Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 41397/2023, udienza del 26 settembre 2023, ribadisce l’orientamento secondo il quale la sostituzione della pena non rappresenta un diritto dell’imputato, già espresso da Sez. 6, n. 33027 del 10/05/2023, pronuncia, quest’ultima, oggetto di un nostro commento a cura di Riccardo Radi, consultabile a questo link.
Vicenda giudiziaria
Il tribunale, a seguito di c.d. patteggiamento (artt. 444 cod. proc. pen. e ss.), condannava l’imputato a tre anni di reclusione per il delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572, comma 2, cod. pen.).
Ricorso per cassazione
Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato che, per il tramite del suo difensore deduce due motivi di ricorso:
- Erronea applicazione dell’art. 444 cod. proc. pen. Durante l’udienza, l’imputato e il difensore avanzavano istanza di patteggiamento con richiesta di misura sostitutiva della pena ex art. 53 legge 24/11/1981, n. 689/81, come modificato dal d.lgs. 10/10/2022, n. 150 (c.d. riforma Cartabia). Il PM esprimeva parere favorevole sulla congruità della pena e il tribunale accoglieva la richiesta di c.d. patteggiamento, riservandosi di decidere sulle ulteriori richieste avanzate dal difensore. Il giudice avrebbe, tuttavia, errato nell’indicare in motivazione che il difensore non aveva subordinato l’istanza di patteggiamento alla conversione della pena detentiva in lavori di pubblica utilità, essendo invece documentalmente provato il contrario.
- Vizio di motivazione in riferimento all’omessa sostituzione della pena. La riserva di decidere sulla misura sostitutiva non è mai stata sciolta. Di conseguenza, il tribunale avrebbe omesso di decidere sulla richiesta di conversione della pena detentiva in lavori di pubblica utilità, nonostante rappresenti insegnamento consolidato di legittimità che il giudice del patteggiamento è investito del potere-dovere di verificare la sussistenza dei presupposti per concedere il beneficio, e che deve pertanto rigettare la richiesta di patteggiamento ove rilevi la sussistenza di condizioni ostative alla concessione.
La decisione della Corte di cassazione
Il primo motivo è inammissibile.
In disparte la circostanza che dal tenore dell’istanza di applicazione della pena, presentata dell’imputato in data 04/04/2023, non risulta affatto quanto sostenuto dal ricorrente, e cioè che egli avesse subordinato la richiesta di applicazione della pena alla sostituzione della stessa (le due richieste sono, anzi, anche graficamente distinte), dal testo della sentenza impugnata emerge che il PM si era opposto a tale sostituzione, essendo chiaramente specificato che questi aveva dato il suo «consenso al patteggiamento ma non anche alla chiesta conversione». Nessuna convergenza si era verificata, dunque, tra le parti sul punto, come sarebbe stato invece necessario ai fini dell’applicazione di una pena sostitutiva, la quale, si evince dal primo comma dell’art. 444 cod. proc. pen., deve formare oggetto dell’accordo. Di conseguenza, posto che l’art. 448, comma 1-bis, cod. proc. pen. (applicabile nel caso di specie ratione temporis) – coerentemente, d’altronde, con i principi che presidiano la procedura negoziata in esame – subordina l’accoglimento della richiesta da parte del giudice al riscontrato incontro delle volontà delle parti (in tal senso, quantomeno, Sez. 4, n. 33935 del 08/06/2023, non mass.; Sez. 4, n. 32694 del 23/06/2023, non mass.), anche a sorvolare sulla aspecificità del motivo di ricorso (vi si deduce una generica «erronea applicazione della legge penale in riferimento all’art. 444 cod. proc. pen.»), nel provvedimento impugnato non è dato ravvisare né un vizio relativo all’espressione della volontà dell’imputato, né un vizio relativo al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
Parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso. Ribadito quanto poc’anzi rilevato sul mancato raggiungimento dell’accordo tra le parti (che avrebbe comunque precluso la sostituzione della pena, nel caso di specie) e pure prescindendo dal fatto che la difesa ha formalmente dedotto nel ricorso un vizio di motivazione – non eccepibile in Cassazione -, nemmeno si configurerebbe, a tutto voler concedere, un profilo di illegalità della pena, unico tema deducibile con riguardo alla sanzione concordata, fermo restando che, come già precisato da questa Corte, la sostituzione della pena non rappresenta un diritto dell’imputato (Sez. 6, n. 33027 del 10/05/2023, non mass.) e che comunque, a fronte del compito di valutare la congruità della pena, il mancato rilievo circa la possibilità di sostituire la pena detentiva si risolve, nell’ambito della presente procedura, nel diniego della sostituzione e nella conferma della sola pena concordata.
Alla valutazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.
