Affidamento in prova al servizio sociale: la discrezionalità del tribunale di sorveglianza e una discutibile decisione della Cassazione (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 43099/2023, udienza del 27 giugno 2023, ha dichiarato inammissibile un ricorso presentato nell’interesse di un condannato, con una pena residua da scontare di poco meno di quattro anni per i reati di associazione per delinquere e plurime ricettazioni, la cui istanza di affidamento in prova al servizio sociale è stata rigettata dal competente tribunale di sorveglianza.

Motivi di ricorso

Il difensore dell’interessato ha lamentato che il tribunale non avesse tenuto conto dei numerosi elementi positivi costituiti dalle produzioni documentali della difesa e dalla relazione socio-familiare dell’assistente sociale la quale evidenziava come il condannato avesse riconosciuto gli errori del passato esprimendo un parere positivo alla fruizione da parte del condannato della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale.

Ha rilevato inoltre che era stata ugualmente ignorata la relazione UEPE da cui emergeva che il condannato ha svolto attività lavorativa senza soluzione di continuità dal 2018 e che egli era impegnato in un’attività di volontariato da alcuni mesi.

Ha censurato in sostanza il fatto che il tribunale, dopo aver disposto integrazioni istruttorie, anche in relazione al domicilio del condannato, non ne abbia poi tenuto conto omettendo sul punto qualsivoglia motivazione.

Ha ancora eccepito la nullità dell’ordinanza impugnata ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen. per manifesta contraddittorietà della motivazione, osservando che il tribunale ha conferito prevalente importanza ad elementi incerti, di dubbia evoluzione e comunque temporalmente datati, quali le pendenze, a fronte della presenza di elementi certi, comprovati dalle produzioni difensive sulle quali nulla ha dedotto, e che manifestano al contrario il ravvedimento che ha contraddistinto la vita del condannato dal 2018 ad oggi.

Decisione della Corte di cassazione

L’affidamento in prova al servizio sociale richiede che, attraverso la partecipazione all’opera di rieducazione, sia positivamente avviato quel processo di revisione critica dei disvalori che hanno determinato la condotta deviante; inoltre, l’affidamento in prova richiede il giudizio, ulteriore, di idoneità della misura al raggiungimento della completa emenda, in base al livello dei progressi compiuti nel trattamento.

Rientra nella discrezionalità del giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione adeguata e rispondente ai canoni logici, il giudizio sull’idoneità o meno, a raggiungere tale risultato finale, delle varie misure alternative (Sez. 1, n. 652 del 10/02/1992, Rv. 189375).

Le fonti di conoscenza che il tribunale di sorveglianza è chiamato a valutare sono sia il reato commesso, i precedenti penali, le pendenze processuali e le informazioni di polizia, sia la condotta carceraria ed i risultati dell’indagine socio-familiare operata dalle strutture di osservazione, onde verificare la sussistenza di elementi positivi che facciano ragionevolmente ritenere la proficuità dell’affidamento, quali l’assenza di nuove denunzie, il ripudio delle condotte devianti passate, l’adesione ai valori socialmente condivisi, l’attaccamento al contesto familiare, la condotta di vita attuale, la congruità della condanna e l’eventuale buona prospettiva risocializzante (Sez. 1, n. 1410 del 30/10/2019, Rv. 277924).

Nel caso di specie, nessuno dei superiori principi risulta violato.

Il tribunale ha dato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto di escludere l’applicabilità delle misure alternative richieste, con un discorso giustificativo privo di mende, correttamente incentrato sulla constatazione, emersa dagli atti esaminati, dell’assenza di significativi progressi trattamentali e di un adeguato processo di revisione critica del proprio passato deviante.

Il ricorrente si limita ad opporre censure in fatto, senza confrontarsi con le argomentazioni poste a sostegno dell’ordinanza impugnata, chiedendo la rivalutazione di elementi di fatto asseritamente trascurati, rivalutazione inibita in sede di legittimità.

In conclusione, la valutazione di merito condotta dal Tribunale di sorveglianza risulta sottratta a qualunque possibilità di sindacato in sede di legittimità, non facendo emergere alcun vizio motivazionale e profili di contrasto con il dato normativo, risultando altresì conforme al principio di gradualità nell’accesso ai benefici extra-murari.

Sul punto, si deve ribadire che il tribunale di sorveglianza, anche quando siano emersi elementi positivi nel comportamento del detenuto, può legittimamente ritenere necessario un ulteriore periodo di osservazione e lo svolgimento di altri esperimenti premiali, al fine di verificare l’attitudine del soggetto ad adeguarsi alle prescrizioni.

Commento

Se la motivazione è insieme pre-condizione e parte integrante del giusto processo, adempiendo al compito di rendere palese, controllabile e in ipotesi censurabile il percorso logico e argomentativo seguito dal giudice, e se questa natura della motivazione deve permeare anche i provvedimenti della Suprema Corte, bisogna riconoscere che la decisione qui commentata ha fallito il suo compito.

Nessuna delle considerazioni espresse dal collegio è esplicativa di per se stessa, tutte al contrario riferendosi adesivamente all’ordinanza impugnata e risolvendosi in mere tautologie.

In altri termini, la sentenza, anziché rispondere alle critiche del ricorrente, gli impone un atto di fede; anziché chiarire perché il percorso seguito nell’ordinanza impugnata è corretto, si limita ad attestarne la correttezza e nulla più.

Non è questo, pare di poter dire, che ci si aspetta dal giudice di ultima istanza.