Processo di revisione: il vademecum della Corte di cassazione (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 42152/2023, udienza del 16 maggio 2023, chiarisce i parametri che devono guidare il processo di revisione.

Fase rescindente e fase rescissoria

Il processo di revisione prevede due fasi, l’una rescindente e l’altra rescissoria: la prima è costituita dalla valutazione — che avviene de plano, senza avviso al difensore o all’imputato della data fissata per la camera di consiglio — dell’ammissibilità della relativa istanza e mira a verificare che essa sia stata proposta nei casi previsti e con l’osservanza delle norme di legge, nonché che non sia manifestamente infondata. La seconda fase è, invece, costituita dal vero e proprio giudizio di revisione mirante all’accertamento e alla valutazione delle nuove prove, al fine di stabilire se esse, sole o congiunte a quelle che avevano condotto all’affermazione di responsabilità del condannato, siano tali da dimostrare che costui deve essere prosciolto dal reato ascrittogli (Sez. U, n. 18 del 10/12/1997, dep. 1998, Pisco, Rv. 210040).

Prove nuove

Nella consolidata interpretazione giurisprudenziale sul tema, sono prove nuove, rilevanti a norma dell’art. 630 lett. c), cod. proc. pen., quelle sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite ma non valutate, neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l’omessa conoscenza da parte di quest’ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell’errore giudiziario (Sez. U, n. 624 del 26/9/2001, dep. 2002, Pisano, Rv. 220443) purché idonee, da sole o unitamente a quelle già acquisite, a ribaltare il giudizio di colpevolezza (Sez. 2, n. 18765 del 13/03/2018, Rv. 273028; Sez. 6, n. 20022 del 30/1/2014, Rv. 259778; Sez. 6, n. 1155 del 1/4/1999, Rv. 216024).

Provvedimenti conclusivi delle due fasi

I provvedimenti che chiudono entrambe le fasi — l’ordinanza di inammissibilità (634, comma 2, cod. proc. pen.) e la sentenza di accoglimento o di rigetto (art. 640 cod. proc. pen.) — sono distinti dal punto di vista logico-funzionale e ricorribili per cassazione, ciascuno autonomamente, a dimostrazione della diversa funzione dei due momenti decisori.

…Conclusione della fase rescindente

È noto, invero, che il giudice nella fase rescindente, ha il compito di valutare, in astratto e non in concreto, la sola idoneità dei nuovi elementi dedotti a dimostrare — ove eventualmente accertati — che il condannato, attraverso il riesame di tutte le prove, unitamente a quella noviter producta, debba essere prosciolto, a norma degli artt. 529, 530 e 531 cod. proc. pen.

Si tratta di valutazione preliminare che, tuttavia, pur operando sul piano astratto, riguarda comunque la capacità dimostrativa delle prove (vecchie e nuove) a ribaltare il giudizio di colpevolezza nei confronti del condannato e, quindi, concerne la stessa valutazione del successivo giudizio di revisione.

Tanto, dovendo ribadirsi il condivisibile principio secondo il quale nella fase rescindente all’operata valutazione si deve pervenire, diversamente da quella rescissoria, senza gli approfondimenti richiesti in tale giudizio, dovendosi ritenere preclusa una penetrante anticipazione dell’apprezzamento di merito, riservato, invece, al vero e proprio giudizio di revisione, da svolgersi nel contraddittorio delle parti (tra le altre, Sez. 5, n. 15403 del 07/03/2014, Rv. 260563).

È stato opportunamente sottolineato che la valutazione preliminare circa l’ammissibilità e la non manifesta infondatezza della richiesta proposta, sulla base di prove nuove, implica la necessità di una comparazione tra le prove nuove e quelle già acquisite, che deve ancorarsi alla realtà del caso concreto e che non può, quindi, prescindere dal rilievo di evidenti segni di inconferenza o inaffidabilità della prova nuova, purché, però, riscontrabili ictu oculi (Sez. 6, n. 20022 del 30/01/2014, Rv. 259779; Sez. 3, n. 15402 del 20/1/2016, Rv. 266810, in motivazione).

…Conclusione della fase rescissoria

Nel successivo momento del percorso processuale, che punta alla decisione di merito sulla revisione, la fase è instaurata mediante la citazione del condannato ed il giudice è tenuto a procedere alla celebrazione del giudizio con le forme e le modalità di assunzione della prova nel contraddittorio, proprie del dibattimento, in attuazione dei principi costituzionali del giusto processo (tra le altre, Sez. 1, n. 50460 del 25/05/2017, Rv. 271821; Sez. 3, n. 15402 del 2016, Rv. cit.).

Seguendo detta impostazione ermeneutica, è dunque, solo nella fase del giudizio rescissorio, una volta ammesso, che il condannato può trovare ascolto adeguato nel merito dell’esame della prova nuova dedotta.

