La cassazione sezione 5 con la sentenza numero 42414/2023 (allegata alla fine del contributo in forma anonimizzata) ha ritenuto di non sollevare questione di incostituzionalità dell’articolo 581 comma 1 quater nella parte che prevede il deposito, a pena d’inammissibilità dell’impugnazione e contestualmente alla sua presentazione, dello specifico mandato ad impugnare rilasciato al difensore dall’imputato giudicato in assenza dopo la pronuncia della sentenza, contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato stesso, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio.
La Suprema Corte ha stabilito che il legislatore con la riforma dell’articolo 581 comma 1 quater cpp ha inteso conciliare l’etica tra i due principi fondamentali, nell’ottica di evitare la proliferazione di giudizi d’impugnazione variamente dispendiosi – attivati per iniziativa del difensore, svincolata dall’avallo esplicito del diretto interessato – che potrebbero rivelarsi, anche dopo la formale irrevocabilità della pronuncia, del tutto inutili perché, qualora sfavorevoli all’imputato, potenzialmente obliterabili dall’indiscriminato riconoscimento, attraverso gli istituti processuali appena citati, di un diritto dell’imputato, che non abbia personalmente partecipato al processo, alla rinnovazione e duplicazione di tutti o parte dei gradi di giudizio.
Fatto
La difesa del ricorrente ha invitato la Cassazione a sollevare incidente di costituzionalità dell’art. 581 comma 1 quater cod. proc. pen., che esige il deposito, a pena d’inammissibilità dell’impugnazione e contestualmente alla sua presentazione, dello specifico mandato ad impugnare rilasciato al difensore dall’imputato giudicato in assenza dopo la pronuncia della sentenza, contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato stesso, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio, per assunto contrasto con gli articoli 24, 27 e 111, 117 Cost., 6 e 7 CEDU, con particolare riferimento ai difensori d’ufficio, per i quali l’imposizione dell’ottenimento del previsto mandato si presenterebbe particolarmente onerosa e, pertanto, irragionevole, specie in un regime di applicabilità della disciplina ai procedimenti in corso.
Decisione
La Suprema Corte premette che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 581 comma 1 quater cod. proc. pen. posta dal difensore deve essere ritenuta, sotto diversi profili, irrilevante nel presente giudizio e manifestamente infondata.
Premessa indispensabile è che, di recente, questa Corte ha ritenuto applicabile la disciplina di cui all’art. 581 comma 1 quater cod. proc. pen. al giudizio di Cassazione, propendendo per la piena compatibilità della sua ratio con il meccanismo degli avvisi dovuti alle parti al fine di garantirne la conoscenza e, entro certi limiti e per lo più attraverso il patrocinio defensionale, la partecipazione al giudizio di legittimità, a prescindere dal dato testuale della previsione, che fa menzione della “citazione a giudizio”, formalmente propria della regolamentazione del processo di merito (sez. 5, notizia di decisione n. 14 del 2023, udienza 4 luglio 2023).
Occorre allora prendere le mosse dalla relazione della Commissione di studio per la elaborazione di proposte di riforma del processo penale, istituita con D.M. 16 Marzo 2021, presieduta dal dr. Giorgio Lattanzi, che, perspicuamente per la parte di interesse, così si è espressa: “….Nel contesto delle innovazioni proposte, va rimarcato che l’intervento sulla legittimazione del difensore ad impugnare costituisce uno snodo essenziale, sia in chiave di effettiva garanzia dell’imputato, sia in chiave di razionale e utile impiego delle risorse giudiziarie: la misura, infatti, è volta ad assicurare la celebrazione delle impugnazioni solo quando si abbia effettiva contezza della conoscenza della sentenza emessa da parte dell’imputato giudicato in assenza e ad evitare – senza alcun pregiudizio del diritto di difesa dell’interessato, tutelato dai rimedi “restitutori” contestualmente assicurati – l’inutile celebrazione di gradi di giudizio destinati ad essere travolti dalla rescissione del giudicato.
A tutela delle esigenze di pieno e impregiudicato esercizio del diritto di difesa, la modifica è accompagnata dall’allungamento dei termini per impugnare a favore del difensore e dalla rivisitazione dell’istituto di cui all’art. 629-bis c.p.p., che oggi limita la rescissione del giudicato ai soli casi in cui tutto il processo si sia svolto in assenza dell’imputato.
L’istituto di recente introduzione verrebbe così ad operare per le ipotesi di sentenza di condanna in absentia non impugnata (data la effettiva mancata conoscenza da parte dell’imputato e, dunque, la mancata predisposizione del mandato specifico ad impugnare) e, quindi, passata in giudicato.
Per tutti gli altri casi, la previsione del mandato specifico attesterebbe l’effettiva conoscenza del processo e, dunque, eliminerebbe II presupposto del rimedio restitutorio per la mancata conoscenza (salvi, ovviamente, casi limite).
Nel pieno rispetto anche della direttiva 2016/343 UE – nei suoi profili cruciali già implementata, per quel che riguarda il giudizio in absentia – si dovrebbe intervenire sulla disciplina della rescissione del giudicato, rendendo l’istituto idoneo a risolvere tutti i casi in cui emerga l’effettiva mancata conoscenza del processo, anche nei confronti degli imputati latitanti…”.
