Mesi addietro il ministro Nordio, secondo quanto riportato dal quotidiano Il Dubbio (a questo link), ha dichiarato di essere pronto ad occuparsi del dossier sul reato di abuso d’ufficio, allo scopo di abolirlo o delimitarne restrittivamente il raggio d’azione, così da dare una risposta alla richiesta di tanti amministratori locali che si sentirebbero paralizzati dal timore di essere incriminati per questo reato anche per condotte palesemente estranee al loro ambito di responsabilità.
Il tema è entrato quindi prepotentemente nell’agenda politica e interessa capire che posizioni stanno emergendo o erano emerse negli anni scorsi.
La sovrabbondanza di esternazioni tipica del nostro ceto politico impone una sintesi brutale.
Cominciamo dalla Lega.
Nel 2019 Matteo Salvini chiese l’abolizione dell’abuso d’ufficio (qui il link), provocando l’indignata reazione di Luigi Di Maio. Ne venne fuori un duello titanico con Salvini per il quale “Bisogna togliere burocrazia, togliere vincoli, aprire cantieri. Se per paura che qualcuno rubi blocchiamo tutto allora mettiamo il cartello affittasi ai confini dell’Italia e ci offriamo alla prima multinazionale cinese che arriva” e Di Maio che replicava da par suo “Più lavoro, meno stronzate“.
Lo stesso concetto espresse Di Maio a distanza di pochi giorni in un’ulteriore esternazione sul Blog delle stelle (a questo link) che contiene peraltro una sofisticata analisi della struttura del reato.
Nonostante la nettezza dell’opinione dell’eminente leader grillino, bastò un anno e il Governo Conte II, a maggioranza pentastellata e con Di Maio ancora ministro, varò una riforma che circoscrisse in modo sostanziale l’ambito applicativo dell’abuso.
Forza Italia, come è noto, è storicamente favorevole all’abolizione (qui il link alla presa di posizione pubblica dell’allora ministro Renato Brunetta).
Si vorrebbe chiudere il fronte politico col PD ma, come di consueto, è difficile comprendere la sua posizione.
Pensiamo di aver capito che non vuole l’abolizione ma potrebbe prendere in considerazione l’idea di una revisione: non siamo andati oltre questo.
L’incomprensione è aggravata dalla posizione nettamente abolizionista dell’ANCI (Associazione nazionale Comuni italiani) il cui presidente Antonio De Caro milita nel PD e non perde occasione per schierarsi a fianco dei sindaci che finiscono indagati, condannati e sospesi per abuso. Quindi, forse, si potrebbe dire che in questa questione il PD è sia di lotta che di governo.
Per finire questa micro-carrellata si segnala che l’ANM è anti-abolizionista e l’UCPI è ampiamente favorevole.
È chiaro che qualsiasi discussione sulla sorte dell’abuso dovrebbe comprendere gli effetti che la cosiddetta Legge Severino (per meglio dire il d.lgs. n. 235/2012) riserva a chi è condannato per abuso, in particolare a ciò che succede dopo una condanna non definitiva.
Basti qui l’esempio di ciò che accade a un amministratore di livello comunale: dopo la condanna di primo grado viene sospeso dalla carica per un anno e sei mesi; se la condanna è confermata in secondo grado si aggiunge un ulteriore anno di sospensione.
I sindaci non la prendono bene e hanno parecchi buoni argomenti dalla loro parte, iniziando dall’elevato numero di riforme in senso assolutorio che in grado d’appello falcidiano le decisioni opposte di primo grado (a questo link per i dati, sebbene sia doveroso sottolineare che nell’articolo di Linkiesta cui si rimanda non è indicata la loro fonte).
Sta di fatto che la proposta di abrogazione via referendum della Legge Severino (e l’apparente diminutivo evocato suggestivamente dal nome della ministra della Giustizia appare sproporzionato per difetto, Severone sarebbe stato più adeguato) è stata bocciata come tutte le altre per mancato raggiungimento del quorum, dovuto a sua volta alla mancanza di sostegno sostanziale di forze politiche di tale consistenza da invertire il trend.
A ben pensarci, è l’ennesima dimostrazione di una certa fase della politica italiana: se c’è un problema, il mugugno e gli slogan prendono sempre il sopravvento sulle proposte; e se per caso qualche proposta è fatta, è più facilmente legata a contingenze e umori momentanei piuttosto che a visioni sistematiche.
