La cassazione sezione 1 con la sentenza numero 40035 del 3 ottobre 2023 ha censurato il provvedimento di diniego del Magistrato di Sorveglianza di Roma che non ha provveduto sulla richiesta proveniente dal difensore e procuratore speciale di G.A. che nell’ambito di indagini difensive per una revisione chiedeva l’autorizzazione ad esaminare un collaboratore di giustizia.
Fatto
Il Magistrato di sorveglianza di Roma ha dichiarato il non luogo a provvedere sulla richiesta del difensore di autorizzazione a svolgere indagini difensive, nella specie assunzioni di informazioni da un collaboratore di giustizia ai sensi dell’articolo 391.bis c.p.p., preordinate al promovimento di un giudizio di revisione di una sentenza di condanna definitiva pronunciata nei confronti del proprio assistito.
Il Magistrato di sorveglianza ha affermato la mancanza di legittimazione attiva del difensore istante, assumendo che la richiesta dovesse provenire direttamente dal detenuto e non da terzi soggetti, i quali si sarebbero dovuti rivolgere ad altre autorità giudiziarie non specificate.
Decisione
La cassazione rileva l’abnormità del provvedimento e premette che l’art. 391-bis, comma 7 cpp, attribuisce espressamente al magistrato di sorveglianza il potere di autorizzare i difensori all’esercizio dell’attività investigativa ove essa debba esplicarsi nell’assunzione di dichiarazioni da soggetto detenuto in espiazione pena.
È opportuno ricordare con riferimento alle misure alternative alla detenzione richieste dai collaboratori di giustizia che “la previsione della competenza esclusiva attribuita al Tribunale di sorveglianza di Roma risponde alla necessità di garantire la maggiore protezione possibile ai collaboratori di giustizia, impedendo che si possa risalire al luogo ove costoro sono ristretti o comunque sottoposti a regime protettivo … non soltanto perché la Commissione centrale per i servizi di protezione è in grado di fornire ogni chiarimento agli organi giurisdizionali preposti alla sorveglianza, ma anche perché questi ultimi possono avvalersi di tutte le articolazioni degli istituti penitenziari per l’osservazione del percorso rieducativo dei collaboratori detenuti in strutture carcerarie non comprese nella circoscrizione dell’ufficio romano” Corte Costituzionale sentenza n. 227 del 1999.
Fatta la doverosa premessa la Suprema Corte si sofferma sul provvedimento impugnato, esso deve essere ritenuto abnorme e quindi impugnabile (Cassazione sezione 1, n. 46437/2019).
Il provvedimento si limita ad un “non liquet” che esorbita dal sistema processuale e determina una stasi procedimentale non altrimenti superabile.
Va rilevato, che il provvedimento impugnato non risponde alla richiesta difensiva – da considerarsi legittima alla luce dell’articolo 391-bis, comma 7 c.p.p. – rinviando a non meglio specificate altre autorità giudiziarie, senza esplicitare le ragioni di una sua eventuale incompetenza e senza indicare l’autorità giudiziaria ritenuta competente, così determinando una insuperabile stasi del procedimento volto all’autorizzazione di legittima attività difensiva.
Il linguaggio giuridichese attenua l’evidente fenomelogia della Supercazzola che pervade il provvedimento del magistrato di sorveglianza di Roma.
Vi ricordate nel film Amici Miei il Conte Mascetti (Ugo Tognazzi) alle prese con il vigile urbano?
Beh diciamo che indicare il difensore procuratore speciale come soggetto terzo e rimandare a non meglio specificate “altre autorità giudiziarie” ricorda tanto la “tarapia tapioco come se fosse antani con la supercazzola prematurata, con lo scappellamento a destra”.
Senza voler mancare di rispetto al Conte.
