Oggi 13 ottobre si celebrerà l’ennesima udienza avanti alla Corte di Appello di Roma per la revisione della condanna all’ergastolo di Beniamino Zuncheddu.
Seguiremo accanto al suo avvocato Mauro Trogu anche questa tappa di questo ormai lungo iter giudiziario.
Il recente clamore mediatico che ha suscitato la storia di Zuncheddu ha impresso una nuova marcia al procedimento di revisione che da settembre è stato rinviato ad oggi per ascoltare i primi testi (nella fase iniziale si erano susseguiti rinvii ben più corposi e il nostro primo report risale al 29 marzo del 2022 quando nessuno o pochi conoscevano la storia).
La vicenda giudiziaria e del successivo giudizio di revisione tuttora in corso è di quelle che dovrebbero essere raccontate e analizzate nelle facoltà di giurisprudenza, nei corsi delle scuole di specializzazione per le professioni legali, nei seminari formativi per i magistrati, dovunque ci sia interesse per le cose della giustizia.
Perché consente, o meglio impone, di riflettere sui più importanti temi della giustizia penale di oggi e di sempre: l’irriducibile umanità del giudizio a dispetto di chi si danna per dimostrarne la razionalità; l’influenza che vi possono esercitare le componenti emotive di chiunque vi abbia un ruolo qualificato (giudici, parti, testi, esperti); il dubbio e la difficoltà di riconoscerne l’esistenza ed accettarne le conseguenze processuali; la forza magnetica del giudicato e del convincimento di cui è frutto e la ritrosia a rimettere in discussione l’uno e l’altro.
Ognuno di questi aspetti è presente nella vicenda di Zuncheddu con un’ulteriore e drammatica complicazione: quest’uomo sta in carcere da più di tre decenni e potrebbe essere innocente.
Non è detto che lo sia, non è detto che il giudizio di revisione si concluda favorevolmente per lui ma c’è la possibilità che stia scontando una pena che non gli toccava.
Il perito Ignazio Garau è stato ascoltato nel novembre del 2022 ed ha depositato il suo elaborato trascrittivo sulle intercettazioni telefoniche ed ambientali che confermano quanto sostenuto dall’ex procuratrice generale di Cagliari Francesca Nanni, oggi in servizio a Milano, e dall’avvocato Mauro Trogu, difensore di Zuncheddu.
La prova che ha portato all’ergastolo Zuncheddu non è solida anzi emerge che l’unico teste oculare della vicenda non ha detto la verità.
Beniamino Zuncheddu, ad oggi, è l’autore della strage di Sinnai avvenuta nel cagliaritano l’8 gennaio 1991.
Quel giorno, in prossimità di un ovile in territorio di Sinnai, vengono uccisi Gesuino Fadda, proprietario dell’ovile, suo figlio Giuseppe e il pastore Ignazio Pusceddu e viene ferito Luigi Pinna, il teste sopravvissuto al massacro.
Luigi Pinna, marito di una delle figlie di Fadda, unico a restare vivo.
Inizialmente il testimone racconta che l’assassino aveva il volto coperto da una calza da donna e quindi non poteva riconoscere l’autore.
Le sue dichiarazioni vengono raccolte dal carabiniere Angelo Calabrese nell’ambulanza che conduce il Pinna in ospedale.
Passano i giorni e il testimone cambia versione: racconta di poter riconoscere l’aggressore che in realtà non avrebbe avuto il volto travisato.
In un riconoscimento fotografico indica Beniamino Zuncheddu quale autore della strage.
La condanna all’ergastolo arriva scontata per Beniamino Zuncheddu che da 31 anni è in carcere per un delitto che giura e spergiura di non aver commesso.
In effetti, sono molti i motivi per dubitare della colpevolezza di Beniamino Zuncheddu che per tante circostanze risulta non essere l’uomo che, con precisione “paramilitare” si è reso responsabile di un’azione “preparata nei minimi dettagli” e “non alla portata di tutti”, virgolettati, questi, corrispondenti ad altrettante considerazioni dei giudici nelle sentenze che hanno accompagnato Zuncheddu all’ergastolo.
Chi aveva agito sapeva quanti fossero e dove si trovassero i bersagli, conosceva i luoghi e aveva scelto una posizione agevole per poi colpire con sette fucilate le vittime.
Non è secondario peraltro evidenziare che la revisione del processo è stata richiesta dalla Procura generale di Cagliari che nella ponderosa richiesta di 125 pagine sottolinea le numerose circostanze incongruenti nella vicenda processuale di Zuncheddu.
