È questione di destino.
La stragrande maggioranza degli esseri umani è destinata all’oblio: nascono, vivono, muoiono e passato un certo numero di anni nessuno se ne ricorda più.
La piccolissima parte restante ha una sorte ben diversa: per una qualche ragione è ricordata a distanza di secoli e millenni.
Di questa cerchia sparuta fa sicuramente parte la “moglie di Cesare”.
Uso le virgolette per sottolineare due caratteristiche imposte forzosamente a questa donna: l’anonimizzazione (il suo nome scompare, cedendo allo status coniugale) e l’astrazione (come si vedrà, se ne fa un modello astratto di virtù che prescinde dalla sua vita reale).
Penso sia ora di rimediare a questi due torti: se fu giusto dare a Cesare quel che è di Cesare, è altrettanto giusto oggi dare a sua moglie quel che le spetta.
Cominciamo restituendole il suo nome.
La moglie di Cesare – la sua seconda moglie per la precisione – si chiamava Pompea Silla ed era nipote per parte materna del famoso Lucio Cornelio Silla: una dama dell’alta società romana, dunque.
La sua fama imperitura è legata ad un episodio controverso.
Caio Giulio Cesare era il candidato più accreditato e autorevole per la carica di pontefice massimo, il grado più alto nella gerarchia religiosa romana, cui conseguivano un prestigio e un’influenza pubblica che andavano ben oltre la sfera propriamente religiosa; quella carica, unita ai meriti di condottiero militare già acquisiti da Cesare, lo avrebbe reso il più eminente tra i protagonisti della Repubblica.
Come nelle previsioni, Cesare divenne il pontefice massimo ma il fato era pronto a manifestarsi.
Due anni dopo l’elezione si festeggiava in casa sua la festa della Bona Dea, un’antica e misteriosa divinità cui i romani si rivolgevano invocando pace e prosperità.
I riti di preparazione erano di esclusiva competenza femminile e ai maschi era addirittura proibito rimanere in casa fino al loro completamento.
Accadde tuttavia che tale Publio Clodio, travestendosi con abiti femminili, riuscì ad intrufolarsi nella casa di Cesare e ad intrattenersi con Pompea che – si dice – era la sua amante.
A dispetto delle cautele usate da Clodio, la sua presenza fu notata e l’uomo fu cacciato via con tutto lo sdegno del caso.
Non fu e non poteva essere un misfatto qualsiasi: era avvenuto nella casa del pontefice massimo e aveva offeso non solo lui ma anche una dea oggetto della massima venerazione: il privato diventò immediatamente politico e pubblico e generò una conseguenza giudiziaria.
Un tribuno della plebe accusò Clodio di empietà e fu avviato conseguentemente un processo, anche allora la giustizia era come il prezzemolo.
Cesare, che nel frattempo si era sbarazzato di Pompea ripudiandola, fu chiamato a testimoniare.
Gli fu chiesto se fosse a conoscenza dell’accaduto e negò con decisione.
L’esaminatore insistette, chiedendogli come spiegasse allora di avere ripudiato la moglie se la riteneva innocente.
E Cesare se ne venne fuori con la frase che non finirà più di perseguitarci: alla moglie di Cesare non basta essere onesta, deve anche sembrare tale.
A distanza di oltre duemila anni, ci tocca sentire in continuazione queste parole, citate per ogni dove.
La cosa singolare è che la si usa quasi esclusivamente in riferimento a due categorie, politici e magistrati, con l’ulteriore singolarità che gli uni se ne servono a proposito degli altri in un rimpallo senza fine.
In questi giorni, ad esempio, quasi non c’è commentatore che non l’abbia citata riferendosi al decreto di non convalida di un provvedimento di trattenimento di un cittadino straniero emesso da un giudice della sezione immigrazione del tribunale di Catania.
Si sta continuamente ricordando a questo giudice che la “moglie di Cesare” bla bla bla.
Come si è visto, tuttavia, la moglie di Cesare è soltanto un’icona astratta.
La creò Cesare, da quell’abile stratega che era, per accrescere la sua immagine pubblica di uomo pronto al sacrificio dell’affetto più caro, quello per Pompea, pur di mostrare urbi et orbi che le sue priorità erano ben chiare: prima l’interesse della Repubblica e solo dopo il resto.
Fu puro cinismo, ancorché politico, se solo si considera che Cesare esercitò poteri la cui concentrazione e intensità erano la più evidente smentita del suo attaccamento alle istituzioni repubblicane.
Lo stesso vale oggi.
Il più delle volte, chi invoca la moglie di Cesare lo fa attribuendo ad altri gli obblighi che ne derivano e contemporaneamente esonerandone se stesso: come dire che non è mai la propria moglie ma sempre e solo quella degli altri.
Lasciamola riposare in pace la povera Pompea: già non deve essere stato facile essere sposata ad un pontefice massimo rampante e in carriera, non infliggiamole l’ulteriore torto di farne lo scudo per le nostre beghe.
