garanzie previste dall’art. 519 cod. proc. pen. e dell’interpretazione espressa sul punto dalla Corte costituzionale (cfr. sentenze n. 333/2009 e n. 273/2014), deve essere considerato, pertanto, come un potere/dovere immanente e non limitabile, esercitabile in tutte le fasi del procedimento. Significativamente, è stato perfino affermato, con principio oramai consolidatosi dopo pronunce difformi del tutto risalenti (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 10125 del 22/02/2005, Rv. 231225-01), che, in tema di nuove contestazioni, la modifica dell’imputazione e la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante possono essere effettuate dopo l’avvenuta apertura del dibattimento e prima dell’espletamento dell’istruttoria dibattimentale e, quindi, anche sulla sola base degli atti già acquisiti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari (così, tra le altre, Sez. 2, n. 45298 del 14/10/2015, Rv. 264903-01; Sez. U, n. 4 del 28/10/1998, dep. 1999, Rv. 212757-01).
La contestazione suppletiva di una circostanza aggravante, non prevista nel decreto che dispone il giudizio, è consentita, pertanto, anche laddove essa si fondi su elementi già noti nel corso delle indagini preliminari, non necessitandosi che la stessa tragga origine da aspetti per la prima volta emersi nel corso dell’istruttoria dibattimentale.
Nel caso di specie, pertanto, la contestazione della circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma 1, n. 7 cod. pen., richiesta dal P.M., ben poteva essere effettuata sulla scorta di soli elementi tratti dalle indagini preliminari.
Il complesso delle valutazioni espresse induce conclusivamente ad affermare il principio di diritto, posto a soluzione della questione rimessa per cui, “in caso di giudizio per il reato di furto aggravato ex art. 625, comma 1, n. 2, cod. pen., pur essendo decorso il termine previsto dall’art. 85, comma 1, d. lgs. n. 150 del 2022 senza che la persona offesa abbia presentato querela, nonché, in ipotesi, in difetto di sopravvenienze dibattimentali all’uopo rilevanti, il P.M. di udienza, prima della declaratoria di improcedibilità per difetto di querela, può modificare l’imputazione, procedendo alla contestazione suppletiva di una circostanza aggravante ulteriore che renda in astratto il reato procedibile di ufficio – nella specie, quella di cui all’art. 625, comma 1, n. 7 cod. pen., per essere stato il fatto commesso su cose destinate a pubblico servizio – sul presupposto che il P.M. non ha la mera facoltà, bensì il potere-dovere di esercitare e proseguire l’azione penale per il fatto-reato correttamente circostanziato, e non ostando, in ipotesi, alla contestazione suppletiva di una circostanza aggravante l’assenza di sopravvenienze dibattimentali all’uopo rilevanti”.
