Decreto di irreperibilità: anche nella fase esecutiva può essere emesso solo dopo il completamento di tutte le ricerche previste dall’art. 159 c.p.p. (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 42162/2023, udienza camerale del 16 maggio 2023, chiarisce secondo una lettura scrupolosamente garantista a quali condizioni può essere emesso il decreto di irreperibilità nella fase esecutiva.

Va affermato che nel procedimento esecutivo penale devono considerarsi estese al soggetto interessato tutte le garanzie previste dall’ordinamento per l’imputato nel procedimento di cognizione, in quanto praticabili.

Dunque, anche il procedimento di notificazione – nell’ambito dell’esecuzione – deve compiersi con l’osservanza di tutte le disposizioni dettate con riguardo all’imputato; deve pertanto considerarsi nulla la notificazione dell’avviso prescritto dall’art. 666, comma 3, cod. proc. pen., effettuata al difensore nominato d’ufficio dopo che si era constatata l’impossibilità di notificazione personale ma senza che fossero state effettuate le ricerche ed emesso il decreto di irreperibilità previsto dall’art. 159 cod. proc. pen.

Si rileva, in secondo luogo, che, ai fini della validità del decreto d’irreperibilità, nella specie indicato come necessario dalla sentenza rescindente, ciò che rileva è la completezza delle ricerche con riferimento agli elementi risultanti dagli atti al momento in cui vengono eseguite, tanto che la legittimità della procedura deve essere verificata sulla base delle risultanze conosciute e conoscibili al momento dell’adempimento e non ex post sulla base delle eventuali notizie acquisite ovvero pervenute successivamente (tra le altre, Sez. 1, n. 44629 del 23/10/2007, Rv. 238481).

Inoltre, si ritiene in giurisprudenza (tra le altre, Sez. 1, n. 11341 del 27/11/2020, dep. 2021, Rv. 280976) che, ai fini dell’emissione del decreto di irreperibilità, le ricerche vanno eseguite cumulativamente, e non alternativamente o parzialmente, in tutti i luoghi indicati dall’art. 159 cod. proc. pen., ivi compreso il luogo in cui l’imputato esercita abitualmente la sua attività lavorativa, se pure tale luogo non risulti in atti (Sez. 1, n. 5479 del 10/01/2006, Rv. 235098).

Quanto, inoltre, ai luoghi ove, prioritariamente, le nuove ricerche del destinatario dell’atto devono essere eseguite, la Cassazione ha avuto modo di affermare (Sez. 5, n. 34993 del 09/10/2020 Rv. 279984) che la formula dell’art. 159 cod. proc. pen. – che indica detti luoghi ove, prioritariamente, ma non in termini esclusivi e limitativi, devono essere eseguite dette ricerche, lasciando salva la possibilità di svolgerle altrove e diversamente, – concretizza il principio dell’effettività della ricerca, mediante l’uso nei modi più efficaci delle notizie ed informazioni di cui dispone l’autorità, senza rigorosi formalismi, in considerazione del rilievo costituzionale degli interessi tutelati.

Come già evidenziato nella sentenza n. 399 del 1998 dalla Corte costituzionale, l’indicazione dei luoghi contenuti nella norma è da considerarsi indicativa e non esaustiva. Sotto tale profilo, quindi, le ricerche, al fine di garantire la massima tutela del diritto dell’imputato/indagato di partecipare al processo e di esercitare il proprio diritto di difesa, devono essere svolte utilizzando in modo efficace le notizie e le informazioni di cui si dispone, senza rigorosi formalismi.

Su tale punto, la più recente giurisprudenza di legittimità ha superato un precedente contrasto e, con specifico riferimento a quanto rileva per la soluzione del caso di specie, ha riconosciuto l’illegittimità del decreto di irreperibilità e di ogni atto processuale ad esso connesso, preceduto da ricerche svolte senza utilizzare il numero di utenza mobile del destinatario della notifica in possesso dell’autorità competente, in quanto così operando questa incorre in una negligente omissione, che si traduce nella incompletezza dell’attività di ricerca (tra le altre, Sez. 5, n. 34993 del 09/10/2020, Rv. 279984 alla quale si rinvia per le puntuali osservazioni in questa contenute; Sez. 4, n. 47746 del 24/09/2015, Rv. 265327; Sez. 3, n. 52326 del 20/11/2014, Rv. 261710 con riferimento all’effettività delle ricerche).

In tale orientamento, teso a valorizzare il richiamato principio di effettività delle ricerche necessarie per l’emissione del decreto di irreperibilità, va inscritta, altresì, Sez. 3, n. 52326 del 20/11/2014, Rv. 261710, che, con principio di portata più generale rispetto all’utilizzazione del numero di utenza cellulare, ha affermato che è nullo il decreto di irreperibilità emesso sulla base di ricerche eseguite mediante consultazione di banche-dati o archivi non aggiornati, o comunque non in grado di rivelare notizie attendibili sulla effettiva residenza o dimora dell’imputato, il quale ha diritto ad essere restituito nel termine per l’esercizio delle facoltà difensive che non abbia potuto precedentemente esercitare.

Pertanto, si è affermato che qualora l’autorità procedente sia in possesso del suo numero cellulare e non lo utilizzi nelle ricerche, incorre in una negligente omissione che si traduce nella incompletezza dell’attività di ricerca, inficiando il successivo decreto di irreperibilità ed ogni atto processuale ad esso connesso(Sez. 4, n. 47746 del 24/09/2015, Rv. 265327).

Registrandosi sul punto un contrasto di giurisprudenza, la questione era stata, dunque, rimessa alle Sezioni unite ai sensi dell’art. 618 cod. pen., formulando il quesito interpretativo: “se sia legittimo il decreto di irreperibilità preceduto da ricerche svolte senza utilizzazione del numero di utenza mobile del destinatario della notifica eventualmente in possesso dell’autorità competente”.

Quesito rispetto al quale il Primo Presidente Aggiunto ha restituito gli atti alla sezione remittente, ritenendo che il contrasto potesse ritenersi “in via di superamento”, nel senso di una valorizzazione del principio di effettività delle ricerche ai fini dell’emissione del decreto di irreperibilità.

Va, poi, rilevato che il principio di effettività delle ricerche deve essere calibrato, dovendosi riconoscere la completezza delle ricerche non solo in relazione ai parametri prefissati, ma anche alla condizione personale del soggetto, così da consentire al giudice, in relazione allo specifico caso in esame, di valutare l’esaustività o meno delle indagini svolte.

Al giudice di merito, quindi, è riconosciuto di valutare la sussistenza di circostanze che dimostrino la non attualità del riferimento a uno dei luoghi indicati dalla norma di riferimento (cfr. sez. 5, n. 12179 del 19/11/2018, dep. 2019, Rv. 276037, in un caso in cui si è affermato che le ricerche vanno sì eseguite cumulativamente, e non alternativamente, in tutti i luoghi indicati dall’art. 159 cod. proc. pen., e quindi anche nel luogo in cui l’imputato esercita abitualmente l’attività lavorativa, ma non anche in una sede lavorativa non più attuale perché riferita ad una società inattiva).

Il decreto di irreperibilità è, quindi, un atto formale insostituibile, perché presuppone la valutazione discrezionale della congruità, adeguatezza e validità delle indagini esperite per accertare la residenza dell’imputato e la conseguenziale constatazione che le indagini medesime siano risultate infruttuose.