Diffamazione e causa di non punibilità della provocazione putativa (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 1 con la sentenza numero 26309 ha ricordato che in tema di delitti contro l’onore, la causa di non punibilità della provocazione, di cui all’art. 599 cod. pen., può essere riconosciuta anche a livello putativo, ai sensi dell’art 59, comma quarto, cod. pen., diversamente dall’attenuante della provocazione prevista dall’art. 62 n. 2 cod. pen., che rileva, invece, solo obiettivamente.

La Suprema Corte ha premesso che ai fini della integrazione della causa di non punibilità della provocazione, non è richiesta la proporzione fra la reazione ed il fatto ingiusto altrui, essendo sufficiente che sussista un nesso di causalità determinante tra fatto provocante e fatto provocato e non un legame di mera occasionalità (Sez. 5 n. 1203/69 del 29 novembre 1968, rv 110266; Sez. 5, n. 43173 del 04/10/2012, Rv. 253787; Sez. 5, n. 39508 del 11/05/2012, Rv. 253732).

Al riguardo è sufficiente osservare come, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di diffamazione, la causa di non punibilità della provocazione di cui all’art. 599, comma 2, c.p., sussiste, non solo quando il fatto ingiusto altrui integra gli estremi di un illecito codificato, ma anche quando consiste nella lesione di regole di civile convivenza, purché apprezzabile alla stregua di un giudizio oggettivo, con conseguente esclusione della rilevanza della mera percezione negativa che di detta violazione abbia avuto l’agente (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 5, n. 21133 del 09/03/2018, Rv. 273131; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 25421 del 18/03/2014, Rv. 259882).

Appare, pertanto, assolutamente ovvio come non possa costituire “fatto ingiusto”, rispetto alle offese indirizzate al soggetto passivo del reato, la condotta posta in essere dalla vittima della diffamazione, che costituisca esercizio di un diritto riconosciuto dall’ordinamento giuridico, come, ad esempio, il diritto di critica politica ovvero possa trovare astrattamente giustificazione in disposizioni normative (cfr. Cass., Sez. 5, n. 27922 del 22/02/2018, Rv. 273229; Cass., Sez. 5, n. 4943 del 20/01/2021, Rv. 280333).

Inoltre, va chiarito che non possono riconoscersi gli estremi dell’attenuante della provocazione prevista dall’art. 62 n. 2 cod. pen nel caso in cui la condotta criminosa venga posta in essere quale reazione a un fatto percepito come ingiusto dall’agente solo a causa di un difetto di rappresentazione della condotta altrui, dal momento che in materia deve trovare applicazione la disciplina prevista dall’art. 59, comma terzo, cod. pen., secondo cui se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste non sono valutate contro o a favore di lui (Sez. 6, n. 58087 del 13/09/2017, Rv. 271964; Sez. 5, 37950 del 20/06/2017, Rv. 270789).

Infine si elencano i tre requisiti affinché possa ravvisarsi l’attenuante della provocazione indicata all’articolo 62 n. 2 c.p.:

a) lo «stato d’ira» costituito da un’alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il «fatto ingiusto altrui»;

b) il «fatto ingiusto altrui», che deve essere connotato dal carattere dell’ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un determinato momento storico, non rilevando invece le mere convinzioni e quanto dovuto solamente alla sensibilità personale dell’agente;

c) un rapporto di causalità psicologica e di conseguenza non di mera occasionalità tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalle condizioni di proporzionalità, sempre però che vi sia una qualche adeguatezza tra l’una e l’altra condotta (Sez. 1, n. 21409 del 27/03/2019, Rv. 275894; Sez. 1, n. 47840 del 14/11/2013, Rv. 258454; Sez. 5, n. 12558 del 13/02/2004, Rv. 228020).