L’art. 1 della carta costituzionale segreta secondo Leonardo Sciascia (di Vincenzo Giglio)

Un quarto di secolo fa Leonardo Sciascia pubblicò per Adelphi il romanzo Il cavaliere e la morte.

Apparteneva dichiaratamente al genere “sotie” (parola che, peraltro, costituisce il sottotitolo del libro), nato in Francia e diffuso tra il quindicesimo e il sedicesimo secolo, di tipo satirico-allegorico ma con finalità di critica politica o religiosa.

Le opere del genere avevano un uso teatrale ed erano interpretate dai sots (letteralmente sciocchi), attori che interpretavano il ruolo di buffoni e godevano quindi dell’impunità solitamente riconosciuta a costoro: come dire che solo i folli potevano criticare il potere perché criticare il potere era folle.

Prendo a prestito per la descrizione della trama il contenuto del risvolto di copertina del libro:

Il protagonista di questo romanzo è un commissario di polizia, il cui solo nome qui è Vice: sostituto, forse di qualcosa che non c’è affatto, supplente di una realtà già scomparsa, o dilatata fino a diventare irreale, come la moneta in tempo di inflazione. Nella mente di Vice, molto malato, sembra svolgersi la storia che leggiamo: storia di un biglietto minaccioso e misterioso scambiato fra due Potenti a un pranzo, scambio a cui fa subito seguito l’assassinio di uno dei due e l’indagine della polizia sull’altro, avviata con l’ansia di scagionarlo. Ma ciò che si sprigiona nella realtà da quel biglietto scambiato non è solo un delitto: una intera associazione eversiva, i figli dell’ottantanove, è forse nata in quel momento, e da allora non può che dilagare nella realtà, come un ultimo miraggio di sangue e insieme come beffardo contributo alle celebrazioni per l’anniversario della Rivoluzione francese. Mentre l’azione si dipana, mutandosi in un potente apologo, il Vice tiene sempre nella mente l’incisione di Dürer intitolata Il cavaliere, la morte e il diavolo, che lo ha accompagnato sulle pareti di tante stanze, nelle sue peregrinazioni da un ufficio all’altro, come se in quell’immaginazione stesse il segreto di ciò che avviene intorno a lui. Solo che il mondo, ormai, sembra poter fare a meno del Diavolo. Forse perché ormai «il Diavolo era talmente stanco da lasciar tutto agli uomini, che sapevano fare meglio di lui»”.

Tra le tante perle del libro, mi piace citare un breve scambio tra il commissario Vice e il dr. Rieti, un ex agente segreto che lo aiuta nelle indagini sulla morte dell’avvocato Sandoz e che per questo pagherà con la vita.

Vice: «Si può sospettare, dunque, che esista una segreta carta costituzionale che al primo articolo reciti: La sicurezza del potere si fonda sull’insicurezza dei cittadini».

Rieti: «Di tutti i cittadini, in effetti: anche di quelli che, spargendo insicurezza, si credono sicuri…».

Solo una finzione letteraria, chiaro, ma tale da riportare alla mente il concetto di “costituzione materiale”: non nell’accezione di criterio significante essenziale che gli diede Costantino Mortati ma in quello ben più svilito del complesso delle forze politiche e dei cosiddetti poteri di fatto che determinano in un certo periodo il funzionamento delle istituzioni.

Potrebbe avere un senso extra-letterario attuale il sospetto di Vice?

E potrebbe essere vera la convinzione di Rieti che l’insicurezza, una volta creata e diffusa, sia capace di fare vittime anche tra i suoi artefici?

Solo Sciascia potrebbe rispondere a queste domande, un vero peccato che non possa più farlo.