Teste inafferrabile: revocabile l’ammissione della testimonianza a protezione della ragionevole durata del processo (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 4 con la sentenza numero 39171/2023 ha ricordato che il giudice, ai sensi dell’art. 495, comma 4, cod. proc. pen., può revocare una prova testimoniale già ammessa non solo quando essa, rispetto al materiale probatorio già assunto nel contraddittorio tra le parti, non appaia più decisiva ma anche quando non sia più utile, perché incompatibile con il principio di ragionevole durata del processo.

Fattispecie in cui la Cassazione ha ritenuto corretta la revoca dell’ammissione di un teste ammesso per la sua superfluità non senza evidenziare al contempo come fosse divenuto di fatto impossibile il suo esame stante l’esito infruttuoso delle ricerche disposte (circostanza che di fatto impediva anche la possibilità di disporre l’accompagnamento coattivo).

Nessuna violazione del diritto di difendersi provando emerge in questo caso, ché, anzi, pretendere che si proceda all’assunzione della prova testimoniale, pur in presenza di una condotta chiaramente sintomatica della volontà del teste di sottrarsi all’esame dibattimentale, potrebbe configurare un’ipotesi di abuso del processo, in quanto oggettivamente finalizzata a procrastinare nel tempo, senza giustificata ragione, la definizione del procedimento (cfr. Cass., sez. V n. 23884 del 1.3.2019, rv. 277244).

La Suprema Corte sottolinea che in linea di principio la mancata successiva acquisizione in dibattimento di una prova già ammessa, perché ritenuta utile e rilevante, non è di per sé illegittima, in quanto, da un lato, ciascuna parte può, con il consenso dell’altra, rinunciare all’assunzione delle prove ammesse a sua richiesta, dall’altro, il giudice, sentite le parti, può revocare con ordinanza l’ammissione di prove che risultano superflue (art. 495, co. 4 e 4 bis, c.p.p.).

La giurisprudenza di legittimità, affrontando il tema della revoca di una prova testimoniale ammessa su richiesta di parte, in una serie di significativi arresti, ha evidenziato come sia viziata da nullità relativa l’ordinanza con la quale il giudice abbia revocato il provvedimento di ammissione dei testi della difesa in difetto di motivazione sul necessario requisito della loro superfluità, integrando una violazione del diritto della parte di “difendersi provando”, stabilito dal comma secondo dell’art. 495, c.p.p., corrispondente al principio della “parità delle armi” sancito dall’art. 6, comma terzo, lett. d), della CEDU, al quale si richiama l’art. 111, comma secondo, della Costituzione in tema di contraddittorio tra le parti (cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, n. 2511 del 24/11/2016, rv. 269050).

Allo stesso tempo, sempre in sede di interpretazione del contenuto precettivo dell’art. 495, co. 4, secondo periodo, c.p.p., si è opportunamente chiarito come tale disposto preveda solo la revoca delle prove superflue.

Il diritto di difendersi provando, pertanto, viene leso se la revoca non è giustificata, dovendosi ritenere, per converso, consentita, perché giustificata, con particolare riferimento alla prova testimoniale, pur decisiva, la revoca di una testimonianza precedentemente ammessa, determinata da malattia o da irreperibilità del teste (cfr. Cass., sez. VI, n. 4036 del 12.1.1994, rv. 197969).

Resta naturalmente salva la possibilità per ciascuna delle parti processuali di rinunciare alla prova testimoniale di cui ha chiesto ed ottenuto l’ammissione, anche attraverso un comportamento processuale concludente, come, ad esempio, la mancata citazione del teste per l’udienza.

Un comportamento, vale a dire, che può essere legittimamente valutato dal giudice come significativo della volontà della parte richiedente di rinunciare alla prova già ammessa, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, tale da imporre di non rinviare l’assunzione della prova ad una udienza successiva, in quanto ciò comporterebbe una ingiustificata dilazione dei tempi della decisione, incompatibile con il principio della ragionevole durata del processo (cfr., ex plurimis, Cass., sez. III, n. 20851 dell’11.3.2015, rv. 263774).

Nell’esercizio del potere discrezionale di revoca di una prova testimoniale in precedenza ammessa, pertanto, il giudice dovrà trovare un punto di equilibrio tra due valori costituzionali di fondamentale rilievo: il diritto della parte di difendersi attraverso l’assunzione della prova di cui ha chiesto l’ammissione e il principio della ragionevole durata del processo.

Ed una volta che tale potere sia stato esercitato, anche valutando le condotte dei soggetti processuali, attraverso un percorso motivazionale logicamente coerente e non in contrasto con le regole del giusto processo, esso non sarà censurabile in sede di legittimità. 

Quanto in particolare al teste B. G., della cui mancata escussione si duole il ricorso in scrutinio, si deve evidenziare che l’ordinanza di revoca emessa all’udienza del 19.7.2019, alla presenza della difesa, ha adeguatamente motivato sulla revoca del teste ammesso per la sua superfluità non senza evidenziare al contempo come fosse divenuto di fatto impossibile il suo esame stante l’esito infruttuoso delle ricerche disposte (circostanza che di fatto impediva anche la possibilità di disporre l’accompagnamento coattivo).