Applicabilità delle misure di prevenzione a detenuti in espiazione pena: l’orientamento interpretativo vigente (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 36246/2023, udienza del 30 giugno 2023, offre un’approfondita ricognizione insieme normativa e giurisprudenziale della possibilità di ritenere socialmente pericoloso, a fini dell’irrogazione di una misura di prevenzione, il detenuto in espiazione di pena.

La giurisprudenza delle Sezioni unite penali: la decisione Tumminelli

Occorre prendere le mosse, nell’affrontare il caso sottoposto all’odierno vaglio, dalla fondamentale decisione delle Sezioni Unite, n. 6 del 25/3/1993, Tumminelli, Rv. 194063, che ha affermato il principio, per cui «La sola condizione richiesta per l’applicabilità di una misura di prevenzione è l’esistenza della pericolosità sociale del proposto, che va accertata con esclusivo riferimento al momento in cui viene emessa la decisione che l’afferma. Ne consegue che, una volta che la pericolosità sia stata riconosciuta esistente al momento della decisione, la misura deve essere disposta, senza che sia impedita dalla possibilità di futuri mutamenti della personalità del soggetto».

…la decisione Gallo

Tale principio è stato completato e precisato da un successivo intervento del massimo consesso nomofilattico, che ha statuito: «La misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza è applicabile anche nei confronti di persona detenuta, sicché, dovendosi distinguere tra momento deliberativo e momento esecutivo della misura di prevenzione e attenendo la sua incompatibilità con lo stato di detenzione del proposto unicamente alla esecuzione della misura stessa, questa può avere inizio solo quando tale stato venga a cessare, ferma restando la possibilità per il soggetto di chiederne la revoca, per l’eventuale venire meno della pericolosità in conseguenza dell’incidenza positiva sulla sua personalità della funzione risocializzante della pena» (Sez. U, n. 10281 del 25/10/2007, dep. 2008, Gallo, Rv. 238658).

…la questione risolta dalla decisione Tumminelli: se sia applicabile la misura di prevenzione al detenuto in espiazione di pena

Sez. U “Tumminelli”, chiamate a risolvere il contrasto sulla questione concernente l’interrogativo se la misura di prevenzione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza, allora prevista dall’art. 3 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, fosse applicabile a persona detenuta in espiazione di pena, confermarono l’indirizzo favorevole all’adozione della misura della sorveglianza speciale anche nei confronti del detenuto in espiazione di pena.

Si riportano i passaggi essenziali:

«Tenendo presente la distinzione, che si palesa rilevante ai fini interpretativi, tra i due momenti dell’applicazione e dell’esecuzione della misura della sorveglianza speciale, e posto che manca nella legge un’espressa disciplina dei rapporti fra sorveglianza speciale e detenzione per precedente reato, il collegio ritiene di dover risolvere il contrasto sottopostogli confermando l’indirizzo giurisprudenziale favorevole all’adozione della misura della sorveglianza speciale anche nei confronti del detenuto in espiazione di pena, con le puntualizzazioni di cui più avanti.

Come accennato, nella legge n. 1423 non si ritrova alcuna norma che osti all’applicabilità della sorveglianza speciale nei confronti di chi sia stato in stato di detenzione per precedente reato nel momento in cui il tribunale è chiamato a decidere: non l’art. 10 che regola il conflitto tra misure di sicurezza e misure di prevenzione; non l’art. 11 che prevede un nuovo decorso del termine stabilito per la sorveglianza quando il sorvegliato debba espiare una pena per reato commesso durante l’applicazione della misura; non l’art. 12 cpv. che prevede la non computabilità del tempo trascorso in custodia preventiva o in espiazione di pena nella durata dell’obbligo di soggiorno […]

deve ribadirsi che, come questa corte ha sempre ritenuto, la sola condizione richiesta per l’applicabilità di una misura di prevenzione è l’esistenza della pericolosità sociale, e che questa va accertata con esclusivo riferimento al momento in cui viene emessa la decisione che l’afferma (così: Sez. 1, 2 dicembre 1970; Sez. 1, sent. 30 gennaio 1987; Sez. 1, sent. 26 aprile 1989; Sez. 1, 21 settembre 1989).

Pertanto, una volta che la pericolosità sia stata riconosciuta esistente al momento della decisione, la misura deve essere disposta, senza che sia impedita dalla possibilità di futuri mutamenti della personalità del soggetto […]

In conclusione, la tesi dell’incompatibilità tra sorveglianza speciale ed espiazione di pena detentiva dev’essere respinta anche perché essa condurrebbe alla grave conseguenza – contraria al descritto sistema della legge n. 575 del 1965 – di rendere inapplicabili le misure patrimoniali da questa legge volute e di frustrare, rinviandole a dopo la cessazione della pena, l’esigenza di urgenza e prontezza che è alla loro base».