Ciò attraverso un vaglio che si snoda con le forme dibattimentali, espressamente richiamate dall’art. 636 cod. proc. pen.

Possibilità di dichiarare anche nella fase rescissoria l’inammissibilità della richiesta di revisione

Sicché tale giudizio deve essere improntato anch’esso ai principi del giusto processo, costituzionalmente garantito dall’art. 111 Cost., ferma restando la possibilità di dichiarare, con la sentenza che chiude tale seconda fase, l’inammissibilità della richiesta di revisione, rivalutate le condizioni di ammissibilità dell’istanza, senza assumere le prove in essa indicate e senza dare corso al giudizio sul merito (su quest’ultima affermazione: Sez. U, n. 18 del 10/12/1997, dep. 1998, Pisco, Rv. 210040 e Sez. U, n. 624 del 26/9/2001, dep. 2002, Pisano, Rv. 220441).

Invero, conformemente al disposto dell’art. 591, comma 4, cod. proc. pen., l’emissione del decreto di citazione a giudizio (ed il completo espletamento della fase dibattimentale) non preclude — nessun “giudicato interno” potendo, per definizione, essersi formato — la pronuncia di inammissibilità della richiesta di revisione.

D’altro canto, la giurisprudenza di legittimità è costante nella linea interpretativa in base alla quale l’inammissibilità della richiesta di revisione può essere dichiarata, oltre che con l’ordinanza prevista dall’art. 634 cod. proc. pen., anche con sentenza, successivamente all’instaurazione del giudizio ai sensi dell’art. 636 cit.

Ciò perché il procedimento di revisione si sviluppa in due fasi: la prima è costituita dalla valutazione — che avviene de plano, senza avviso al difensore o all’imputato della data fissata per la camera di consiglio — dell’ammissibilità della relativa istanza e mira a verificare che essa sia stata proposta nei casi previsti e con l’osservanza delle norme di legge, nonché che non sia manifestamente infondata; la seconda è, invece, costituita dal vero e proprio giudizio di revisione, mirante all’accertamento e alla valutazione delle “nuove prove”, al fine di stabilire se esse, sole o congiunte a quelle che avevano condotto all’affermazione di responsabilità del condannato, siano tali da dimostrare che costui deve essere prosciolto.

In questa seconda fase, è consentito alla Corte di appello rivalutare le condizioni di ammissibilità dell’istanza e di respingerla, anche senza assumere le prove in essa indicate e senza dare corso al giudizio di merito (Sez. U, Pisco, cit.).

In altre parole, ciò che si vuole evitare è che, con la sentenza che definisce la fase rescissoria, il giudice esprima un giudizio di inammissibilità mascherato da valutazione d’infondatezza e definito con il rigetto dell’istanza, senza dar luogo ad alcuna verifica, sia pur minima e preliminare, della veridicità di quanto addotto dal ricorrente come nuova prova.

Ciò, pur se sussiste perfetta legittimità della statuizione di inammissibilità con sentenza, anche all’esito del giudizio rescissorio, come affermato sia dalle Sezioni unite, ric. Pisco, che dalla giurisprudenza successiva (Sez. U, n. 624 del 2002, cit.; Sez. 2, n. 34773 del 17/5/2018, Rv. 273452; Sez. 5, n. 4652 del 20/11/2013, dep. 2014, Rv. 258718; Sez. 3, n. 43573 del 30/9/2014, Rv. 260989).

Necessità di comparazione delle nuove prove con quelle raccolte nel giudizio di cognizione

Deve essere, ancora, precisato che, in tema di revisione, anche nella fase rescindente le nuove prove dedotte, sebbene ai limitati fini della formulazione di un giudizio astratto, devono essere comparate con quelle già raccolte nel normale giudizio di cognizione per giungere, in una prospettiva complessiva, ad una valutazione sulla loro effettiva attitudine a far dichiarare il proscioglimento o l’assoluzione dell’istante.

Per l’ammissibilità della richiesta di revisione basata sulla prospettazione di una nuova prova, il giudice, dunque, deve valutare non solo l’affidabilità della stessa, ma anche la sua persuasività e congruenza nel contesto probatorio già acquisito nel giudizio di cognizione, del quale occorre, quindi, identificare il tessuto logico-giuridico (Sez. 1, n. 20196 del 05/03/2013, Rv. cit.; Sez. 4, n. 35697 del 19/06/2007, Rv. 237455).

La valutazione delle nuove prove di cui all’art. 630, lettera c),cod. proc. pen., infatti, non può prescindere dal complesso degli elementi, processualmente utilizzabili, già accertati nel giudizio precedente alla revisione, al fine di saggiarne e compararne la resistenza rispetto alle prove sopravvenute o scoperte solo dopo la condanna irrevocabile (Sez. 5, n. 38276 del 19/02/2016, Rv. 267786).