Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 16930/2023, udienza del 15 febbraio 2023, chiarisce la natura e l’ambito della responsabilità delineata dall’art. 586 cod. pen. (morte o lesioni come conseguenza non voluta di un delitto doloso).
I principi affermati dalle Sezioni unite con la decisione Ronci
Le Sezioni Unite ‘Ronci, nell’esaminare la natura e l’ambito della responsabilità prevista dall’art. 586 c.p., dopo avere ricordato come, secondo unanime orientamento, morte o lesioni devono, comunque, costituire una conseguenza non voluta, e quindi non devono essere sorrette da alcun coefficiente di volontà, nemmeno nel grado minimo del dolo eventuale, giacché in tal caso l’agente risponde anche dell’ulteriore delitto di omicidio volontario o di lesioni volontarie in concorso con il delitto inizialmente voluto (Sez. I, 19.6.2002; Sez. I, 21.12.1993, m. 197756; Sez. I, 3.6.1993, m. 195270; Sez. I, 11.10.1988, m. 182196; Sez. I, 13.10.1097, m. 178194; Sez. III, 13.11.1985, m. 171945; Sez. II, 6.11.1984, m. 167810; Sez. IV, 20.12.1984, m. 169186), ai fini della individuazione della natura e del criterio di imputazione della responsabilità per la morte o le lesioni non volute ai sensi dell’art. 586 c.p., hanno considerato che la Corte costituzionale ha esplicitamente affermato che si pone in contrasto con la Cost., art. 27 la previsione sia di una responsabilità oggettiva pura o propria sia del principio qui in re illicita versatur respondit etiam pro casu.
Il principio invero, richiede, come requisito subiettivo minimo di imputazione, la colpa dell’agente in relazione a tutti gli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie, o quanto meno agli elementi più significativi di essa, ed impedisce di addebitare all’agente anche gli ulteriori eventi che a lui non sono rimproverabili.
Questo perché – continua la sentenza Ronci – “In definitiva, secondo la Corte costituzionale, non vi è posto nel nostro ordinamento per una terza forma di responsabilità colpevole, diversa da quella dolosa o colposa, e quindi la colpevolezza non potrebbe essere sostituita, a discrezione del legislatore, da altri elementi, quale il rischio da attività totalmente illecite. Ne consegue che l’unica interpretazione conforme al principio costituzionale di colpevolezza è quella che richiede, anche nella fattispecie dell’art. 586 c.p., una responsabilità per colpa in concreto, ossia ancorata ad una violazione di regole cautelari di condotta e ad un coefficiente di prevedibilità ed evitabilità, in concreto e non in astratto, del rischio connesso alla carica di pericolosità per i beni della vita e dell’incolumità personale, intrinseca alla consumazione del reato doloso di base“.
Ha poi precisato il massimo concesso di legittimità che “Ora, secondo l’opinione più diffusa, la colpa “normale” consiste nella realizzazione di un fatto non voluto, rimproverabile al soggetto per la violazione di una regola di diligenza (di prudenza, di imperizia), che discende da una valutazione positiva di prevedibilità e di evitabilità della verificazione dell’evento…. Tale valutazione, sempre secondo la tesi più diffusa, deve essere compiuta con un giudizio di prognosi postuma, collocandosi in una prospettiva ex ante, cioè riferita al momento in cui è avvenuto il fatto, da svolgersi in concreto, secondo il punto di vista di un omologo agente modello, ossia di un agente ideato mentalmente come coscienzioso ed avveduto che si trovi nella concreta situazione e nel concreto ruolo sociale dell’agente reale. Anche in ambito illecito, pertanto, occorre pur sempre che il fatto costitutivo del reato colposo sia una conseguenza in concreto prevedibile ed evitabile dell’inosservanza di una regola cautelare” (Sez. U, n. 22676 del 22/01/2009 Ud. (dep. 29/05/2009), Ronci, Rv. 243381, in motivazione).
Dunque, ai fini della imputazione della conseguenza ulteriore non voluta di un reato-base doloso, la colpa non può essere presunta in forza della sola violazione della legge incriminatrice del reato doloso. Occorre, invece, che l’agente abbia violato una regola cautelare diversa dalla norma che incrimina il delitto base, e che sia specificamente diretta a prevenire la morte o le lesioni personali, richiedendosi una valutazione positiva di prevedibilità ed evitabilità in concreto dell’evento, compiuta ex ante, sulla base del comportamento che sarebbe stato tenuto da un omologo agente modello, tenendo peraltro conto di tutte le circostanze della concreta e reale situazione di fatto. Si dovrà, pertanto, verificare se, dal punto di vista di un agente modello, nella situazione concreta, risultava prevedibile l’evento morte come conseguenza della condotta illecita tenuta dall’agente.
Morte conseguente all’assunzione di sostanza stupefacente ceduta da terzi
Questo comporta, con specifico riferimento alla situazione, qui rilevante, della morte conseguita alla assunzione di sostanza stupefacente ceduta da terzi, che l’evento sarà imputabile al cedente a titolo di colpa, ove dalle circostanze del caso concreto risulti evidente un concreto pericolo per l’incolumità dell’assuntore o comunque rimanga un dubbio in ordine alla effettiva pericolosità dell’azione, tali da dovere indurre l’agente ad astenersi dall’azione.
Nella casistica giurisprudenziale si è affermato che al cedente lo stupefacente è richiesto un particolare livello di attenzione e di prudenza, sicché lo stesso potrà essere ritenuto in colpa qualora non si sia astenuto dal cedere lo stupefacente dinanzi ad una circostanza dal significato equivoco o, comunque, quando abbia ignorato una circostanza pericolosa o sia caduto in errore sul suo significato e l’ignoranza o l’errore siano determinati da colpa e siano, quindi, a lui rimproverabili perché non inevitabili.
…Casistica
Così, si è ravvisata la responsabilità in un caso in cui l’acquirente della sostanza presentava caratteristiche esteriori di fragilità fisiche (Sez. 6, n. 5348 del 09/12/1989, Rv. 184004); in un caso in cui la stessa vittima aveva dichiarato allo spacciatore di essere alla sua prima esperienza di assuntore di droga (Sez. 3, n. 41462 del 02/10/2012, Rv. 253606); in un’altra fattispecie, in cui si era verificata la ripetuta vendita di cocaina, a breve distanza di tempo e destinata all’assunzione dello stesso soggetto, si è ritenuto integrata la violazione di una regola cautelare idonea a configurare la colpa in capo allo spacciatore e, quindi, ad imputare psicologicamente allo stesso l’evento morte dell’acquirente, verificatosi a distanza di poche ore (Sez. 4, n. 8058 del 23/09/2016 (dep. 2017) Rv. 269127).
La colpa è stata ravvisata anche in particolari circostanze attinenti alla quantità, natura e qualità della sostanza ceduta, come nel caso in cui lo spacciatore predisponga dosi a composizione diversa da quelle usuali o miscelate con sostanze diverse, con consapevolezza della probabilità di maggiori rischi per la vita del consumatore. (Sez. 6 n. 49573 del 19/C19/2018, Rv. 274277, in un caso in cui era emerso che l’imputato era consapevole del fatto che la sostanza stupefacente ceduta presentava un’elevata concentrazione di principio attivo, tale da essere potenzialmente pericolosa per gli assuntori).