Giurisprudenza successiva

Il principio-guida, enunciato da Sez. U “Tumminelli”, ribadito e precisato da Sez. U “Gallo”, ha dato luogo a un consolidato orientamento ermeneutico che ha consentito, in seguito, di affermare l’applicabilità della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza anche a persona detenuta in espiazione dell’ergastolo, rispetto alla quale – si è detto – il presupposto dell’attualità della pericolosità può essere valutato nonostante lo stato di detenzione, giacché la pena in questione, quantunque, in linea di principio, perpetua e, come tale, teoricamente ostativa all’esecuzione della misura di prevenzione, è di fatto suscettibile di estinzione attraverso numerosi istituti previsti dall’ordinamento penale e, quindi, non è incompatibile con l’eseguibilità della misura stessa, alla quale è possibile dare corso una volta cessato lo stato detentivo del condannato, sempre che ne permanga la pericolosità sociale (Sez. 6, n. 40270 del 27/6/2018, Rv. 273845; Sez. 6, n. 49881 del 6/12/2012, Rv. 253672).

Tale orientamento non è rimasto scalfito dai successivi sviluppi giurisprudenziali e normativi, tenuto conto, a quest’ultimo riguardo, del carattere prevalentemente ricognitivo e di coordinamento del c.d. ‘Codice antimafia’ (d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159) e di quant’altro si dirà.

Giurisprudenza costituzionale: la sentenza n. 291/2013

Merita, in primo luogo, considerazione la sentenza n. 291 del 2013, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dell’art. 12 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, nonché, in via consequenziale, del subentrato art. 15 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, nella parte in cui tali disposizioni non prevedono che – nel caso di sospensione dell’esecuzione di una misura di prevenzione personale a causa dello stato di detenzione, per espiazione di pena, del sottoposto – l’organo giudiziario che ha adottato la misura valuti, anche d’ufficio, la persistenza della pericolosità sociale dell’interessato, al momento della cessata espiazione della pena ed ai fini dell’eventuale nuova applicazione della misura di prevenzione.

Dopo avere ricordato che costituisce ‘diritto vivente’, da una parte, l’applicabilità delle misure di prevenzione personali a soggetti in stato di detenzione per titolo definitivo, “giacché la sola condizione richiesta a tal fine è la pericolosità sociale, da accertare con riferimento al momento in cui viene emessa la decisione che la afferma”, e, dall’altra, l’incompatibilità tra misura di prevenzione personale e stato di detenzione in rapporto alla fase esecutiva, che andrà, dunque, necessariamente differita al momento in cui detto stato sia venuto a cessare, la Corte costituzionale ha considerato tale sistema non rispondente ai canoni dell’eguaglianza e della ragionevolezza nel raffronto con quello relativo alle misure di sicurezza, anch’esse fondate sulla pericolosità sociale.

Al riguardo, ha rilevato che tra il modello delle misure di sicurezza, che esige la reiterazione della verifica della pericolosità sociale anche al momento dell’esecuzione, e quello delle misure di prevenzione, che considera sufficiente la verifica operata in fase applicativa, salva l’eventuale iniziativa dell’interessato intesa a contrastarla, è preferibile il primo che tiene conto del dato pacifico che “il decorso di un lungo lasso di tempo incrementa la possibilità che intervengano modifiche nell’atteggiamento del soggetto nei confronti dei valori della convivenza civile” specie se l’interessato è persona, come il detenuto in espiazione pena definitiva, che, durante tale lasso temporale, è sottoposta ad un trattamento specificamente volto alla sua risocializzazione. Non può trovare ingresso una presunzione, pure solo iuris tantum, di persistenza della pericolosità malgrado il trattamento, insita in un assetto che attribuisca alla verifica della pericolosità operata in fase applicativa una efficacia sine die, salvo che non intervenga una sua vittoriosa contestazione da parte dell’interessato. Ciò che rileva, infatti, anche nel settore delle misure di prevenzione, è che la pericolosità sociale sia comunque attuale anche nel momento in cui la misura viene eseguita, “giacché, in caso contrario, le limitazioni della libertà personale nelle quali la misura stessa si sostanzia rimarrebbero carenti di ogni giustificazione”.

Ciò non toglie – conclude il Giudice delle leggi – che resti rimessa all’applicazione giudiziale l’individuazione delle ipotesi nelle quali la reiterata verifica della pericolosità sociale possa essere ragionevolmente omessa, a fronte della brevità del periodo di differimento dell’esecuzione della misura di prevenzione.

Modifiche alla disciplina normativa del 2017 (innesto dei commi 2-bis e 2-ter nell’art. 14, Codice antimafia)

Successivamente è intervenuto il legislatore, che ha dettato apposita disciplina di recepimento, novellando, per effetto dell’art. 4, comma 1, legge 17 ottobre 2017, n. 161, l’art. 14 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, nel quale sono stati inseriti i commi2-bis e 2-ter.

