Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 42465/2023, udienza dell’11 ottobre 2023, afferma che in tema di coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sia ricavabile sostanza stupefacente, l’aggravante prevista dall’art. 80, comma 2, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, va valutata formulando un giudizio prognostico sulla quantità di stupefacente ricavabile dalla piantagione all’esito del ciclo produttivo, in ragione del suo prevedibile sviluppo apprezzato ancorandosi ai valori minimi, secondo un criterio prudenziale imposto dalla natura proiettiva di tale giudizio, Sez. 6 – n. 49119 del 15/11/2022 Ud. (dep. 23/12/2022) Rv. 284566 – 01. Il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo estraibile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza ad effetto stupefacente (Sez. U, n. 12348 del 19/12/2019 Ud. (dep. 16/04/2020 Rv. 278624 – 02).
La motivazione dei giudici di merito risulta conforme a detti principi, dando conto del superamento dei limiti della cosiddetta “soglia minima” sulla base dell’accertamento tecnico del perito di ufficio che ha esaminato le sole foglie ed inflorescenze cioè le parti che contengono THC, prelevandole dall’apice, dal centro e dalla base su un campione di otto piante, recanti vario diametro e altezza ed appositamente essiccate e ha ricavato un peso complessivo di Kg 303,77 frutto della moltiplicazione del peso medio di gr. 88,6 per 3423 piante da cui è derivato il percentile medio di THC pari al 1,545% e il principio attivo stimato in 4,685 kg.
La Corte territoriale ha valutato per disattenderli con motivazione logica e coerente che i risultati della polizia scientifica che, operando ad altri fini, esaminò 47 piante, la cui rappresentatività non è però nota, in quanto si trattava di arbusti ancora allo stato vegetativo da cui vennero prelevate solo le parti apicali, anzi per tre di esse venne esaminata anche la parte delle radici con terriccio fusto e foglie, con la conseguenza che, afferma la Corte territoriale, il principio attivo appariva significativamente diluito e quindi non rappresentativo della capacità drogante.
Ciò detto nel caso in esame l’apparente discrasia tra l’accertamento del consulente tecnico (che avrebbe individuato un principio attivo di kg. 4,684) e quello ipotizzato dalla polizia scientifica (che coinciderebbe a kg. 1,52296), rileva ai soli fini del calcolo matematico, non avendo la Corte territoriale trascurato di ricorrere ad ulteriori parametri per la configurabilità dell’aggravante, come l’estensione e l’organizzazione professionale della piantagione.