Prima circostanza: Beniamino Zuncheddu ha “una spalla fuori uso dalla nascita” e dunque non avrebbe potuto imbracciare e utilizzare l’arma con la rapidità e sicurezza necessarie, tenuto conto che il killer aveva dovuto agire in pochi minuti.
Seconda circostanza: le condizioni di luce al momento del fatto e la posizione del teste oculare lasciano interdetti sulla reale possibilità che possa aver visto le fattezze dell’assassino.
La scena del crimine è stata ricostruita attentamente dai consulenti della difesa che hanno dimostrato le precarie condizioni di visuale dell’unico testimone. In particolare un colonnello dei carabinieri dell’ufficio tecniche investigative di Velletri ha ricostruito con uno scanner 3D la scena del crimine ed ha dimostrato che il teste nella posizione descritta all’interno dell’ovile non avrebbe mai potuto riconoscere le fattezze di un uomo con le condizioni di luce presenti, anche se l’assassino fosse stato a volto scoperto.
Terza circostanza: nelle 125 pagine della richiesta di revisione, l’ex procuratrice generale di Cagliari Francesca Nanni e l’avvocato Mauro Trogu sono entrambi convinti che l’unico teste abbia dichiarato il falso.
La Procura punta il dito contro il sopravvissuto (cui attribuisce una “falsa testimonianza”) e chiama in causa anche un ex sovrintendente di Polizia, tale Mario Uda, che avrebbe “sviato le indagini convincendo” Pinna “a dichiarare il falso”. Questi “forse si era convinto che Zuncheddu fosse colpevole” sulla base di fonti confidenziali e avrebbe “inquinato” le indagini facendo pressioni di vario tipo al teste oculare.
L’inquinamento delle indagini si sarebbe concretizzato quando è stata mostrata al testimone la fotografia del pastore di Burcei “in anticipo” rispetto al riconoscimento ufficiale avvenuto circa dopo 40 giorni i fatti davanti al PM. Se così fosse, “l’unica fonte di prova” a carico di Zuncheddu sarebbe “inattendibile” pur rappresentando la “prova regina per la condanna”.
Tali dubbi sono suffragati dall’iniziale versione di Pinna il quale, nell’ambulanza che lo porta in ospedale, dichiara ai carabinieri di non poter riconoscere l’assassino perché “aveva un collant da donna sul volto”; un mese e mezzo dopo aveva cambia versione e sostiene che in realtà l’assassino era a volto scoperto ed identificabile.
Era il 22 febbraio 1991. In quei quaranta giorni il teste ha avuto numerosi colloqui con agenti della Criminalpol. Un palese condizionamento del testimone.
Quarta circostanza: le trascrizioni delle intercettazioni ambientali sull’auto del testimone oculare quando nel febbraio 2020, già avviata la nuova inchiesta a Cagliari, Pinna era stato convocato in Procura generale per ricordare quanto accaduto.
Terminato il colloquio era salito in auto e, intercettato, aveva detto alla moglie, che voleva sapere cosa gli avessero chiesto: “volevano che io dicessi … volevano che io dicessi per forza che Marieddu mi ha mostrato una foto prima … non capisci: volevano che io dicessi per forza quello. Quello è accaduto!
E loro lo hanno ben capito che è così, la verità”.
Il passo è così drammaticamente esplicito che risulta inutile ogni commento o parafrasi.
Ora la parola è passata ai testi che la Corte di appello vuole sentire e resta da capire cosa potranno aggiungere alle parole intercettare e trascritte che inficiano la prova regina ed unica della condanna all’ergastolo di Beniamino Zuncheddu?
Nel frattempo Beniamino Zuncheddu avverte sulla sua pelle la stanchezza e il logorio della sua vita da recluso: “Sono 12045 giorni che sono in carcere da innocente ed ora sono stanco di resistere e voglio il riconoscimento della mia innocenza prima di morire”.
Questa frase rispecchia lo stato d’animo di un uomo entrato ragazzo in carcere ed ora vecchio prematuramente, per essere stato costretto a vivere una vita che non gli apparteneva e che ora chiede verità e giustizia.
Beniamino Zuncheddu è in carcere dal 1991, era un ragazzo di 27 anni pieno di speranze e di vita ed ora è un uomo di 60 anni invecchiato malamente.
Oggi 13 ottobre 2023 sono trascorsi quasi 33 anni dalla sua incarcerazione: un’enormità per chiunque, un obbrobrio se si trattasse di un innocente.