Il legislatore ha inteso realizzare un equo contemperamento tra il diritto di difesa dell’imputato – artt. 24 comma 2, 27 comma 2, 111 comma 1 e comma 2 primo alinea e 117 comma 1 Cost. 2 – e l’esigenza, fondata precipuamente sul rispetto del principio di ragionevole durata del processo, che rinviene tutela nell’art. 111 comma 2 secondo alinea Cost., di una più celere ed efficiente organizzazione dello sviluppo del procedimento penale e degli strumenti dell’attività giurisdizionale propriamente detta, anche nella prospettiva di allontanare il pericolo della patologia dell’abuso del diritto.
L’ “imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza” è il soggetto a conoscenza del processo in base agli snodi di cui agli artt. 420 bis, 554 bis comma 2 e 484 comma 2 bis cod. proc. pen. – garanzie a presidio della legittimità dello svolgimento del processo in absentia in armonia con le direttive convenzionali di livello internazionale – sulla cui piena attuazione incombono i controlli dei giudizi d’impugnazione di cui agli artt. 604 comma 5 bis e 623 lett. b) bis cod. proc. pen.
E tale deve ritenersi il ricorrente, arrestato in flagranza, condotto dinanzi al giudice per l’interrogatorio e lo svolgimento del rito direttissimo, ed istante, in tale sede, per la celebrazione del processo con rito abbreviato.
Laddove il processo non abbia rispettato le prudenti scansioni della disciplina sottesa alla formale dichiarazione di assenza, sono previsti i rimedi restitutori postumi, costituiti dalla rimessione in termini per impugnare – di cui all’art. 175 commi 2.1 e 2 bis cod. proc. pen. – e dalla rescissione del giudicato di cui all’art. 629 bis cod. proc. pen., modellata dalla riforma sull’evenienza della nullità del procedimento a causa dell’illegittima declaratoria di assenza dell’imputato.
Reputa insomma il collegio che sia stato assicurato pieno e corretto equilibrio tra l'”inviolabilità” del diritto di difesa, di natura certamente primaria nel sistema ordinamentale – ma che non può espandersi oltre ogni confine di “buon senso” – e la misura della durata (appunto) “ragionevole” del processo connaturata anche a vincolanti canoni di efficienza e risparmio delle risorse e di cui è espressione il principio di economia degli atti processuali; in altre parole, il legislatore della riforma ha inteso conciliare, normandola, l’etica tra i due principi fondamentali, nell’ottica di evitare la proliferazione di giudizi d’impugnazione variamente dispendiosi – attivati per iniziativa del difensore, svincolata dall’avallo esplicito del diretto interessato – che potrebbero rivelarsi, anche dopo la formale irrevocabilità della pronuncia, del tutto inutili perché, qualora sfavorevoli all’imputato, potenzialmente obliterabili dall’indiscriminato riconoscimento, attraverso gli istituti processuali appena citati, di un diritto dell’imputato, che non abbia personalmente partecipato al processo, alla rinnovazione e duplicazione di tutti o parte dei gradi di giudizio.
Si è ritenuto dunque di prevedere, equamente, che la scelta di impugnare la sentenza sia riservata all’imputato che sia stato posto in condizioni di partecipare al processo in virtù di uno scrupoloso complesso di precetti normativi e, per libera determinazione, non abbia coltivato tale sua facoltà, attribuendogli il consentaneo diritto, ove tali garanzie non siano state concretamente adottate, di ricorrere ai rimedi ripristinatori post iudicatum sopraindicati.
E, per concludere, si tratta di opzione di politica legislativa che ha tenuto conto dell’abbandono del principio di unicità dell’impugnazione, sancito dalla sentenza n. 317 del 2009 della Corte Costituzionale la quale, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 175 comma 2 cod. proc. pen. nella formulazione a quel tempo vigente, ha ritenuto che il diritto di difesa e al contraddittorio dell’imputato contumace “inconsapevole” – e dunque il suo diritto alla rimessione in termini per impugnare la sentenza contumaciale – non potesse essere compresso da un atto autonomamente compiuto dal difensore, che non avesse ricevuto un mandato “ad hoc” in tale direzione.
Né si ravvisano ipotesi di frizione con i principi costituzionali a riguardo dell’elezione normativa di diritto transitorio di cui all’art. 89 comma 3 del Decr. Lgs. n. 150 del 2022, che ha stabilito l’applicazione di tali disposizioni alla sole impugnazioni promosse contro le sentenze pronunciate dopo l’entrata in vigore del medesimo Decreto, coerente – anzi – con il più ampio dispiego dei diritti e delle prerogative della difesa, tenuto conto, altresì, dell’allungamento (di 15 giorni) del termine per proporre l’impugnazione a favore del difensore dell’imputato giudicato in assenza, ai sensi del comma 1 bis dell’art. 585 cod. proc. pen. e della cristallizzazione, a tal fine, di un momento processuale oggettivo e sottratto a qualsiasi perplessità interpretativa.
Ne viene, in definitiva, che il ricorso per cassazione risulta presentato da un difensore privo di specifico mandato ad impugnare e non può sfuggire alla sanzione dell’inammissibilità ai sensi dell’art. 591 lett. a) cod. proc. pen.
