La Cassazione sezione 4 con la sentenza numero 42865/2023 ha indicato i tre principi da seguire per l’autorizzazione allo svolgimento di attività lavorativa da parte di persona ristretta agli arresti domiciliari.
La Suprema Corte premette che ai sensi dell’art. 284, comma 3, cod. proc. pen., il giudice della cautela può autorizzare chi sia ristretto agli arresti domiciliari e versi in una «situazione di assoluta indigenza» ad assentarsi dall’abitazione per svolgere attività lavorativa.
Peraltro, sul rilievo dell’eccezionalità della previsione di cui al comma 3 dell’art. 284 cod. proc. pen. – dimostrata dalla configurazione dei presupposti dell’autorizzazione in termini di «indispensabilità e assolutezza» – si è costantemente ribadito che la valutazione degli stessi presupposti deve essere improntata a criteri di particolare rigore (Sez. 5, n. 27971 del 01/07/2020, Rv. 279532; Sez. 2, n. 53646 del 22/09/2016, Rv. 268852; Sez. 2, n. 9004 del 17/02/2015, Rv. 263237; Sez. 2, n. 12618 del 12/02/2015, Rv. 262775).
La condizione di «assoluta indigenza» va riferita ai bisogni primari dell’individuo e dei familiari a suo carico, ai quali non può essere data soddisfazione se non attraverso il lavoro (Sez. 3, n. 24995 del 13/02/2018, Rv. 273205).
La nozione di “bisogni primari” si carica di significati concreti con l’evolversi delle condizioni sociali, dovendo ritenersi in essi comprese, a titolo esemplificativo, le spese per le comunicazioni, per l’educazione e per il mantenimento della salute (Sez. 4, n. 10980 del 29/01/2007, Rv. 236194).
Ne consegue che non opera un’interpretazione analogica o estensiva, vietata dal carattere eccezionale della norma, il giudice che rifiuti una concezione “pauperistica” dell’assoluta indigenza, comprendendo nelle esigenze cui sopperire anche necessità ulteriori rispetto a quelle della fisica sopravvivenza (vitto, vestiario e alloggio) (Sez. 4, n. 10980 del 29/01/2007, Rv. 236194; Sez. 4, n. 9109 del 10/12/2004, dep. 2005, Rv. 230933; Sez. 6, n. 2530 del 01/07/1999, Rv. 214929).
Nel compiere tale valutazione, non possono essere considerate esclusivamente le condizioni economiche dell’indagato (o dell’imputato), occorrendo invece valutare anche la compatibilità dell’attività lavorativa proposta rispetto alle ragioni dell’imposizione della misura al grado e alla natura delle esigenze cautelari poste a base della misura coercitiva (Sez. 2, n. 9004 del 17/02/2015, cit.; Sez. 6, n. 12337 del 25/02/2008, Rv. 239316; Sez. 4, n. 45113 del 15/03/2005, Rv. 232820).
Al fine di valutare la condizione di «assoluta indigenza» dell’imputato, peraltro, va sempre esaminata la situazione reddituale del suo coniuge convivente o del convivente more uxorio (quanto al primo caso: Sez. 3, n. 34235 del 15/07/2010; quanto al secondo caso, implicitamente: Sez. 2, n. 53646 del 2016, cit.).
Con riguardo all’onere probatorio gravante sull’imputato che richieda l’autorizzazione ad assentarsi dal luogo di arresto, occorre un particolare rigore, da parte del giudice, nella valutazione della sussistenza dello stato di «assoluta indigenza», ma tale onere, tuttavia, non può spingersi sino al punto di pretendere una sorta di prova legale di detto stato, mediante la produzione di autocertificazione attestante l’impossidenza dei redditi necessari a soddisfare le esigenze di vita (Sez. 2, n. 53646 del 2016, cit.; Sez. 2, n. 12618 del 2015, cit.).
Tanto premesso, il tribunale del riesame, con motivazione coerente ed adeguata, ha negato al R. l’autorizzazione ad assentarsi dal luogo di arresto per esercitare un’attività lavorativa, considerando negativamente la presenza all’interno del nucleo familiare di altri soggetti abili al lavoro e disattendendo la tesi difensiva, secondo la quale il detenuto dovesse essere posto in condizione di provvedere alle proprie esigenze di vita, senza gravare sul bilancio familiare.
Pertanto, i giudici della cautela si sono allineati ai predetti principi, evidenziando correttamente quanto segue:
a) la necessità di valutare con estremo rigore la sussistenza del presupposto dell’assoluta indigenza;
b) l’indefettibilità di un’analisi congiunta della consistenza delle condizioni economiche dell’imputato e dei suoi familiari;
c) l’impossibilità di salvaguardare le esigenze cautelari mediante il regime attenuato di arresti domiciliari con autorizzazione al lavoro a causa dell’elevato spessore criminale del soggetto, emergente dalla vicenda in oggetto.
