Revoca dell’affidamento in prova: criteri per l’eventuale scomputo dalla pena del periodo scontato in precedenza (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 39680/2023, udienza camerale del 27 aprile 2023, si diffonde sulle conseguenze della revoca dell’affidamento in prova al servizio sociale ai fini dell’eventuale scomputo del periodo precedente alla revoca.

La doglianza del ricorrente afferisce alla tematica della decorrenza della revoca della misura alternativa, e lamenta che nella specie essa sia stata fissata ex tunc, senza considerazione della documentazione prodotta dalla difesa per contrastare la comunicazione di notizia di reato del 24/11/2021.

Vanno considerate sul punto le argomentazioni svolte dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 343 del 1987. In tale pronuncia additiva è stato riconosciuto al Tribunale di Sorveglianza un ampio potere discrezionale, essendosi stabilito che, dopo la revoca della misura alternativa dell’affidamento in prova ex art. 47 O.P., per determinare il periodo della residua pena detentiva da espiare, il giudice deve tenere conto della durata delle limitazioni patite dal condannato e del suo comportamento soggettivo e oggettivo, durante il corso dell’esperimento.

L’intervento del Giudice delle leggi è seguito agli opposti orientamenti giurisprudenziali dell’epoca: quello prevalente riteneva che la revoca operasse retroattivamente, col ripristino dell’originario rapporto punitivo dal suo inizio; quello minoritario sosteneva doversi scomputare il periodo trascorso in affidamento prima del provvedimento di revoca, ovvero (almeno) quello precedente al fatto causativo.

Orbene, la Corte Costituzionale non ha preso posizione in favore di un automatismo di espansione di un periodo minimo da calcolarsi espiato, ma ha rilevato l’esistenza di una “ampia zona grigia” di situazioni discrezionalmente rimesse alla valutazione del giudice di sorveglianza, che può spaziare senza limiti purché la decisione sia sorretta da congrua e coerente argomentazione.

L’esegesi di legittimità in tema di revoca dell’affidamento in prova al servizio sociale, ha poi specificato che ai fini della determinazione del residuo periodo di pena da espiare, il giudice deve motivare in ordine alla decorrenza della revoca prendendo in esame non solo la gravità oggettiva e soggettiva del comportamento che ha dato luogo ad essa, ma anche la condotta complessivamente tenuta dal condannato durante il periodo di prova trascorso e la concreta incidenza delle prescrizioni imposte a suo carico (Sez. 1, n. 9314 del 19/02/2014, Rv. 259474; in senso conforme, Sez. 1, n. 490 del 03/11/2015, dep. 2016, Rv. 265859).

Va peraltro sottolineato che, come è stato ripetutamente affermato (Sez. 1, n. 13376 del 18/2/2019, Rv. 275239; Sez. 1, n. 27713 del 6/6/2013, Rv. 256367; Sez. 1, n. 2566 del 7/5/1998, Rv. 210789), la revoca dell’affidamento in prova al servizio sociale non è rapportata alla pura e semplice violazione della legge penale o delle prescrizioni dettate dalla disciplina della misura stessa, ma all’ipotesi che il giudice, nel suo insindacabile apprezzamento di merito, ritenga che le predette violazioni costituiscano in concreto un fatto incompatibile con la prosecuzione dell’esperimento; il relativo giudizio è rimesso alla discrezionalità del Tribunale di sorveglianza, che ha solo l’obbligo di giustificare l’uso del potere conferitogli, con motivazione logica ed esauriente. E con specifico riferimento alla decorrenza della revoca, è stato chiarito, in linea con i principi di proporzionalità e adeguatezza della pena indicati dalla Corte costituzionale nella sentenza del 29 ottobre 1987, n. 343, che il giudice può disporre la revoca della misura con effetto ex tunc quando il comportamento del condannato sia stato così negativo da rivelare l’inesistenza ab initio di un’adesione al processo rieducativo (Sez. 1, n. 4687 del 27/11/2019, dep. 2020, Rv. 278178; Sez. 1, n. 2667 del 18/10/2011, dep. 2012, Rv. 251844; Sez. U, n. 10530 del 27/02/2002, Rv. 220878; Sez. 1, n. 23943 del 13/6/2001, Rv. 219477).