Secondo le nuove disposizioni, l’esecuzione della sorveglianza speciale rimane sospesa durante il tempo in cui l’interessato è sottoposto alla misura della custodia cautelare (comma 2-bis) o a detenzione per espiazione di pena (comma 2-ter).

Nel caso di detenzione per espiazione pena ultra-biennale, è necessaria la verifica della attuale pericolosità del proposto ad opera del tribunale, anche d’ufficio. Il tribunale competente deve, ai fini del decidere, assumere le necessarie informazioni presso l’amministrazione penitenziaria e l’autorità di pubblica sicurezza. Se la pericolosità sociale è cessata, il tribunale emette decreto con cui revoca il provvedimento di applicazione della misura di prevenzione; se, invece, persiste, il tribunale ordina l’esecuzione della misura di prevenzione, il cui termine di durata continua a decorrere dal giorno in cui il decreto stesso è comunicato all’interessato.

Nel sistema delineato dai citati commi 2bis e 2-ter dell’art. 14 d.lgs. n. 159 del 2011, in attuazione della sentenza della Corte costituzionale n. 291 del 2013, la detenzione di lunga durata determina la sospensione dell’esecuzione della misura di prevenzione. Tale sospensione non cessa automaticamente con la fine della detenzione, ma permane fino a quando il tribunale competente non accerti la persistenza delle pericolosità dell’interessato.

La nuova verifica di pericolosità rappresenta, pertanto, una condizione di efficacia della misura di prevenzione, in difetto della quale non può neppure configurarsi il reato di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, previsto dall’art. 75 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159. (Sez. U, n. 51407 del 21/6/2018, M., Rv. 273952).

Conseguente necessità della rivalutazione della pericolosità sociale del prevenuto la cui misura sia stata sospesa oltre due anni per espiazione pena

Tenuto conto della ratio della riforma, che è quella di attualizzare periodicamente la valutazione di pericolosità sociale già effettuata in sede di applicazione della misura, in stretta correlazione all’immutata possibilità di disporla, in presenza presupposti, anche nei confronti dei proposti detenuti, il comma 2-ter deve essere interpretato nel senso di imporre la rivalutazione della pericolosità, ai fini dell’efficacia della misura, ogni qual volta il periodo di sospensione dell’esecuzione della sorveglianza speciale, a causa dello stato di detenzione per espiazione pena, abbia superato i due anni.

In favore di tale opzione ermeneutica depone il tenore letterale della disposizione, che ricollega la durata biennale solo alla detenzione patita in costanza della sospensione della sorveglianza speciale già applicata e non alla detenzione patita prima dell’applicazione della misura di prevenzione personale.

Pertanto, la rivalutazione della pericolosità del proposto costituisce condizione di efficacia della misura non quando la sorveglianza speciale debba essere eseguita nei confronti di un soggetto rimasto detenuto per più di due anni„ a prescindere dall’epoca in cui è stato emesso il decreto che l’ha disposta, ma solo se sia decorso un biennio tra la data in cui è stato  emesso tale provvedimento e la sua messa in esecuzione (Sez. 1, n. 15396 del 17/1/2023, Rv. 284482).

Indirizzo interpretativo attuale

Come è dato desumere dalla premessa ricostruzione del quadro giurisprudenziale e normativo aggiornata all’attualità, l’indirizzo interpretativo che la stessa Corte costituzionale definì aver assunto le connotazioni di ‘diritto vivente’ non è stato in alcun modo messo in crisi dall’intervento del legislatore del 2017, che ha lasciato immutata la distinzione dei piani attinenti, da un lato, ai presupposti di applicabilità della misura di prevenzione personale (pericolosità sociale attuale) e, dall’altro, ai presupposti della sua eseguibilità in concreto, subordinata, nei casi previsti dalla illustrata ‘novella’, a una rinnovata valutazione della pericolosità sociale del proposto, già sottoposto a detenzione, in espiazione della pena, per un periodo superiore ai due anni.

…e sue ricadute nella valutazione del ricorso

Nella confermata assenza di interferenza alcuna fra detti piani, errata in diritto deve considerarsi la soluzione decisoria cui è approdata la Corte territoriale, che ha, tra l’altro, introdotto, a sostegno della decisione, un concetto – quello di “utilità/inutilità” della deliberazione – cui la giurisprudenza costituzionale e di legittimità e il legislatore, nella materia che ci occupa, non hanno mai fatto ricorso.

Tanto impone l’annullamento del decreto impugnato, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello, che si atterrà ai principi richiamati, procedendo, di conseguenza, alla valutazione dell’attualità della pericolosità sociale del proposto ai fini della decisione sulla richiesta di applicazione della misura di prevenzione personale formulata dal PM: come chiarito da Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, «la natura di decreto non permette il rinvio a diversa sezione, a mente del disposto di cui all’art. 623, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.; per contro, la natura decisoria dell’atto impone che il collegio chiamato alla nuova valutazione sia composto diversamente, stante l’incompatibilità dei componenti che hanno partecipato alla decisione oggetto di impugnazione».