Confisca di prevenzione: il titolare reale dei beni, a differenza del terzo estraneo, non può giustificare il loro acquisto riferendosi a risorse provenienti da evasione fiscale (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 41556/2023, udienza camerale del 15 marzo 2023, ribadisce il consolidato indirizzo giurisprudenziale che, a fronte di una misura preventiva patrimoniale, differenzia la posizione dell’effettivo titolare dei beni rispetto al terzo estraneo, consentendo a quest’ultimo ma non al primo di giustificare l’acquisto degli stessi con risorse finanziarie accumulate tramite evasione fiscale.

Afferma infatti il collegio di legittimità che l’effettivo titolare dei beni colpiti da confisca di prevenzione non può giustificare la provvista con risorse provenienti da evasione fiscale, come potrebbe invece fare il terzo estraneo, poiché trattasi di proventi di attività illecita inidonea a colmare la sperequazione tra redditi dichiarati da attività svolte e gli esborsi effettuati.

Sul punto, si richiama Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci e altri, Rv. 260244 – 01: «In tema di confisca di prevenzione di cui all’art. 2 ter legge 31 maggio 1965, n. 575 (attualmente art. 24 D. Lgs. 6 settembre 2011, n. 159), la sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del proposto non può essere giustificata adducendo proventi da evasione fiscale, atteso che le disposizioni sulla confisca mirano a sottrarre alla disponibilità dell’interessato tutti i beni che siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego, senza distinguere se tali attività siano o meno di tipo mafioso». Il punto è stato congruamente trattato in entrambi i decreti dei gradi di merito, e particolarmente il primo ha esposto che il trattenimento dell’IVA costituisce comunque evasione fiscale, in quanto trattasi di imposta non versata e quindi sottratta al fisco, eludendo gli obblighi contributivi.

Tale affermazione è conforme all’esegesi di legittimità, che ha fissato il principio per cui «In tema di misure di prevenzione, colui che è dedito in modo continuativo a condotte di evasione degli obblighi fiscali presenta una forma di pericolosità sociale che lo colloca nella categoria di cui all’art. 1, comma 1, lett. b), del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, potendo pertanto essere oggetto di confisca i beni a lui derivanti dal reinvestimento della provvista finanziaria così ottenuta, i quali possono essere considerati provento del delitto (in motivazione la Corte ha precisato che il reinvestimento in attività commerciali dei proventi dell’evasione fiscale abituale determina una confusione tra attività lecite ed illecite che la normativa in materia di misure di prevenzione intende evitare e che cresce nella successione dei periodi d’imposta)» (Sez. n. 53636 del 15/06/2017, Rv. 272167; Sez. 1, n. 20160 del 16/11/2021, dep. 2022, Rv. 283089).

Nei confronti dell’effettivo titolare è dunque operativa la presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale, che si estende anche ai beni intestati al coniuge ed ai figli, qualora la sproporzione tra il patrimonio nella titolarità di tali soggetti e l’attività lavorativa dagli stessi svolta, rapportata alle ulteriori circostanze del fatto concreto, appaia dimostrativa della natura simulata della intestazione (Sez. 2, n. 23937 del 20/05/2022, Rv. 283177).

Tale principio si fonda sulla massima di comune esperienza della comunanza di interessi patrimoniali e di redditi nell’ambito dell’unità familiare entro cui si colloca la persona socialmente pericolosa, e, per quanto attiene al terzo, sull’accertamento di cui all’art. 26, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (in tal senso: Sez. 1, n. 12629 del 16/01/2019, Rv. 274988).